Ho letto con interesse e piacere l’articolo che il professor Loris Zanatta ha scritto qui, su Reset, a seguito delle mie considerazioni su Bergoglio, il popolo e le periferie. Di quanto vi dice mi è dispiaciuto soltanto leggere che non è sul Papa che ha voluto intervenire, perché stanco di ricevere “sberle o interpretazioni banalizzate delle mie idee”. Ribadisco di essere solo un ordinario vaticanista, ma anche convinto che il Papa che ha risposto con apertura ad Hans Kueng sulla necessità di aprire una discussione sul dogma dell’infallibilità del successore di Pietro non apprezzerebbe che si diano sberle ai suoi critici o si banalizzino le loro idee. Anche per questo mi rallegro che il professor Zanatta abbia inteso il mio obiettivo: scrivere sul suo saggio apparso sul Mulino per sottolineare quelli che a me appaiono equivoci. Leggendo infatti mi sono detto: “sono idee che richiedono una riflessione, un confronto”. Sì, le idee di Loris Zanatta mi hanno riguardato, e ho avvertito il bisogno di soffermarmi, per quel che mi è possibile, sul suo ragionamento.
In precedenza il cuore di altre critiche era “quanto è luterano Francesco”. Nel testo del professor Zanatta si parte dal non velenoso “quanto è cattolico Bergoglio”. Ed è vero. E’ molto cattolico. Solo che lui vede un cattolicesimo diverso da quello che vedo io, un cattolicesimo profondamente conciliare e post-costantiniano, capace di cambiare il nostro universo culturale, che ha riempito le nostre discoteche di stupendi Dies Irae, con la cultura della Misericordia del Padre. Ecco perché il mio dissenso rimane ed è basato sulla convinzione che, se nella famosa triade via-verità-vita Bergoglio pone l’accento non più su la verità ma sulla via, il suo non può essere un pensiero, una visione duale. Passare dalla priorità della verità alla priorità della via significa portare la Chiesa nella storia, accanto a noi: impossibile farlo su uno schema bianco-nero.
In un’epoca segnata da culture di odio e disprezzo, coltivare il confronto è per me il grande merito, “artigianale” lo definisce lui, di Bergoglio. Parte da qui quella che ho chiamato l’empatia di Jorge Mario Bergoglio, uno dei pochi che in questi tempi sa soffermarsi sull’altro, e guardarlo. Per questo non mi permetterò di ritornare sulla questione dei governi argentini, passato e presente, sebbene ricordi gli articoli sul predecessore del discutibilissimo Evo Morales tentare la fuga con carichi di lingotti d’oro. Mi interessa molto di più ribadire che la poliedricità, elemento chiave del pensiero di Papa Francesco per la Chiesa, la globalizzazione e il mondo, non possono proprio essere ricondotti in uno schema duale. Scrivendo queste poche parole di ringraziamento sincero scopro che proprio sul Mulino lo ha affermato meglio di me Sergio Paronetto, ricordando questa sua frase cruciale: “C’è una tentazione da cui dobbiamo guardarci: il semplicistico riduzionismo che vede solo bene o solo male.”
Bergoglio con il discorso pronunciato in occasione del 50esimo anniversario dell’istituzione del Sinodo ha offerto un prospettiva nuova, a mio avviso epocale, alla Chiesa e al mondo globalizzato: quella del governo dal basso, decentrato. Ma al di là delle formule o degli schemi, pur ribadendo di essere fortemente affascinato da quelli del papa argentino, è la forza dell’empatia umana che colgo nei suoi gesti e nel suo magistero a farmi pensare che continuare a discuterne, a confrontarsi, a capire, sia prioritario per noi: tutti. Padre Antonio Spadaro, su la Civiltà Cattolica, ha spiegato con parole assai efficaci la geopolitica della misericordia di Bergoglio: estranea al bipolarismo come la sua visione mi appare estranea al dualismo. Se nessuno è preventivamente perduto nella geopolitica della misericordia Bergoglio offre una nuova opportunità al multipolarismo, e a laici e credenti una bussola, che ognuno può sentire più o meno sua, ma che lo invita a uscire, a vedere; e per fare questo occorre empatia, soprattutto in questi tempi tremendi, dove perse le appartenenze si può rischiare di rifluire nelle mitologie. Il Papa della Chiesa in uscita, della Chiesa ospedale da campo, chiede a chi voglia di seguirlo nelle strade delle periferie, delle sofferenze, delle deportazioni, delle solitudini, degli scartati, dei disprezzati. Non perché pauperista, ma per accompagnarci verso un nuovo umanesimo, all’altezza delle sfide del terzo millennio.