La riforma implicita

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Da Mondoperaio

Gennaro Acquaviva celebra i tre anni del Pontificato di Francesco con un riconoscimento dello straordinario ministero cristiano di papa Bergoglio, “pastore e guida spirituale dell’umanità intera”, e con un interrogativo sulla riforma della Chiesa che da esso potrà scaturire. In questo testo rispondo a ciascuna delle due sollecitazioni: al riconoscimento della svolta e all’interrogativo sui suoi frutti.
In un primo tempo collocherò l’annuncio di Cristo di papa Francesco nell’orizzonte descritto da tre grandi processi storici riguardanti la religione in generale e il cattolicesimo in particolare: la spiritualizzazione, la mondializzazione e la cristianizzazione. Spiegherò il significato di ciascuno di questi tre termini e in che senso il pontificato di Francesco mi paia incarnare i tre processi. In un secondo tempo, seguirà la mia risposta all’interrogativo sulla riforma di Francesco. In proposito, farò notare la tensione tra la riforma implicita e la riforma esplicita, ovvero tra la riforma innescata dall’esempio del papa, dal suo stile (e perciò fluida e aperta), e la riforma direttamente operata, in particolare nel governo pontificio ed episcopale e nell’amministrazione dei sacramenti. Concluderò a mia volta con un interrogativo: Francesco sta mutando il cattolicesimo in profondità, oppure il suo annuncio di misericordia, la sua attenzione ad accogliere e facilitare, sono una sofisticata edizione post-moderna del centralismo romano e del suo sistema di potere? [1]

La spiritualizzazione, la mondializzazione e la cristianizzazione sono i tre processi storici nei quali ritengo vada collocata l’esperienza pontificia di Bergoglio. Spiegherò brevemente cosa intendo per ciascuno dei tre e in che modo collego i tre processi al pontificato di Francesco, e in particolare al suo annuncio della nascita, morte e risurrezione di Cristo.
Con il termine spiritualizzazione designo il percorso storico che muove i credenti in generale e i cristiani in particolare verso le fonti della loro fede e della loro esperienza religiosa. Da quel movimento deriva la tensione a sperimentare autenticamente la propria relazione con il divino, in forma individuale e collettiva. Colloco qui il ruolo decisivo in Francesco dell’individuo e del popolo. Nell’incontro con Cristo l’individuo è il protagonista del peccato, della misericordia, della salvezza. Bergoglio è anzitutto l’uomo che vive la grazia di Dio, e che da pastore la amministra all’altro.

In egual modo, il popolo è il protagonista dell’incontro collettivo col divino ed il metro della sua genuina spiritualità. Il cristianesimo di popolo bergogliano, in cui si fondono popolo cristiano e popolo latino-americano, è il simbolo stesso della spiritualizzazione [2]. In entrambe le dimensioni, individuale e collettiva, gli aspetti politici ed economici, organizzativi e giuridici sono subordinati alla priorità dell’esperienza spirituale. Essi non sono condannati, espulsi. Sono ridimensionati. E con essi sono ridimensionati non solo il governo della Chiesa, la sovranità della Santa Sede, la sua indipendenza finanziaria e organizzativa, ma addirittura la dottrina della fede e la teologia morale: ciò che conta, ciò che viene al primo posto, ciò che definisce l’identità, è la qualità dell’esperienza spirituale.

Con il termine mondializzazione designo il percorso storico che ha spostato il baricentro della religione – del cristianesimo e dello stesso cattolicesimo – fuori dall’Europa. Il numero di chi non si riconosce in alcuna religione è in crescita in Europa, e riguarda un quarto della popolazione in paesi come la Francia, l’Olanda e il Regno Unito. Le stime del Pew Research Center [3] attestano che per il 2050 quasi il 40% dei cristiani del mondo vivrà nell’Africa sub-sahariana. Nel 1910 il 60% dei cattolici del mondo viveva in Europa. Un secolo dopo il numero è sceso al 25%.
Nello stesso periodo, la quota di cattolici sudamericani sul totale mondiale è salita dal 25% al 40%. Per la Chiesa di Roma la de-europeizzazione si accompagna alla de-italianizzazione. L’ultimo papa italiano è morto quasi quarant’anni fa. Nel conclave che ha eletto Bergoglio per l’elettorato cardinalizio mondiale non vi erano candidati italiani significativi. La mondializzazione – e la de-europeizzazione – comportano un nuovo modo di parlare della fede e di viverla. I cattolici non europei sono spesso minoranza nel paese in cui vivono, sono più giovani d’età e di storia ecclesiale, raramente godono del supporto dello Stato, pesano meno in politica. L’annuncio cristiano di papa Francesco trasforma un fenomeno demografico e statistico in nuovo contesto dell’incarnazione.

Con il termine cristianizzazione raggruppo vari fenomeni di natura diversa riconducibili alla crescita della presenza cristiana nel mondo contemporaneo. E’ in controtendenza l’Occidente, dove cresce il numero dei non affiliati ad alcuna religione (tra essi peraltro, molti rifiutano le chiese e non Cristo): ma in termini assoluti crescono i cristiani nel mondo, e cresce il dinamismo di chiese cui, sempre secondo il Pew Research Center, si convertiranno da qui al 2050 quaranta milioni di persone, quattro volte il numero dei convertiti all’Islam previsti nel medesimo periodo. Le persecuzioni dei cristiani e la popolarità di leader mondiali come papa Francesco, il Patriarca Bartolomeo, Tutu, lo stesso Obama, segnalano la forza di un cristianesimo autorevole e vitale, capace di interagire positivamente con le culture più diverse e di essere seme di non violenza e di pace.

La riforma di Francesco è nei suoi gesti, nelle sue parole. Nel suo stile. Le omelie di Santa Marta possono più di un nuovo codice di diritto canonico. La doppia rasatura, il mate, i vecchi amici, le telefonate cambiano più di mille motu proprio. La testimonianza personale è il più potente motore del cambiamento: soprattutto quando si tratta di un papa, nell’era degli idoli di massa e della comunicazione globale. Sappiamo che le norme, le procedure e le istituzioni della Chiesa di Roma ne saranno cambiate. Ma non sappiamo con quale esito. Avvertiamo che dopo i trent’anni dominati dalla teologia e dal governo di Karol Woytila e Joseph Ratzinger – e dopo che la loro stagione ha plasmato la mente e il cuore di un nuovo popolo di fedeli e di un nuovo establishment – siamo ad una svolta. Quanto incisiva, non possiamo sapere. Anche perché non possiamo sapere di quanto tempo disporrà, questa svolta, per plasmare a sua volta le menti e i cuori dei cattolici del futuro.

A differenza dei due predecessori, papa Francesco non pare preoccupato di controllare teologia e diritto canonico, di incidere sulla sua Chiesa attraverso la disciplina e la dottrina. Egli si situa altrove, è a suo agio in altre dimensioni. La fluidità e l’apertura della riforma implicita innescata paiono convenirgli, perché convengono al suo senso della profezia. In questa dimensione della riforma, nell’anno del giubileo, sta la “profezia di Francesco” cara a Gennaro Acquaviva.

Vi è poi la riforma esplicita, la riforma prodotta. Francesco è anche questo. La sua profezia è anche questo. Francesco ha indetto un sinodo epocale, ha imposto ad esso un sistema di lavoro dalle ricche implicazioni canonistiche rispetto al ruolo del laicato, delle chiese particolari e alla sinodalità e collegialità episcopale. Il pontefice ha anche parlato e fatto molto, esplicitamente, rispetto al proprio ministero petrino: a partire dal suo primo discorso pubblico da vescovo di Roma, la sera dell’elezione. Francesco ha anche fatto valere le proprie prerogative sulla nullità del matrimonio, e cioè, indirettamente, sull’accesso dei divorziati ai sacramenti.

La riforma esplicita di papa Bergoglio è già sostanziosa, e controversa. Egli riconosce le prerogative dei vescovi e dei laici, e ne sollecita la responsabilità. Alcune novità collidono con principi consolidati e con mentalità acquisite. La denuncia delle malattie del governo ecclesiastico, ad esempio, nel discorso alla Curia romana di fine 2014 sconfessa un sistema di governo. Alcune competenze dei laici sfidano il nesso tra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione. Certe dinamiche episcopali, e l’invito alle chiese particolari sparse nel mondo a decidere per sé con coraggio, sfidano il primato pontificio. La nuova nullità matrimoniale somiglia sempre più a un divorzio.

Dopo trent’anni di compattezza teologica e canonica, il nuovo appare discontinuo e incongruo [4]. Proprio per questo – perché innova su aspetti cruciali e sensibili, perché si pone in sintonia con i tre processi storici, perché prende rischi – il significato della riforma esplicita operata da Francesco è grande. E non meno espressivo della forza profetica del suo pontificato. Francesco è “profeta di un futuro che non gli appartiene” perché lo inizia non solo con la sua testimonianza personale, ma anche con le sue riforme esplicite. Quanto è profonda, la profezia di Francesco, quanto è autenticamente rinnovatrice? E’ questa la domanda cruciale. I critici del Pontefice, dalle diverse posizioni, lo attendono al guado. Dentro la Chiesa di Roma, per i conservatori, il rinnovamento è imponente, reale, e perciò temibile [5]. Per i riformatori, il rinnovamento non è sufficiente, o è superficiale. Oppure rischia di essere una riforma della curia, a fronte del bisogno di una riforma della Chiesa [6]. Fuori di essa, nelle altre chiese cristiane, è forte il pregiudizio che il cattolicesimo romano di sempre stia solo cambiando pelle: che ciò che conta per Roma, ancora una volta, sia perpetuare il proprio potere spirituale, economico e politico.

Il cattolicesimo romano si dimostrerebbe il genere di cristianesimo più capace di intercettare la domanda di spiritualità e di appartenenza, di individualità e di popolo, di coscienza e di norme. Abbracciando omosessuali e divorziati, evangelici e pentecostali, tra un incontro con il Patriarca di Costantinopoli e uno con il Patriarca di Mosca, in nome dell’unità dei cristiani davanti alle persecuzioni, il cattolicesimo globalizzato di Bergoglio inghiottirebbe pezzi di cristianità e supererebbe in numero di fedeli l’insieme delle chiese protestanti. Una stagione inclusiva e dialogante sarebbe, in tal senso, una manovra astuta e tempestiva: in perfetta aderenza con lo stereotipo del gesuita. I risentimenti storici sono forti, gli schemi del passato resistono, le sfide del presente sono terribili. A questa prova è atteso Jorge Bergoglio: la profezia di Francesco cammina sul filo della tradizione, e del suo superamento.

Articolo pubblicato sul numero 5/2016 di Mondoperaio

Note

[1] Per il retroterra di queste mie riflessioni rinvio a M. VENTURA, Creduli e credenti. Il declino di Stato e Chiesa come questione di fede (Einaudi, 2014).
[2] Nel suo La nazione cattolica. Chiesa e dittatura nell’Argentina di Bergoglio (Laterza, 2014) Loris Zanatta coglie nella spiritualizzazione del popolo, e nella conseguente costruzione del mito della “nazione cattolica” la radice della tragedia argentina. La mancata distinzione tra la dimensione politica e la dimensione religiosa e ideologica avrebbe funzionato da innesco della guerra civile in cui si plasmò il ministero di Jorge Bergoglio. In proposito rinvio al mio Gesù guerrigliero, Madonna golpista. I due abbagli dell’Argentina cattolica, in La Lettura, 12 ottobre 2014.
[3] Pew Research Center, The Future of World Religions: Population Growth Projections, 2010-2050, 2 aprile 2015, http://www.pewforum.org/2015/04/02/religious-projections-2010-2050/. Si veda il mio Diventeremo un po’ più monoteisti, in La Lettura, 19 aprile 2015.
[4] Si veda, per la riforma delle nullità matrimoniali, la critica di G. Boni (La recente riforma del processo di nullità matrimoniale. Problemi, criticità, dubbi), in Statoechiese.it, 7 marzo 2016.
[5] In relazione alla preghiera interreligiosa del 6 gennaio 2016 condotta da Francesco, Mons. Bernard Tissier de Mallerais, vescovo ausiliario della Fraternità San Pio X, ha espresso la propria indignazione e ha condannato nel modo seguente il relativismo del pontefice: “Francesco ha detto esattamente: ‘Molti pensano in modo diverso, sentono in modo diverso, cercano Dio o trovano Dio in diverse modi’. Quindi, poco importa la realtà oggettiva di Dio, l’importante è il “feeling”, il sentimento di ciascuno riguardo a Dio o alla religione. Ogni uomo si crea un Dio di suo gusto. E papa Francesco non dà alcun giudizio su un tale relativismo, un tale modernismo. Noi abbiamo un papa che lascia che si propaghi la religione su misura di ciascuno. La definisce la “ricerca” della verità. Ma la Verità è una, è Nostro Signore Gesù Cristo, che solo dice: ‘Io sono la Via, la Verità e la Vita’ (Giov 14, 6). Solo il Verbo incarnato, l’unico Salvatore degli uomini, è la Verità. La buona volontà di quelli che ignorano ed errano non li salva. La buona volontà non salva nessuno, solo la Verità salva” (http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=1765:intervista-con-mons-bernard-tissier-de-mallerais&catid=64&Itemid=81).
[6] Si veda in tal senso S. DIANICH, La Chiesa cattolica verso la sua riforma, Queriniana, 2014.

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