“La monarchia è abolita per volontà del popolo. Per la stessa volontà è nata la Repubblica tunisina”. Con queste parole il 25 luglio 1957 il Presidente dell’Assemblea Costituente, Jellouli Fares, annunciava ufficialmente l’apertura di una nuova era per la Tunisia. Il popolo tunisino, appena uscito dal giogo coloniale, sembrava riappropriarsi della propria sovranità e finalmente sperava di respirare l’aria della democrazia e della completa indipendenza. Habib Bourguiba assumeva la carica di Presidente della Repubblica Tunisina attuando nel corso del suo mandato una politica di “morbido autoritarismo”.
Oggi, a sessant’anni da quella dichiarazione, la Tunisia vive un delicato passaggio, affrontando un complesso processo di transizione democratica.
Nel paese pioniere delle primavere arabe la situazione appare relativamente stabile nonostante alcune criticità che si registrano sia sul fronte economico sia su quello politico. Il rilancio dell’economia è prioritario nell’agenda di governo. La crescita economica e la disoccupazione sono costantemente indicate fra le principali preoccupazioni dai cittadini tunisini. Il tasso generale di disoccupazione risulta infatti elevato (pari al 15,5%) e ancora più marcato è quello che colpisce i giovani diplomati (oltre il 30%).
Nel settembre 2016, Il Ministro dello Sviluppo, dell’Investimento e della Cooperazione internazionale, Fadhel Abdelkefi, ha dichiarato che il paese si trova in uno “stato d’emergenza economica” con una crescita stentata intorno all’ 1,1% e ha sottolineato l’urgenza di “riacquisire l’accesso agli investimenti sia nazionali che internazionali”. Il debito pubblico, che attualmente supera il 60% del PIL, è raddoppiato negli ultimi cinque anni, passando da 25 miliardi di dinari (10 miliardi di euro) a 55 miliardi di dinari (oltre 22 miliardi di euro), soprattutto a causa della crescita della massa salariale dei funzionari pubblici, che è cresciuta da 6 miliardi di dinari (2,5 miliardi di euro) a oltre 13 miliardi di dinari (5,3 miliardi di euro). Essa rappresenta oggi oltre il 15% del PIL e corrisponde a circa il 45% della spesa pubblica. Il turismo e gli investimenti privati sono i fattori chiave per incrementare le riserve in valuta.
Secondo l’Istituto nazionale per le statistiche tunisino (Isn), il tasso d’inflazione si è stabilizzato al 4,8% nel marzo 2017 registrando rispetto allo scorso anno un incremento pari allo 0,6%. L’aumento dell’inflazione è dovuto principalmente a una crescita del 4,9% dei prezzi dei beni alimentari e del 2,4% dei servizi sanitari. L’aumento delle spese per l’approvvigionamento energetico e per i beni alimentari ha generato un preoccupante deficit della bilancia dei pagamenti. L’attività economica è stata trainata dall’agricoltura, dal settore minerario e dai servizi, mentre un freno alla crescita è venuto dall’industria manifatturiera.
In seguito alle tensioni originate nel quadro regionale e agli attentati terroristici compiuti nel 2015 al Museo del Bardo e sulla spiaggia di Port El Kantaoui, anche il comparto del turismo – che sino ad oggi era in grado di garantire 400.000 posti assorbendo il 15% della forza lavoro – ha registrato nel 2016 un calo pari al 50% rispetto agli anni precedenti. L’ONTT (Ufficio Nazionale del Turismo) dichiara che le entrate provenienti dal settore turistico sono ammontate nei primi nove mesi del 2016 a 730 milioni di euro, segnando un calo dell’8% rispetto allo stesso periodo del 2015.
Secondo la piattaforma di informazione sui mercati esteri del Ministero degli Esteri italiano, “il graduale assottigliamento delle riserve ha portato la Banca Centrale di Tunisia (BCT) ad abbandonare la politica del dinaro forte (da sostenere artificiosamente) e a non intervenire sul deprezzamento della valuta tunisina che, dall’inizio di gennaio scorso, si è svalutata di quasi l’11% rispetto all’euro. Tuttavia, il deprezzamento del dinaro non pare aver finora sortito effetti positivi, in termini di competitività, sulla bilancia commerciale e sulle esportazioni.”
La principale sfida che si trova ad affrontare oggi la Tunisia è indubbiamente economica. Nel tentativo di captare un flusso di investimenti privati, il Governo ha organizzato, nel novembre 2016, la Conferenza degli Investimenti “Tunisia 2020” presentando l’immagine di un paese in grado di proporre importanti opportunità commerciali. Il governo tunisino sta dunque tentando di rimettere in moto il flusso degli investimenti stranieri e di creare nuovi posti di lavoro in tutto il paese. Mourad Frai, presidente della camera di commercio tuniso-italiana, ha dichiarato che “l’intento della conferenza è stato quello di far tornare la Tunisia sulla mappa mondiale dell’investimento”. In tal senso sembra profilarsi un’inversione di tendenza che trova conferma nelle previsioni della Banca mondiale la quale pronostica per la Tunisia una crescita nel 2017 del 3% e quasi del 4% nel 2018.
L’obiettivo di rilanciare l’economia del Paese è stato favorito anche dall’entrata in vigore della nuova legge sugli investimenti stranieri, il 1 aprile 2017, con cui si è scelto, come spiega Mourad Frai, “di concentrarsi sui vantaggi finanziari e sulle agevolazioni burocratiche (meno autorizzazioni, regola del “silenzio-assenso» per l’approvazione di un progetto, interlocutori one-stop-shop)”. Con questa legge, viene concesso uno sgravio fiscale agli stranieri che producono per riesportare (10% di imposte, anziché il 25% in vigore sui beni venduti in Tunisia). È prevista anche un’esenzione dalle imposte per dieci anni a beneficio di chi finanzia un progetto superiore ai 20 milioni di euro o che coinvolga almeno 300 addetti.
La ripresa economica risulta necessaria per consolidare l’esperienza democratica di un paese che sembra rappresentare un’eccezione positiva nella regione, ma si trova ad affrontare situazioni difficili sia sul piano internazionale che su quello della politica interna. Da un lato, infatti, l’instabilità della Libia e l’incertezza nella quale versa l’Algeria si ripercuotono sulla Tunisia che si ritrova tra due fuochi. Dall’altro, desta profonda preoccupazione il numero considerevole di giovani tunisini che sono confluiti nelle fila di Daes’h, arruolati attraverso la rete costituita da social network, moschee, alcune associazioni culturali o le carceri. La sfiducia dei giovani, causata dalla pesante situazione del mercato del lavoro, ha aperto la strada alla disperazione creando un humus in cui è stato agevole muoversi per i reclutatori del terrore. Nel frattempo, molti di questi giovani che erano partiti alla volta della Siria stanno rientrando. Nel dicembre del 2016 il Presidente tunisino Essebsi, pur affermando che il diritto al rientro è un diritto costituzionale, ha tuttavia dichiarato che la Tunisia “prenderà tutte le disposizioni necessarie affinché i jihadisti che rientrano da Siria, Libia e Iraq siano neutralizzati attraverso l’applicazione della legge anti terrorismo”.
Ed è proprio sul versante della “sicurezza” e della “lotta al terrorismo” che il presidente degli USA Donald Trump si è confrontato con Essebsi. Secondo un comunicato della Casa Bianca del 17 febbraio 2017, “i due presidenti hanno discusso sulla transizione democratica della Tunisia e della loro cooperazione in materia di lotta contro il terrorismo”. La Tunisia è stato il primo paese della regione ad essere contattato dal nuovo presidente americano, le cui misure sull’immigrazione contenute nel controverso provvedimento del “muslim ban” stanno facendo molto discutere.
A questo quadro si aggiungono altre problematiche quali la diffusione del contrabbando e della corruzione che sono nuovamente emersi all’indomani della Rivolta e che già erano radicati nel territorio. Il premier Youssef Chahed si è impegnato in un’operazione anticorruzione – già battezzata dalla stampa locale “Mani Pulite” – che ha portato a decine di arresti in Tunisia. Lo stesso Chahed nel maggio scorso ha dichiarato che “nella guerra contro la corruzione non ci sono alternative: o la corruzione o lo Stato, o la corruzione o la Tunisia ed io ho scelto la Tunisia, come tutti i tunisini”.
Nella società civile e fra gli intellettuali prevale però lo scetticismo, poiché si ritiene che quest’operazione sia solo di facciata. In ogni caso, la battaglia contro la corruzione intrapresa negli ultimi mesi dal governo esprime la volontà politica di rispondere a quel profondo malessere sociale che attanaglia da lungo tempo la nuova Tunisia.