2083 è il titolo di un documento di 1.500 pagine che Anders Behring Breivik, detto anche Andrew Berwick, ha confezionato in un anno di lavoro e ha messo online alla vigilia della strage di Utoya. La data del titolo è quella alla quale, secondo il suo proclama, l’Europa dovrà essersi liberata da multiculturalismo e Islam, così come da una manciata di altre ideologie, per esempio il femminismo. Tutto rendendo onore alle “nuove milizie cristiane” che, nella sua lettura della storia, si rifarebbero all’Ordine dei Templari: “Commilitones Christi Templique Salomonici” è il nome del fantomatico drappello da lui ideato.
Il primo obiettivo di Breivik è la Scuola di Francoforte, madre di ogni corruzione, con Herbert Marcuse, Erich Fromm, Theodor Adorno. Poi fuoco contro tutti e tutte coloro che hanno cancellato il patriarcato, il cristianesimo, la famiglia, le differenze tra uomo e donna. E qui ecco il primo bersaglio italiano del “Manifesto”, Antonio Gramsci.
Ma l’obiettivo cui va la sua attenzione più ossessiva è l’Islam, con le maggiori scuole sunnite e il concetto di Jihad.
Breivik evoca appunto di frequente il Medio Evo delle Crociate: i nuovi crociati sarebbero la spina dorsale del nuovo ordine, nel 2083. Ed è qui che affiora un concetto che chiarisce meglio la sua filiazione intellettuale, quello di “Eurabia”: è il fantasma di un’Europa dominata dai musulmani e dall’Islam integralista, evocato per primo dalla scrittrice ebreo-egiziana Bat Ye’or e ripreso poi da Oriana Fallaci.
E’ Fallaci, tra gli italiani, il riferimento positivo di Breivik, che di lei sottolinea il coraggio. A fronte dei “codardi” che poi elenca, da istituzioni come Onu e Ue a personalità come papa Benedetto XVI.
Nell’analisi delle forze politiche da appoggiare, quanto all’Italia, compaiono Alleanza Nazionale e Lega Nord, fino al Movimento Sociale Fiamma Tricolore, a La Destra, al Fronte Sociale Nazionale, Forza Nuova e Destra Nazionale. Grandi nemiche tutte quelle legate al “marxismo multiculturalismo”.
Più sfuggente il pensiero di Breivik sull’ebraismo e su Israele. Il Jerusalem Post, in ogni caso, ne ha esorcizzato la vicinanza qualificandolo come un “sionista di estrema destra”.