Credere alla paura significa rinunciare alla libertà… Tratteremo tutti gli argomenti. Ancora una volta il nostro unico limite è il limite della legge francese” – sono queste le parole con cui Stéphane Charbonnier difendeva in un’intervista le scelte ampiamente dibattute della rivista Charlie Hebdo che dirigeva dal 2009. Charbonnier, in arte Charb, è una delle 12 vittime dell’attentato del 7 gennaio scorso nella sede del giornale satirico francese. Fondato nel 1970, il settimanale ha sempre criticato tutto e tutti con le sue copertine provocatorie dai colori sgargianti e le vignette controverse, nel solco di quella lunga tradizione francese delle caricature che nel XVII secolo furono messe al bando da Luigi XIV che si sentiva delegittimato attraverso il ridicolo, e i disegnatori costretti ad andare a stampare in Olanda. Con il suo ostentato radicalismo laico, unito a un’insolenza sfrontata che non di rado sconfina nell’oscenità, le vignette di Charlie Hebdo hanno attaccato in modo particolare le religioni, senza distinzioni. Su una memorabile copertina del 2011 (n. 983) sono disegnati tre rotoli di carta igienica, con su scritto: Bibbia, Corano e Torah, e il titolo, altrettanto provocatorio recita: “Nel cesso tutte le religioni”.
All’annuncio del massacro nella redazione del settimanale, la rete è stata inondata da hashtag, commenti, vignette e raccolte di vignette inneggianti alla libertà di espressione che – complice ancora una volta la reattività dei social network – hanno immediatamente fatto il giro del mondo. Proprio sulla forza della parola scritta o disegnata portatrice di un pensiero libero che si oppone alla brutalità cieca della violenza si è focalizzato anche un gran numero di artisti arabi solidali con i quattro colleghi francesi tra le vittime dell’attacco (oltre a Charb, Georges Wolinski, Jean “Cabu” Cabut e Bernard “Tignous” Verlhac).
I fumettisti arabi hanno da sempre sfidato le autorità e hanno spesso pagato un prezzo alto per aver voluto esprimere la loro opinione. Naji al-‘Ali, il vignettista palestinese padre di Handala, è stato freddato da un colpo di pistola nel 1987 a Londra e i sospetti sono ricaduti su tutti i bersagli della sua matita; nel 2011 al siriano ‘Ali Ferzat gli sgherri mandati da Bashar al-Asad hanno rotto le mani per punirlo per i disegni critici del presidente. Tanti altri vignettisti sono finiti nelle prigioni dei loro paesi e i più sfortunati non ne hanno fatto più ritorno. L’immagine fortemente iconica del proiettile che si scontra con una matita è stata utilizzata dal disegnatore siriano Fares Garabet, così come dal giordano Emad Hajjaj che è andato oltre e ha rappresentato anche la collisione tra questi due oggetti simbolici, con la matita della ‘libertà di espressione’ che sbriciola il proiettile del ‘terrore’. In questo stesso solco, il giovane vignettista egiziano Ahmed Makhlouf che pubblica sul quotidiano Al-Masry al-Youm, ha scritto un messaggio rivolto agli attentatori che è stato ampiamente ripreso online: “Stupido sconosciuto dal volto coperto con il fucile, non abbiamo bisogno di altri morti per sapere che sei un codardo, dopo che hai ucciso il vignettista Naji al-‘Ali conficcandogli il tuo proiettile nella testa, quella testa che ti infastidiva e ti minacciava. Non vogliamo altri morti. Sappiamo che le nostri armi sono più forti delle tue”. A corredo delle sue parole, Makhlouf ha disegnato una caricatura di se stesso che sfida un guerriero incappucciato con il fucile, semplicemente brandendo in aria come arma una matita. E in un’altra sua vignetta compare un uomo armato messo in fuga da una faccetta sorridente che fa l’occhiolino.
Le numerose vignette di condanna della ferocia della violenza, quella violenza cieca che minaccia e paralizza gli esseri umani, possono essere esemplificate dall’illustrazione di Habib Haddad, decano dei vignettisti libanesi, per il giornale panarabo Al-Hayat, in cui compare un uomo terrorizzato e con le mani bloccate dai lacciuoli che una figura nera minacciosa nascosta nell’ombra tira fuori in un grosso gomitolo dal suo fucile.
Allo stesso tipo di ‘paralisi’ fa riferimento il disegno di Amjad Rasmi pubblicato su Al-Sharq al-awsat dove si vede un uomo solo, il fumetto del suo pensiero, circondato da fucili fumanti che l’hanno ferito. –Z−, celebre bédéiste tunisino di cui si ignora la vera identità, invece, ha fatto esplicito riferimento all’Islam, o meglio, alla lettura distorta dell’Islam nella sua vignetta: c’è la testa di un uomo che, come un tritacarne, macina una copia del Corano e la trasforma in proiettili che sparano all’impazzata.
Nel condannare in modo unanime l’attentato, alcuni commentatori si sono soffermati anche sulle possibili strumentalizzazioni di una tragedia di questo tipo e sulle possibili ripercussioni ai danni dei musulmani. Al-Quds al-arabi, il quotidiano in lingua araba stampato a Londra, lo spiega in modo molto chiaro nell’editoriale del 7 gennaio: “Qualunque siano le denominazioni e gli scenari, l’amara verità resta che l’Islam e i musulmani sono le prime vittime di questo crimine che potrebbe diventare un punto di svolta nei rapporti dell’Occidente non solo con le organizzazioni dell’estremismo islamico, ma con l’Islam stesso in quanto religione, così come con le comunità musulmane in generale”. Della stessa opinione è anche Talal Salman, fondatore e caporedattore del giornale libanese Al-Safir: “Siamo contro qualsiasi operazione terroristica nel modo più assoluto, quali che siano gli autori e le motivazioni… Anche se potremmo non essere d’accordo con il contenuto delle pubblicazioni di Charlie Hebdo, ci consideriamo, in quanto arabi e in quanto musulmani, come le prime vittime del crimine contro il giornale francese”. E la vignetta di Mohammad Saabaneh, disegnatore palestinese di Jenin, sembra tradurre in immagine proprio la stessa visione dei fatti: un uomo punta il lanciarazzi verso un edificio con la targa Charlie Hebdo e lo distrugge, ma al contempo spara anche alla moschea che si trova alle sue spalle.
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