L’articolo riproduce l’intervento tenuto dall’autore il 9 dicembre 2011 all’incontro “Background of Xenophobia” organizzato dall’associazione ResetDoc presso l’Institute for Public Knowledge della New York University.
È un errore, se non un’illusione, credere che la xenofobia e l’ostilità verso gli stranieri possano essere eliminati del tutto: sono sentimenti che sonnecchiano in tutti noi e la loro manifestazione dipende da circostanze politiche e sociali. È un po’ come l’antisemitismo; una volta Isaiah Berlin disse che «quasi tutti gli Europei mal sopportano gli ebrei, un antisemita è colui che li disprezza più del necessario». È quando entrano gli omicidi in ballo che la questione si fa seria; ritengo che questo sia vero per qualsiasi forma di xenofobia: è qualcosa che sta sempre lì, ma quand’è che diventa pericoloso?
Per quanto riguarda la questione dei «Musulmani in Europa» c’è da dire che per molto tempo la loro presenza è stata ignorata, la gente sembrava non farci caso e basta. L’indifferenza è una virtù spesso sottostimata; per le minoranze spesso la noncuranza della maggior parte della popolazione è un bene, sicuramente preferibile a un’aperta ostilità. Negli anni Sessanta lavoratori marocchini, cittadini turchi e altri vennero invitati in Europa per questioni economiche; c’era bisogno di persone che facessero il lavoro sporco. Si preferiva che non fossero colt i– in Turchia gli operai venivano reclutati in base all’assenza di un titolo di studio – in modo che fossero pronti a tornare a casa una volta finito il lavoro. Per certi versi è una strategia che somiglia alle politiche di immigrazione adottate negli Stati Uniti: non è un caso che George W. Bush fosse favorevole alla presenza di lavoratori stagionali messicani; è un dato positivo per l’economia e lo sanno tutti coloro che vogliano tutelare i propri affari.
L’indifferenza verso i Musulmani in Europa è iniziata a venire meno negli anni Novanta, quando fu chiaro che le persone appartenenti alla prima ondata migratoria non avevano intenzione di ritornare a casa e venivano raggiunti dai propri familiari. Questo iniziò a cambiare il clima tra le vecchie classi operaie, mentre un numero sempre più consistente di stranieri Musulmani iniziò a diventare presenza fissa nelle città europee. Poiché l’Europa è sprovvista di una politica di immigrazione e riconosce solo il diritto di asilo ai rifugiati, lo status dei lavoratori occasionali a cui era permesso restare una volta assolti i propri obblighi rimase alquanto precario, di sicuro queste persone non venivano mai accettate come cittadini (un problema che il sud degli Stati Uniti sta affrontando proprio di questi tempi). Ora, quando le persone iniziano a lamentarsi delle tensioni che nascono a causa della massiccia presenza straniera, le élite liberali europee– quelle a cui pensiamo di appartenere e che votiamo alle elezioni– liquidano velocemente la questione in termini di «razzismo», «xenofobia», etc, e questa è in gran parte una conseguenza della Seconda Guerra Mondiale. Proprio come «nazionalismo», «razzismo» è diventata una brutta parola, la radice di ogni male. Tutto ciò che viene tacciato di razzismo dev’essere velocemente rimosso, per ragioni note a tutti, ma sta di fatto che per molta gente è venuta meno la possibilità di discutere apertamente problemi che sono percepiti come reali e che spesso sono reali. Credo che questa sia una prima fonte di malcontento.
Nel frattempo, la vecchia classe di sinistra iniziò a rivoltarsi contro i Musulmani; a mio avviso lo spartiacque fu il caso Salman Rushdie. All’epoca era lui stesso che voleva presentarsi come qualcuno che era sempre stato dalla parte del Terzo Mondo, dei diseredati, in fondo era un multiculturalista, etc. Ma quando il suo librò iniziò a essere messo al rogo, Rushdie e i suoi sostenitori– in gran parte della sinistra liberale– iniziarono improvvisamente a percepire la presenza musulmana, e sicuramente quella dell’Islam, come una minaccia ai valori liberali Occidentali di cui erano seguaci (probabilmente buoni seguaci). Così il clima divenne sfavorevole non solo ai Musulmani ma anche– e questo è un dato politico più importante– anche alle élite liberali dal momento che queste, sia che si trattasse di politici o liberali, vennero ampiamente accusate di aver approvate politiche in materia di immigrazione che non erano effettivamente tali, diaver imposto gli immigrati e in particolare i Musulmani alle società occidentali senza alcuna possibilità di discussione ma soprattutto diaver messo in piedi «l’Europa».
Se consideriamo il populismo di destra nel Vecchio Continente oggi, è interessante notare come la propaganda anti-musulmana si sia tradotta in fretta in quella anti-europea e quanto sia stato veloce negli ultimi mesi il passaggio da sentimento antimusulmano a ostilità verso la Grecia, l’Europa, le élite che «ci rubano l’identità nazionale perché vogliono renderci tutti Europei. Vogliamo indietro i nostri paesi». Non è altro che un’eco o quantomeno un fenomeno parallelo alla retorica del Tea Party che sostiene di «voler indietro il proprio paese, vogliamo di nuovo l’America, vogliamo indietro la vera America».
Dal momento che si passa così facilmente dai Musulmani ai Greci, dagli Europei fino agli sfaccendati del sud, è chiaro che il nemico non è più lo stesso, il vero target non sono queste persone. Il vero target sono le élite liberali locali responsabili delle ansie della gente. «Europa» è sinonimo di una vecchia classe aristocratica che ci governa da Bruxelles senza lasciarci nessuna facoltà di discussione; le élite sono colpevoli di imporci delle decisioni contro il nostro volere, proprio come la globalizzazione.
Le persone hanno realizzato, non del tutto a torto, che la globalizzazione ha determinato nuove divisioni di classe tra coloro che beneficiano del fenomeno e altre che invece non lo fanno, vale a dire coloro che adesso vogliono indietro il proprio paese, mentre le prime continuano a parlare di benefici del dialogo oltre le frontiere, delle economie senza confini e dell’Europa in sé. Il linguaggio adottato contro le élite è in parte un linguaggio legato al tradimento– «la classe dirigente ci ha tradito, ci ha scippato il nostro paese»– e in parte, considerato quello che è l’Europa oggi e i trascorsi storici, adotta ancora il lessico della Seconda Guerra Mondiale tanto che spesso queste discussioni finiscono con il puntare il dito contro i fiancheggiatori degli “islamo-fascisti”, traducendosi in una lotta tra codardi o i partigiani.
Almeno questo è quanto accade nel mio paese d’origine, l’Olanda, dove questi traumi sono particolarmente profondi per precise ragioni storiche, ma credo valga anche per il resto dei paesi europei. Il che è un peccato perché ostacola una discussione razionale su argomenti che invece la pretenderebbero: l’impatto di un gran numero di rifugiati, richiedenti asilo e immigranti in una società può causare tensioni e deve essere discusso, ma non può essere dibattuto razionalmente quando le persone si accusano di essere come Chamberlain nel 1938 o sostenitori dell’”islamo-fascismo”. Non facciamo fatica a comprendere perché la Vecchia Sinistra o quantomeno alcuni iscritti– quelli che si sono rivoltati contro l’Islam durante il caso Rushdie– si siano schierati con i populisti di destra in una presunta difesa dei valori Occidentali contro i suoi nemici.
Ci sono vari motivi per cui vecchi socialisti hanno assunto questa posizione. Uno è che spesso loro stessi provengono da famiglie conservatrici in senso religioso e hanno preso parte alle contestazioni negli anni Sessanta per i diritti gay, delle donne etc– diritti che oggi vengono dati per scontati anche dai partiti conservatori– tanto da percepire nell’immigrazione musulmana e nell’Islam una minaccia contro tutte le battaglie vinte in passato. Non solo, secondo loro la classe dirigente liberale, i multiculturalisti e i mediatori sono traditori perché non stanno più difendendo– almeno in teoria– i diritti conquistati in precedenza attualmente messi a rischio dall’Islam stesso. Ovviamente il sentimento anticlericale e antireligioso ha una parte considerevole nella vicenda, e l’espressione “islamo-fascismo” fa sì che le persone che la adottano si sentano più a loro agio; dato che non hanno fatto che lottare contro il fascismo per tutta la loro vita si sentono giustificate a continuare. Quindi pur legandosi a formazioni populiste di destra di fatto non stanno cambiando le proprie opinioni di partenza.
L’Olanda non è un paese che finisce speso nei notiziari a meno che non ci sia un poliziotto omosessuale che fuma spinelli o al contrario una manica di bigotti e razzisti che predicano contro l’Islam, ma oggi è contraddistinta da una forma di xenofobia che è alquanto inedita. La situazione politica nel paese non è molto piacevole, ma rende l’Olanda interessante; i populisti– prima Pim Fortuyn e adesso Geert Wilders– hanno infatti escogitato una nuova formula politica. Gli Olandesi si sono sempre vantati di essere all’avanguardia di determinati sviluppi socio-culturali, e lo sono ancora anche se in ottica negativa. Perché non si tratta più della xenofobia tipica della vecchia destra che animava il populismo conservatore in paesi come Austria, Francia e Germania con raccapriccianti eco degli anni Trenta. Il nuovo populismo sposato da Pim Fortyun e Wilders è di natura molto diversa e si avvicina più alle posizioni della “sinistra-salman-rushdiana” che si è opposta all’Islam negli anni Novanta.
L’idea è che dobbiamo contrastare l’Islam, l’Islamismo, l’immigrazione musulmana per proteggere i valori liberali che consideriamo assodati e fattori contraddistintivi dell’Occidente. In altre parole, dobbiamo difendere il femminismo, i diritti gay etc, contro la più grande minaccia nei loro confronti che viene proprio dall’Islam. Si tratta di una nuova forma di populismo, molto ingenua per certi aspetti, che cionondimeno dev’essere presa seriamente in considerazione. Non è sufficiente liquidarla in termini di razzismo o quant’altro. Ci sono sicuramente argomentazioni che si possono opporre a questo populismo, ma devono andare al di là di un’ennesima filippica contro la xenofobia.
(Traduzione di Claudia Durastanti)