Il 29 agosto del 2012 Ann Romney saliva sul palco della convention repubblicana di Tampa nel tentativo disperato di rendere Mitt, suo marito, il candidato repubblicano alla presidenza, una figura meno rarefatta e gelida. In un discorso ricco di aneddoti Ann raccontava anche del Vietnam del marito: la missione come evangelizzatore mormone a Parigi nel 1967. Come spesso è capitato durante la campagna di Romney, l’idea di paragonare l’avventura del ventenne solo e abbandonato nella perigliosa Parigi in fermento pre-68 alle pallottole dei vietcong non fu felice. L’aneddoto però ci ricorda uno dei motivi per cui i mormoni sono tra i giovani americani bianchi più dinamici e aperti al mondo. Sebbene lo facciano per convertire al loro culto, tutti i ragazzi mormoni verso i 20 anni partono per un Paese lontano. Questo li porta a confrontarsi con culture diverse e a conoscere un po’ di più quel che c’è fuori dalla rassicurante provincia americana – che di solito coincide con il remoto e poco metropolitano, ma estremamente dinamico e globalizzato Utah. I mormoni sono più intraprendenti e dinamici e una delle spiegazioni è proprio l’attitudine al viaggio.
Negli Stati Uniti, l’idea di incentivare i viaggi all’estero e gli scambi culturali, la conoscenza degli altri non è quindi monopolio dei fautori dell’impegno civile. Ci sono molti che in questi anni insistono sulla necessità degli Usa di aprirsi al mondo, scoprire cosa sia davvero. In un’economia globale, infatti, l’etnocentrismo americano rischia di essere un handicap tremendo. Le università saranno anche le migliori, ma la scarsa conoscenza del resto del mondo è un bel guaio. Lo si è riscontrato persino nelle analisi ex-post sugli anni della guerra in Iraq e Afghanistan: se i marines avessero avuto qualche piccola idea in più sul Paese, la religione e la cultura delle terre che occupavano, si sarebbero risparmiate diverse vite.
Il primo progetto di promuovere il viaggio per il mondo come forma di impegno civile nasce con i PeaceCorps di Kennedy nel 1961. Negli stessi anni prende corpo l’idea dell’impegno comunitario per seniors, giovani e adulti in genere. Sotto lo stesso JFK si tiene una conferenza sull’importanza della vita attiva per gli anziani, mentre nel 1964, durante la sua “Guerra alla povertà”, Lyndon Johnson crea il Volunteer in Service to America (VISTA) e nel ’65 viene varato l’Older America Act. La storia del servizio civile negli Usa parte quindi da lontano e trova alla sua base l’incrocio tra impegno per la comunità e incentivo pubblico. Lo Stato come facilitatore che incentiva e crea programmi, non quello che interviene. Gli anni in cui nascono questi programmi sono però anche quelli dell’impegno civile e della battaglia per i diritti e la creazione di questi enti e possibilità istituzionalizza una spinta. Che si trattasse anche di scelte di governo progressista lo testimonia il fatto che Nixon quasi abolì i PeaceCorps e Jimmy Carter dopo di lui li rilanciò.
Oggi molte cose sono cambiate. I programmi sono molto più ampi. I PeaceCorps restano reltivamente piccoli, nella loro lunga storia poco più di 200mila persone sono partite per missioni all’estero, oggi ce ne sono 8mila sparse per il pianeta. Di grande impatto è invece la Corporation for National and Community Service, un’agenzia ombrello nazionale che raduna le diverse forme di partecipazione civile, lenta evoluzione dell’idea lanciata da Lyndon Johnson. La riforma è frutto della prima amministrazione di Bill Clinton, nel 1993, che crea anche AmeriCorps. Le diverse agenzie svolgono un ruolo nella comunità, in alcuni casi organizzando un volontariato diffuso non permanente, in altri casi – AmeriCorps – garantendo la sussistenza a coloro che decidono di fare un servizio civile per un anno. Si lavora per una comunità, un gruppo, una Ong, una chiesa – che negli Usa fanno molto lavoro civico – e ci si occupa di ambiente, povertà, alfabetizzazione e tutte le altre attività classiche di un servizio civile. L’aspetto speciale, negli Usa, è che l’assenza del welfare pubblico e sacche di povertà e marginalità impensabili in altri Paesi sviluppati, rendono il lavoro del non-profit, il volontariato e le donazioni un pilastro della coesione sociale. I numeri – sul sito della CNCS – parlano di milioni di persone e miliardi di ore di volontariato all’anno. Agli AmeriCorps, per fare un esempio, partecipano 800mila persone l’anno.
A dare un ulteriore spinta all’idea della partecipazione civica ci sta provando Barack Obama. Non poteva essere altrimenti. Nella sua autobiografia, Dreams from my father, (in italiano I sogni di mio padre, edito da Nutrimenti) l’attuale presidente parla di sua madre come di una liberal con uno spirito anni 60, non la rabbia dei 70, ma un progressismo ingenuo e fiducioso nel futuro. Proprio quello che sta alla base dell’idea originaria dei PeaceCorps. Per questo Obama ha promesso – e in parte mantenuto – l’aumento dei fondi per i volontari all’estero. Quanto al servizio civile, Obama ha cominciato la sua vita pubblica come community organizer nella parte povera e afroamericana di Chicago e la sua idea – o forse il suo ideale – di politica è anche quello di una società di cittadini attivi. Vale per l’idea di costruire la campagna elettorale attorno all’idea della partecipazione, per la trasparenza degli atti e le petizioni postate sul sito della Casa Bianca e, infine, vale per l’idea di allargare e rilanciare il servizio civile. Nell’aprile 2009 il Congresso ha infatti approvato l’Edward Kennedy Serve America Act, dedicato all’appena defunto leone liberal del Senato. La nuova legge amplia il mandato di AmeriCorps, ad esempio rendendola parte dell’intervento in caso di disastri naturali – e nel dopo Sandy si è notata la presenza dei volontari – si pone come obbiettivo quello di arrivare a 250mila volontari l’anno entro il 2017, assegna fondi per il training e il reclutamento di volontari da parte dei gruppi che li utilizzeranno, finanzia la riproduzione di buone pratiche di intervento in zone disagiate e molto altro ancora. Si tratta di una trama di interventi non visibili e non coordinati dal centro – ogni Stato ha la sua organizzazione – che ha un enorme valore in una società così ricca di guai e contraddizioni come quella Usa. L’effetto benefico, secondo un rapporto di valutazione del programma, sta anche nel fatto che cresce la partecipazione futura dei volontari, che diventano significativamente più attivi, consapevoli e legati alla propria comunità locale. Tra le cose che al programma non riescono, il rapporto cita il fatto che non c’è un incremento dell’istruzione media dei volontari e neppure una maggiore riconoscimento delle diversità culturali. Per quello servirebbe viaggiare di più. E qui torniamo ad Ann Romney.