Reggio Emilia, solitamente, è sinonimo di buone pratiche, dagli asili che il settimanale Newsweek ebbe a qualificare, già svariati anni or sono, come «i più belli del mondo» a un sistema di welfare comunale e provinciale assai ramificato ed efficiente. E anche se, da qualche tempo, il modello emiliano non se la passa più così bene, sotto l’effetto della globalizzazione e della recessione economica, la città del Tricolore sta sperimentando con successo una sua via al servizio civile volontario e al protagonismo della sua società civile (quella giovane, e anche quella con qualche annetto in più sulle spalle). Ovvero, la declinazione rispetto al servizio civile dell’idea di Reggio Città delle persone (che è anche il titolo del libro, edito da Donzelli, scritto dal sindaco della città, e presidente Anci, Graziano Delrio, manifesto della sua idea di buongoverno e riforma del welfare emiliano).
Gli emiliani, si sa, vengono solitamente indicati come un po’ carenti sotto il profilo della teorizzazione, vale a dire eccellenti organizzatori, ma più deboli dal punto di vista della capacità di definire dei “sistemi di pensiero” e di procedere alla trasformazione in riflessione delle loro politiche e dei buoni esiti che, in prevalenza, le contraddistinguono. Ci sono, in realtà, delle eccezioni a questo giudizio (e pregiudizio…), come Mauro Bonaretti, direttore generale del Comune emiliano (e già coordinatore di Cantieri, l’iniziativa della Funzione pubblica consacrata ai progetti di innovazione nella PA), ma anche, per l’appunto, un manager e dirigente intento a riflettere sulle policies e sulle cose che fa ogni giorno nel suo lavoro. E, infatti, proprio dall’esperienza originale (anzi, dalla pluralità di good practices) che l’amministrazione comunale reggiana ha avviato sul servizio civile Bonaretti parte, nel corso di questa conversazione con Reset, per sviluppare una serie di ragionamenti di fondo sulle politiche sociali e il protagonismo delle comunità locali.
«Reggio Emilia – ci dice – è una città significativamente dotata di capitale sociale. Sono centinaia le organizzazioni del Terzo settore e migliaia i volontari che quotidianamente compiono gesti spontanei di solidarietà e responsabilità: 104 cooperative sociali, 263 organizzazioni di volontariato, 299 associazioni di promozione sociale, 281.164 soci di queste organizzazioni e ben 26.403 volontari che donano il proprio tempo e le proprie competenze alla comunità. Al ruolo e al valore del capitale sociale reggiano sono attribuite molte delle ragioni che hanno portato il modello emiliano a svilupparsi ed evolversi economicamente e socialmente e ad essere considerato universalmente un modello di successo. È a partire da questo contesto che nel 2008 nasce “I reggiani, per esempio”, un progetto promosso dal Comune di Reggio Emilia per sostenere e valorizzare le buone pratiche di cittadinanza attiva e responsabilità sociale nella direzione di quella forma di sussidiarietà orizzontale sancita dall’articolo 118 della Costituzione italiana, intesa come condivisione di obiettivi e bisogni, compartecipazione alle politiche pubbliche, collaborazione e fiducia reciproca. Il progetto viene realizzato inizialmente per mettere a sistema e valorizzare le forme di sussidiarietà già presenti sul territorio, e diventa poi nel tempo un modo per stimolare e sostenere il coinvolgimento della comunità, organizzata e non, nella realizzazione dell’interesse generale. Con “I reggiani, per esempio” il Comune di Reggio Emilia mira a rafforzare il sistema di “welfare di comunità”, mediante la costruzione di una rete di soggetti ed azioni che contribuiscano, in modo sinergico, alla progettazione delle politiche pubbliche e all’erogazione di servizi efficaci ed efficienti rispetto ai bisogni di una città e di una comunità. In particolare il Comune intende promuovere il valore della partnership tra pubblico e privato, favorendo la costruzione di un patto di reale sussidiarietà orizzontale. E lo fa stanziando risorse rilevanti, ovvero 800mila euro per il bando 2011 e 400mila per quello 2012
A qualche anno dal suo esordio, l’esperienza “I reggiani, per esempio” non è solo una raccolta di buone pratiche, ma costituisce essa stessa una buona pratica da riprodurre, diffondere e condividere. “I reggiani per esempio” sono anche sbarcati in Europa col nome di “Europeans, for example” – Euforex. L’obiettivo è far sì che le pratiche di cittadinanza attiva, che si esprimono attraverso attività di volontariato, abbiano un riconoscimento comune sovranazionale, e che le competenze maturate con queste esperienze siano valorizzate e certificate. I compagni di viaggio scelti dal Comune, project leader di “Euforex”, con la collaborazione dell’ufficio locale e regionale Europe Direct Carrefour Europeo Emilia, sono vari: Ifoa (Istituto formazione operatori aziendali); Casa Corpului Didactic Dolj di Craiova (Romania); Konya Il Milli Egitim Mudurlugu di Meram / Konya (Turchia); Coordinadora infantil y Juvenil de Tempo libre de Vallecas di Madrid (Spagna); Enter (European network for transfer and exploitation of Eu Projects results) di Graz (Austria). Ovvero altrettante realtà interessate a sviluppare e a diffondere il modello e i valori de “I reggiani, per esempio” nei rispettivi territori attraverso un lungo percorso che si concluderà nel settembre 2013».
Quindi, il servizio civile diventa una leva per lavorare sull’incremento del capitale sociale…
«Ciò che cerchiamo di promuovere, infatti – risponde Bonaretti – è il protagonismo della comunità, che si sta sviluppando, all’insegna di queste esperienze, secondo tre livelli. Piani ed esperienze differenti per mobilitare le energie di tanti e per costruire cittadinanza attiva. Da quello che è il nucleo storico del servizio civile hanno preso origine questi tre filoni di impegno civico. Il primo livello coincide con esperienze e campagne come quelle de “I Reggiani per esempio”, che menzionavo prima o, a livello individuale, “Anche tu per esempio” (che sta diventando un modello per altre città italiane, come La Spezia e la sua provincia).
Il secondo livello, più strutturale, è quello della Fondazione per lo sport, che vede la presenza di Uisp, Coni, Csi e del Comune e, nell’assemblea dei soci, delle associazioni sportive, e corrisponde alla volontà di dar vita ad un “soggetto sportivo”, partecipato dai privati, tra cui i gruppi dilettantistici presenti sul territorio, per realizzare direttamente per loro tramite politiche sportive condivise e finalizzate al sostegno a una concezione dello sport inteso come strumento di educazione e formazione personale e sociale.
Il terzo livello lo stiamo sperimentando nelle trasformazioni dell’Area Nord, una zona del tessuto cittadino oggetto di profonda riqualificazione e cambiamento, dove stanno operando in sinergia vari soggetti ed enti, ovvero Reggio Children (il Centro internazionale per la difesa e la promozione dei diritti e delle potenzialità dei bambini e delle bambine che promuove il “Reggio Emilia approach” in materia di educazione dell’infanzia), l’Università di Modena e Reggio Emilia e il Club digitale di Unindustria Reggio Emilia (il gruppo di imprese che opera nell’economia dell’innovazione). All’interno di questa cornice, il Club digitale, un soggetto rappresentativo privato (aderente a un’associazione datoriale, Confindustria) implementa, di fatto, una serie di policies pubbliche, poiché le imprese che ne fanno parte svolgono un ruolo di tutorship a beneficio dei giovani che partecipano ai bandi pubblici per attività di social innovation, e in questo modo si pone in un’ottica di interesse generale.
L’obiettivo è quello di fuoriuscire dalla logica fondata sui tre modelli tradizionali: il paradigma rigoroso del pubblico (con la gestione diretta dei servizi e delle attività), quello di mercato neoliberista e la sussidiarietà nell’impianto diffuso (finora) in Lombardia. Nelle esperienze reggiane si cerca, dunque, di reinventare un pezzo del modello emiliano, passando dall’out-sourcing all’in-sourcing; così si passa dal “voi-loro” al “noi”, nel nome di una logica, cui teniamo moltissimo, di “città delle persone”. E, dunque, non è il pubblico che si ritira dai suoi compiti, ma, al contrario, si tratta del pubblico che promuove il coinvolgimento del protagonismo della società civile nelle sue numerose manifestazioni e, al tempo stesso, quello del privato economico e delle sue forme di rappresentanza. La nostra, quindi, è la scelta di un pubblico che non esternalizza le sue funzioni, ma punta a coinvolgere e responsabilizzare i suoi cittadini rispetto al loro svolgimento». E, di questi tempi – verrebbe da commentare – scusate se è poco…