Abubakar Shekau, leader di Boko Haram, crede che basti dichiararsi musulmano per conoscere la religione e il diritto, mentre è evidente che dovrebbe tornare di corsa sui banchi di scuola. Assurto agli onori delle cronache per il rapimento e sequestro di 223 ragazze cristiane da un collegio e per averle poi costrette alla conversione all’Islam sotto minaccia di venderle come schiave, Shekau ha violato con la sua condotta una serie di principi fondamentali dell’Islam.
Shekau ignora la sharia
Il primo, e più importante, è espresso nel Corano, sura II, versetto 256: “la ikrah fi din”, ossia: non vi è costrizione nella fede, a segnalare l’intolleranza divina per le conversioni all’Islam ottenute a mezzo della minaccia o dell’uso della forza. Il principio è ripreso anche nella sura X, 99 dove si legge: “potresti tu costringere gli uomini a esser credenti a loro dispetto?”.
Non pago di aver violato un chiaro ordine divino, Shekau dimostra anche di non conoscere la sharia quando dice di aver agito per il meglio, impedendo alle ragazze di ricevere un’educazione corrotta e, in subordine, affermando che il desiderio delle ragazze di studiare lo legittima a venderle al mercato come schiave.
La ricerca della conoscenza è un dovere per i credenti, richiamato in almeno due hadith (racconti del Corano): “chi non cerca il sapere o non lo vuol dare sarà castigato” e “ la ricerca del sapere è un obbligo per ogni musulmano e ogni musulmana”. A tanta maggior ragione può ricercare il sapere, dove meglio crede, chi non essendo musulmano (come le studentesse rapite) può accedere anche a scuole e istituti formativi non caratterizzate dall’insegnamento religioso Islamico. Da dove tragga Shekau la convinzione di poter negare a un non musulmano di ricevere un’istruzione non è dato sapere, dato che le fonti in generale, e la giurisprudenza malikita in particolare, non ne fanno cenno.
Schiavitù nel diritto Islamico
Peggiore ancora è l’illogica conseguenza che Shekau trae dalla ricerca dell’istruzione, cioè la possibilità di ridurre in schiavitù un essere umano nato libero. A parte il fatto che l’intero testo coranico è orientato a favore del riconoscimento dello status libertatis a tutti gli individui – tanto che la liberazione di uno schiavo rientrava tra gli atti raccomandati che un musulmano poteva compiere per espiare una propria colpa agli occhi di Dio – a Shekau evidentemente sfugge che non essendo la schiavitù un istituto obbligatorio essa è stata abrogata già a metà del XIX secolo con tanto di fatwa che certificavano la legittimità del divieto di riduzione in schiavitù.
Tuttavia, anche ammettendo che la schiavitù non sia stata abrogata nell’intero mondo Islamico da oltre un secolo e mezzo e che dunque sia ancora in vigore come istituto giuridico disciplinato dalla sharia, è chiaro che Shekau non ha studiato a quali condizioni un uomo o una donna liberi potevano essere ridotti schiavi: per un infedele (in questo caso, le ragazze cristiane), l’unica ipotesi ammessa è la schiavitù in conseguenza della cattura come preda bellica.
Jihad di Boko Haram
Ci si può allora chiedere se Boko Haram sia in guerra e contro chi. Shekau afferma di essere in guerra contro le corrotte autorità nigeriane che non permettono l’applicazione della sharia. A parte il fatto che non è vero – dato che nello stato di Borno, dove il gruppo Boko Haram è attivo e ha rapito le ragazze, la sharia si applica sia nello statuto personale che nel diritto penale – c’è da considerare che il termine jihad, impunemente usato da Shekau per giustificare le proprie azioni, rimanda a una nozione assai precisa sviluppata dai dottori della legge già nei primi secoli dell’Islam.
Lo jihad è un obbligo che grava sulla comunità collettivamente a meno che non si tratti di fronteggiare un’aggressione armata da parte del nemico, nel qual caso l’obbligo diviene anche individuale. Dato che per ordinare lo jihad di aggressione la sharia richiede che si rivesta la qualità di capo (califfo o imam) della Comunità, dal momento che la guerra impone costi umani ed economici che richiedono l’identificazione chiara di un soggetto investito della enorme responsabilità di rispondere della perdita di vite altrui, è chiaro che a Shekau manca del tutto la legittimazione ad agire, quindi la riduzione in schiavitù delle ragazze è illegittima.
Resta da chiedersi: perché mai coloro che nel mondo Islamico avrebbero l’autorità morale e giuridica per contestare la legittimità delle azioni di Shekau tacciono o adottano un atteggiamento eccessivamente cauto? Al quesito non posso rispondere, ma certo è che così servono la causa di un delinquente comune, tradendo i più alti valori dell’Islam e della sharia.
Articolo originariamente pubblicato su AffarInternazionali
Deborah Scholart è ricercatrice presso la Cattedra di Diritto Musulmano e dei Paesi islamici, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.