Da Mondoperaio
Sin dalle prime battute del suo ministero papa Francesco ha rivolto una particolare attenzione al tema della tutela del bene comune, e segnatamente agli effetti che la corruzione è in grado di produrre a danno della società. A tale proposito appare opportuno richiamare fin d’ora due pronunciamenti magisteriali del Pontefice presenti in alcuni passaggi della Evangelii gaudium, e successivamente nel discorso rivolto dal Papa alla delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale, ricevuta in Vaticano il 23 ottobre del 2014. Da un punto di vista strettamente normativo – e in linea con la più ampia riforma della Curia Romana più volte annunciata dal Vescovo di Roma – giova inoltre ricordare la riorganizzazione, ad opera di papa Francesco, degli organismi economico-finanziari della Santa Sede che operano nello Stato della Città del Vaticano[1].
In poco più di tre anni di pontificato Francesco ha fatto riferimento in forma esplicita al tema della corruzione in circa cinquanta occasioni. Per ragioni di obbligata brevità penso siano degni di nota i richiami presenti nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium, risalente al 24 novembre del 2013. Nel cap. II, e precisamente nel n. 56, il Pontefice richiama – in linea con il Magistero sociale dei suoi predecessori – la disparità tra paesi opulenti e paesi “sempre più distanti dal benessere”. La ragione di ciò si rinviene, in via principale, nel predominio che il “facile denaro” ha avuto sugli uomini; di qui il richiamo al fatto che fenomeni corruttivi, ampiamente presenti nelle diverse realtà sociali, sono strettamente collegati alla carenza di valori universali, quali per esempio il riconoscimento dell’altro come essere umano che si pone in relazione con me e non come strumento per raggiungere “facili guadagni” (n. 55). La crisi economico-finanziaria che stiamo attraversando si inserisce, purtroppo ed inevitabilmente, come conseguenza della negazione dell’essere umano quale realtà relazionale: papa Francesco rimarca senza esitazione che all’origine dell’attuale crisi finanziaria via sia una “profonda crisi antropologica” che porta gli uni (i più potenti) a prevalere sugli altri (i più deboli).
Se privilegiare vie non trasparenti per aumentare i propri beni diviene la regola adottata dalle imprese pubbliche, da quelle private e dal mercato, si finirà per promuovere ancor più palesi squilibri tra diverse realtà, all’interno delle quali coloro che vivono situazioni più critiche sono destinati a soccombere. Evitare che i guadagni di pochi crescano esponenzialmente rispetto alla maggioranza non è esclusivamente un principio morale, bensì un vero pilastro portante di una etica comune che non è prerogativa di una confessione o di un’altra. Contrastare il fenomeno della corruzione in tutte le sue forme significa quindi assumere un “impegno comunitario” (da cui prende il titolo il capitolo), che ricade in via principale su coloro i quali hanno maggiori responsabilità pubbliche, istituzionali o di leadership (n. 58).
Al tema della corruzione papa Francesco dedica ulteriori e puntuali riflessioni. La seconda su cui vorrei soffermare l’attenzione è costituita da una critica ad intra che il Pontefice rivolge ad una “Chiesa mondana” (n. 97). Sarebbe eccessivamente lungo ripercorrere i numerosi pronunciamenti del Papa (soprattutto nelle sue omelie a Santa Marta) in cui non si è mai sottratto dal ribadire come gli atteggiamenti che si identificano con una eccessiva mondanità spesso sono legati ad una carenza di autenticità, e conseguentemente a possibili inclinazioni verso ciò che potrebbe essere poco onesto. Francesco ci ricorda inoltre come tra le situazioni più comuni in ambito economico non sia difficile trovare fenomeni corruttivi mascherati da una qualche apparenza di bene (n. 97). Pensiamo per esempio, e limitatamente alla situazione del nostro paese, ai fenomeni corruttivi e di riciclaggio di denaro proveniente da reato ad opera di associazioni a delinquere di stampo mafioso[2].
Il duro monito di papa Francesco ha preso corpo in una riforma normativa sui nuovi organismi economici della Santa Sede, peraltro già iniziata da Benedetto XVI nel 2010 con l’istituzione dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif), a seguito dell’entrata in vigore della lettera data in forma di motu proprio sulla “Prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario” del 30 dicembre del 2010. Per quanto attiene al rapporto tra la Santa Sede e la normativa europea ricordiamo, per esempio, l’istituzione nel 1997, ad opera del Consiglio d’Europa di Moneyval quale organo principale di monitoraggio riconosciuto a livello europeo in materia di contrasto al riciclaggio, cui la Santa Sede ha aderito inoltrando ufficiale richiesta nel 2011, accettata l’anno successivo dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa[3].
Nel discorso rivolto alla delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale del 23 ottobre del 2014 – dopo aver ribadito la reale necessità di un ripensamento dell’assetto penalistico nei diversi paesi, invitando i giuristi alla missione originaria di ricorrere al sistema sanzionatorio quale extrema ratio, senza dimenticare il fallimento che la giustizia penale tradizionale attraversa da decenni – il Pontefice si sofferma su alcune tipologie di reati sempre più in aumento, richiamando esplicitamente alcuni principi già emersi nella lettera che papa Bergoglio aveva inviato ai partecipanti al XIX Congresso internazionale dell’associazione[4]. Nella terza parte del suo discorso il Pontefice fa riferimento a due fattispecie criminose, o tipologie delittuose: la tratta delle persone, con particolare riferimento all’abuso, sfruttamento e commercio di minori ed anziani (non esitando a definirli veri e propri “crimini di lesa umanità” che il più delle volte sono posti in essere anche grazie alla “collaborazione degli Stati”), e la corruzione, dedicando a quest’ultima interessanti riflessioni.
Fin dall’incipit del suo discorso papa Francesco ricorda come la “scandalosa concentrazione della ricchezza globale è possibile a causa della connivenza di responsabili della cosa pubblica con poteri forti”, e – riprendendo il passaggio evangelico dell’amministratore disonesto (Lc 16, 1-8) – afferma che non ci sia cosa più difficile che aprire una “breccia in un cuore corrotto”. Ed è proprio su questa base che il Pontefice sofferma la sua attenzione e ci propone riflessioni che ampliano ed arricchiscono il precedente magistero della Chiesa in tema di bene comune. Dopo aver rammentato che la via privilegiata e più comune alla corruzione coincide con la scelta di “scorciatoie poco lecite” che portano alcuni a considerare gli uomini solo come mezzi utili ai fini di un arricchimento, definisce la corruzione come “un male più grande del peccato” che necessita di essere curato, e non tanto perdonato.
Il fatto più drammatico è che il fenomeno della corruzione sia divenuto, negli anni, un fenomeno da molti definito naturale, sino ad arrivare a costituire uno stato personale legato, per esempio, alla non trasparenza nelle transazioni commerciali e finanziarie a tutti gli stadi e livelli. Riferendosi infine in modo più diretto alla platea che aveva di fronte, papa Francesco offre alcuni spunti che potrebbero essere recepiti da molte realtà statuali. Fermo restando l’impegno, in particolare della comunità internazionale, nella lotta alla corruzione perseguita sempre con maggiore incisività con la previsione di maggiore prevenzione o l’aumento delle pene edittali massime previste per coloro che commettono tali illeciti, il Pontefice non manca di sottolineare come, purtroppo, la risposta sanzionatoria continui ad essere troppo spesso selettiva, richiamando una metafora alquanto incisiva: “E’ come una rete che cattura solo i pesci piccoli”. Non serve spendere molte parole per dire quanto sia urgente perseguire, senza alcuna eccezione e con severità, le forme di corruzione che causano gravi danni sociali, non ultimi quelli di natura economico-finanziaria (pensiamo, ad esempio, ai reati contro la pubblica amministrazione o contro il patrimonio pubblico, oggetto peraltro di continue modifiche da parte di molti ordinamenti statuali).
Dai richiami fatti non risulta difficile affermare come il magistero di papa Bergoglio sia alla base dell’impegno di riforma legislativa da lui fortemente voluto ed attuato, in particolare con gli Statuti dei nuovi organismi della Santa Sede. Data la peculiare importanza che oggi ricopre la formulazione di una politica di amministrazione e di controllo programmata in modo razionale e finalizzata a garantire un profilo organizzativo condiviso e funzionale, nei nuovi Statuti trova spazio la previsione esplicita di strumenti che consentano lo sviluppo di indirizzi volti ad una maggiore trasparenza[5]. Infatti la pubblicazione degli Statuti di tali nuovi organismi[6] permette di cogliere in modo più chiaro la natura e le finalità in cui si collocano il Consiglio per l’Economia, la Segreteria per l’Economia e l’Ufficio del Revisore Generale.
Il nuovo assetto era già stato preannunciato dal Pontefice nella lettera apostolica data in forma di motu proprio “Fidelis dispensator et prudens” del 24 febbraio 2014, dove emergeva l’urgenza di dare alla Chiesa universale una normativa finalizzata a tutelare e gestire con maggiore attenzione i propri beni, finalizzati da sempre al bene comune nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona umana. Palese, in proposito, risulta il riferimento alla Dichiarazione di Lima sui principi guida del controllo delle finanze pubbliche del 1977, dove, nel par. II, si ribadisce l’autonomia e l’indipendenza di ogni istituzione superiore di controllo: certamente la Santa Sede, quale soggetto di diritto internazionale, e lo Stato della Città del Vaticano (Scv) hanno inteso recepire, pur nel rispetto delle loro caratteristiche, alcuni tra i principi contenuti nella citata Dichiarazione. Si deve avvertire che con l’istituzione dei nuovi organismi papa Francesco ha voluto affrontare la delicata questione di tutelare e gestire con attenzione i beni (mobiliari ed immobiliari) che appartengono alla Sede Apostolica, nel rispetto della missione di questa e della finalizzazione di quelli a norma dell’ordinamento canonico.
Per quanto attiene al profilo nuovo della questione – che consiste in una maggior armonizzazione delle attività economico – finanziarie che fanno capo alla Santa Sede con le richiamate esigenze di trasparenza postulate dagli obiettivi di una gestione finanziaria ed amministrativa etica ed efficientemente orientata conformi con le norme che si sono venute a creare anche in sede internazionale – la riforma voluta da papa Francesco incrementa e completa ciò che già dal 2010 Benedetto XVI aveva attuato. I riferiti Statuti pongono in evidenza che i tre Uffici concorrono, ciascuno secondo le attribuzioni conferite loro e con le definite modalità operative, al perseguimento delle finalità di coordinamento, vigilanza e controllo delle attività amministrative ed economico – finanziarie dei dicasteri della Curia romana, delle istituzioni collegate con la Santa Sede e di quelle che operano nello Stato della Città del Vaticano[7].
Da una analisi degli Statuti si evince inoltre, e con maggiore chiarezza, anche la configurazione istituzionale di altre entità che assumono rilevanza per quanto attiene all’attività amministrativa, economica e finanziaria. L’obbligato riferimento va infatti alla già menzionata Aif, fortemente voluta da papa Benedetto XVI, i cui rapporti annuali sono consultabili dal 2012 on line, essendo pubblicati sul sito della medesima Autorità. Per quanto attiene al Consiglio per l’Economia (la cui finalità, ex art. 1, consiste nel vigilare sulle strutture amministrative e finanziarie della Santa Sede e dello Scv), gli Statuti non mancano di rammentare come tale funzione debba essere esercitata secondo la Dottrina sociale della Chiesa, con un particolare riferimento alle migliori pratiche riconosciute a livello internazionale in materia di pubblica amministrazione. Le competenze del Consiglio sono delineate, quindi, in modo da esaltare il ruolo strumentale, rispetto alle decisioni del Pontefice, che l’organismo viene ad assumere quale organo deputato alla verifica dei bilanci preventivi annuali della Santa Sede e dello Scv.
La nuova architettura è arricchita inoltre dalla previsione normativa volta ad istituire la Segreteria per l’Economia e l’Ufficio del Revisore Generale. La Segreteria, la cui natura è sancita dall’art. 1 dove viene definita come un “dicastero della Curia Romana competente per il controllo e la vigilanza in materia amministrativa e finanziaria”, dobbiamo rimarcare come essa si collochi in modo subordinato rispetto al Consiglio, in quanto quest’ultimo detiene un potere di direzione e controllo[8]. Da ultimo, e più marcatamente aderente alle caratteristiche dei cosiddetti “organi di Audit“, trova collocazione l’Ufficio del Revisore generale, che a norma dell’art. 1 dello Statuto è qualificato quale ente della Santa Sede a cui è affidato il compito di revisione dei dicasteri della Curia romana, delle istituzioni collegate alla Santa Sede e di quelle operanti nello Scv.
Il Revisore opera in piena autonomia ed indipendenza, seguendo le migliori prassi riconosciute a livello internazionale in materia di pubblica amministrazione, secondo il disposto dell’art. 2. L’art. 6 par. 1 prevede, inoltre, l’integrità, la confidenzialità e la sicurezza delle segnalazioni inerenti ad attività anomale, proteggendo l’identità dei soggetti che effettuano al medesimo Revisore tali segnalazioni.
In conclusione, dalla analisi condotta, incentrata sul recente magistero e sulle riforme legislative in tema di contrasto alla corruzione e di tutela del bene comune, emerge come l’impegno assunto da papa Francesco risponda non solo ad una urgenza contingente (illuminata da una continua attenzione ai segni dei tempi) di predisporre modalità più consone, e basate su di una maggiore integrità e trasparenza: bensì ad uno sforzo – in linea con quanto iniziato dai suoi predecessori – di rispondere meglio ai fini naturali e soprannaturali a cui la Chiesa è istituzionalmente preposta, finalità cristallizzate da una tradizione plurisecolare che affonda le sue radici nella Scrittura, nonché nel libro V del Codice di diritto canonico del 1983 sui beni temporali della Chiesa.
Alcune settimane fa, a margine di un convegno che si è svolto alla Camera dei Deputati, Frans Timmernans, primo vicepresidente della Commissione europea, ha affermato che “nessuna società cresce se non è comunità”. Ebbene, ancora una volta l’impegno di papa Francesco illumina e guida i difficili passi in avanti, a volte impopolari ed impervi, già intrapresi e quelli che verranno: finalizzati ad operare in vista di una maggiore integrità e trasparenza al servizio della comunità, e di conseguenza del bene di ogni persona. A ciò inevitabilmente si dovranno aggiungere prudenza, vigilanza, lealtà e trasparenza: caratteristiche che, “unite al coraggio della denuncia”, aiuteranno a debellare la piaga della corruzione, evitando in tale modo anche la pur minima corresponsabilità o complicità di fronte a fenomeni legati alla corruzione, come ha affermato il Pontefice nel n. 19 della Bolla di indizione del giubileo Misericordiae Vultus dell’11 aprile 2015.
Note
[1]Cfr. M.J. ARROBA CONDE – M. RIONDINO, Introduzione al diritto canonico, Milano, 2015, pp. 157-161.
[2]A tal proposito, seppur con inspiegabile ritardo, anche l’Italia ha cercato di adeguarsi alla normativa europea e transnazionale in materia. Non possiamo non menzionare alcune tra le modifiche normative introdotte di recente, come per esempio l’istituzione di una Autorità nazionale anticorruzione, istituita con il Decreto legge 90/2014 (poi convertito nella legge n. 114/2014) o le misure di prevenzione introdotte a seguito della entrata in vigore della legge n. 190/2012.
[3]Cfr. A. SARAIS, La valutazione di Moneyval nei confronti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano in materia di lotta contro il riciclaggio dei capitali ed il finanziamento del terrorismo, in Il Diritto Ecclesiastico 123 (2012), pp. 209-224.
[4]Cfr. L. EEUSEBI, Un’asimmetria necessaria tra il delitto e la pena, in Rivista italiana di diritto e procedura penale LVII (2014), pp. 1022-1029.
[5]Per una più ampia disamina, cfr. G. DALLA TORRE, Sui nuovi organismi della Santa Sede. Considerazioni generali, in Monitor Ecclesiasticus CXXX (2015), pp. 277-282; C. BEGUS, Sui nuovi organismi della Santa Sede. Cenni di diritto patrimoniale, in Monitor Eccleisasticus CXXX (2015), pp. 289-294; C. PINOTTI, Sui nuovi organismi della Santa Sede. Strutture e competenze, in Monitor Ecclesiasticus CXXX (2015), pp. 283-288.
[6]In vigore dal 1° marzo 2015 e facilmente reperibili on line nel sito della Santa Sede
[7]Cfr. P. CONSORTI, Le riforme economiche di papa Francesco, in Finanze vaticane e Unione europea. Le riforme di papa Francesco e le sfide della vigilanza internazionale, a cura di P. Consorti – E. Bani, Bologna 2015, pp. 7-31.
[8]Opportuna appare inoltre, anche in forza di una più proficua organizzazione e trasparenza, la suddivisione in due distinte sezioni: la Sezione per il Controllo e la Vigilanza (artt. 6-14) e la Sezione Amministrativa (artt. 15-19): la prima finalizzata al monitoraggio delle attività ordinarie dei dicasteri della Curia romana e delle istituzioni collegate alla Santa Sede (art. 8), con una particolare attenzione alle risorse umane, finanziarie e materiali equamente ripartite tra di essi; la seconda finalizzata, in via principale, a porre in atto indirizzi, modelli e procedure in materia di appalti volti ad assicurare che tutti i beni e i servizi necessari alla Santa Sede e alle istituzioni che operano nello Scv siano acquisti nel modo più prudente ed economicamente vantaggioso (art. 15). Entrambe le sezioni sono dirette da un Prelato Segretario Generale, nominato per cinque anni, dal Pontefice (art. 4).