Proponiamo la recensione di Jim Sleeper al libro di Zev Chafets “Roger Ailes Off Camera” apparsa sulla Columbia Journalism Review nel 2013.
Quando nel 1997 ho pubblicato Razzismo liberale (contenente un capitolo su come il New York Times stesse dando una rappresentazione fuorviante delle politiche razziali nella pagina degli editoriali diretta da Howell Raines) sono stato intervistato per Fox News, una rete che a malapena avevo sentito nominare, da Bill O’Reilly, di cui davvero non avevo mai sentito parlare. L’incontro è stato tranquillo, ma ben presto mi sono reso conto di come la rete non lo fosse affatto. Sotto la presidenza di Roger Ailes, che aveva esposto la propria visione della Fox a un partecipe Rupert Murdoch appena un anno prima che io incontrassi O’Reilly, il canale si stava rapidamente trasformando in quello che Zev Chafets definisce un “elemento di trasformazione” dei media e della cultura politica americana. Trattando il giornalismo come se fosse tutta una questione di ascolti e spettacolo, la Fox in effetti fa una dichiarazione di natura profondamente politica, sviscerando il significato reale della politica democratica.
Il prezzo che stiamo pagando per questo emerge chiaramente dall’epilogo sulla notte delle elezioni frettolosamente aggiunto da Chafets a Roger Ailes Off Camera (il resto del libro è scritto come se le elezioni del 2012 dovessero ancora avvenire). L’epilogo ci mostra Ailes, settantunenne, e Murdoch che reagiscono impassibili, nel quartier generale della Fox, ai primi segnali della vittoria di Obama: un’umiliante battuta d’arresto per i suoi commentatori politici O’Reilly, Karl Rove, Dick Morris e Sean Hannity, che avevano passato tutta la serata, così come la maggior parte della campagna elettorale, a insistere che la vittoria dei repubblicani fosse imminente.
Chafets però non fa cenno alcuno a quella che per i giornalisti è verosimilmente stata la questione cardine della nottata, sintetizzata nell’esasperata domanda rivolta a Rove dalla conduttrice della Fox Megyn Kelly: “È solo un calcolo matematico che fai in quanto repubblicano perché ti fa sentire meglio, o è reale?”.
Cos’è “reale” per Fox News? Difficile a dirsi. Gli stravolgimenti nel modello americano di diffusione delle notizie sono stati prodotti non solo dalla digitalizzazione, dalla globalizzazione e dalla concomitante frammentazione del pubblico che consuma tali notizie e delle sue coordinate, ma anche, e forse ancor di più, dal perverso genio del marketing di Ailes, che ha dato alla paura e alla rabbia che pervadono la politica americana nuove e più pericolose forme di espressione.
Ha anche introdotto una nuova spinta ideologica, per compensare l’influenza “liberale” nei media ufficiali: “La Fox potrà essere o non essere equilibrata al suo interno”, scrive Chafets, “ma Ailes ha ragione quando afferma che a volte sono loro l’equilibrio”.
Malgrado gli ascolti della Fox siano calati dalle elezioni, risaliranno se la paura e la rabbia aumentano e se Ailes si appiglia a questo. “Non vedo all’orizzonte un’autentica risposta liberale alla Fox, per quanto la MSNBC si stia dando molto da fare”, commenta Mark Danner con Chafets, e la stessa Rachel Maddow della MSNBC è d’accordo: “Roger ha preso un po’ di fascino e grandi idee per fare spettacolo e ne ha ricavato una magia… Credo che abbia vinto. Se i media erano privi di un centro prima, ora non lo sono più”.
A sostegno della sua tesi secondo cui la copertura data dalla Fox ai risultati delle elezioni sarebbe stata “spassionata e professionale”, Chafets cita l’episodio della marcia di Megyn Kelly davanti alle telecamere, la sera delle elezioni, sul Fox Decision Desk dopo aver sentito più volte Rove mettere in discussione la scelta di chiamare l’Ohio per Obama. Secondo Jonathan Alter in The Center Holds, però, in realtà in quell’occasione sarebbe stato Ailes a chiamare da casa per ordinare che la conduttrice compisse quel gesto e salvaguardare un po’ della credibilità di Fox News. Chafets ribalta il dato rilevato dal Pew Center secondo cui la copertura data dalla Fox del presidente Obama sarebbe otto volte più negativa che positiva spiegando che Ailes, che in passato aveva protetto Richard Nixon da intervistatori troppo critici, “ha capito alla perfezione per quale motivo [Obama] abbia preferito conversare con Whoopi Goldberg… piuttosto che partecipare a una sessione di intervista con Bill O’Reilly”. E aggiunge che la “MSNBC, la maggiore rivale via cavo della Fox, è stata ben più faziosa: appena il 3 per cento della copertura che ha dato a Romney è stata positiva, il 71 per cento negativa, un rapporto di 23 a 1”.
Queste scuse da cortile dell’asilo – “Ma lo ha fatto anche lui!” – saltano fuori di frequente in questo libro, così come la tendenza di Ailes e Chafets ad accusare preventivamente gli altri di qualsiasi cosa di cui la Fox si sia resa colpevole, in modo che i media ufficiali riportino un’equivalenza. Ma questo non spiega la copertura sbilanciata in negativo data a Obama dalla Fox o le rappresaglie dell’MSNBC tese a rispondere al fuoco della Fox con le sue stesse armi.
Tutto ha avuto inizio alla Fox quando Ailes si è reso conto, come i demagoghi (e i loro produttori di riferimento) hanno sempre fatto nel corso della storia, che chiunque fosse dotato di abbastanza denaro, intelligenza e abilità nel sapersi vendere tali da scatenare passioni che la buona politica avrebbe dovuto canalizzare in maniera costruttiva poteva portar loro potere e profitti. È quello che fece Cleone secondo quanto narrato da Tucidide nel dibattito tra gli ateniesi riguardo a Mitilene; è quello che hanno fatto Huey Long, Joe McCarthy, e i recenti collaboratori della Fox Glenn Beck e Sarah Palin, trasformando legittimi risentimenti in performance brillanti che hanno finito per stagnare e collassare, tragicomicamente o catastroficamente, sulle loro stesse bugie e ignoranza.
“In televisione, quel che cambia è la tecnologia”, insiste Ailes. “Il contenuto è l’unica costante. Dev’esserci spettacolo… Conquistando gli ascolti, è così che si viene ripagati”, e un produttore conferma a Chafets che Ailes “farebbe di tutto per guadagnare ascolti”. Come spiegato a Chafets da Neil Cavuto, conduttore della Fox e accolito di Ailes, prima di Ailes “il nostro unico pensiero era: questa storia è importante? Non pensavamo a chi l’avrebbe guardata”. Ailes “ha costretto la gente a uscire dalla sua torre d’avorio”, per citare Chafets. E Cavuto osserva che “si può trarre una storia da qualsiasi cosa”, e che Ailes “ha indottrinato un’intera generazione di produttori con questa sua visione”.
Ma la stampa è l’unico comparto che la Costituzione non regolamenta, perché il suo reale obiettivo è quello di rafforzare la vita pubblica dei cittadini aiutandoli a coltivare le virtù pubbliche – come per esempio l’inclinazione e la capacità di deliberare razionalmente così da prendere decisioni ragionevoli – che, come forse avrete notato, né lo stato liberale né i mercati ultimamente hanno fatto molto per alimentare o tutelare.
Ciò investe il giornalismo (e altre istituzioni della società civile, come i licei delle arti liberali) di un’enorme responsabilità. Chafets dimostra come Ailes ribalti l’informazione e l’affidabilità di cui una repubblica ha bisogno volgendo i suoi mezzi di sopravvivenza al proprio scopo, tramite l’utilizzo di “grafiche appariscenti, musica assordante, controversie costanti e promozione no-stop”.
La Fox però piega, o reindirizza, il giornalismo non solo all’intrattenimento ma anche all’alimentazione e canalizzazione delle correnti di rabbia e paura presenti nell’opinione pubblica che vengono convertite in torrenti di potere politico. Laddove Chafets incensa Ailes, incessantemente, come un novello P. T. Barnum e apostolo dei profitti, queste sono solo due delle gambe che compongono il suo treppiedi. La terza è l’agenda politica: più austerità, più aggressività della politica estera, più strette sulla normativa pubblica e sui sindacati.
Ailes porta ogni risultato a casa con un sacco di scaricabarile. I sapientoni della Fox e Rush Limbaugh – che non lavora lì, ma ha Ailes come mentore dal 1991 e il cui profilo è stato descritto da Chafets in Rush Limbaugh: An Army of One – accusano i liberali di fomentare la guerra di classe che Ailes e Limbaugh per primi promuovono esasperando i rancori degli spettatori della classe operaia e distogliendo l’attenzione dalle loro effettive cause per dirigerla verso i professori, i giornalisti d’élite e i pubblici legislatori.
Attribuire loro il ruolo di nemici funziona per un po’, ma la sera delle elezioni la Fox è caduta vittima di se stessa nell’accusare i liberali di vari pubblici disastri – il fallimento in Iraq, le conseguenze dell’uragano Katrina, la finanziarizzazione e deregolamentazione selvaggia che avevano prodotto il collasso economico – tutti eventi che la maggior parte degli elettori si è resa conto che i democratici non avevano causato, anche quando i liberali si erano uniti a loro.
Chafets ci dice abbastanza dell’adolescenza di Ailes in una piccola cittadina dell’Ohio – un emofiliaco più volte a un passo dalla morte, con un padre che malgrado ciò lo picchiava –, della sua salute perennemente malferma e della sua infelice vita privata (tre matrimoni, dal terzo dei quali è nato il suo unico figlio, quando Ailes aveva 59 anni) per suggerire quali fossero le radici della sua visione che Chafets non prova a sbrogliare (e neanche io ci proverò in questa sede).
Ci dice che Ailes ha lavorato parecchi anni come consulente politico, per Nixon, Ronald Reagan e George H. W. Bush tra gli altri, prima di lasciare all’inizio degli anni Novanta. “Odiavo la politica”, ammette oggi Ailes ricordando quell’epoca. Il suo ritorno alla televisione – alla CNBC prima ancora di vendere a Murdoch l’idea della Fox – ha testimoniato però non tanto la sua emancipazione dalla politica quanto piuttosto l’audace politicizzazione delle notizie in TV.
I quadretti che Chafets dipinge delle amicizie di Ailes e dei suoi gesti caritatevoli non riescono a convincermi del fatto che Ailes veda l’umanità come un qualcosa di diverso dal pubblico di un circo e da linfa per i battibecchi politici. Ailes sa anche che la gente aspira alla dignità, o almeno a una via di fuga dall’umiliazione. Ma quando si è bravi come lui a usare le “notizie” per procacciarsi e intortare spettatori che i tuoi sponsor stanno intrappolando tra spire di fine stampa aziendale e messaggi degradati, molti di loro cadranno vittima dell’abitudine della Fox di scaricare la colpa su Obama il socialista e sul mega finanziere liberale George Soros, che Glenn Black ha chiamato “Mastro Burattinaio” in una serie da tre puntate della Fox i cui agghiaccianti stretti parallelismi con l’architettare della cospirazione antisemita hanno inchiodato gli spettatori con il senso della storia.
Arianna Huffington ha interpellato Ailes a proposito dei servizi di Beck su Soros quando Ailes ha accettato l’invito di Barbara Walters a comparire sull’ABC (va di rado in TV, ma “un amico è un amico”, spiega Chafets). “Non si tratta di usare il termine “polizia””, avvertiva l’Huffington. “È un qualcosa di più profondo… lo stile paranoico [utilizzato da Beck] è un pericolo nel momento in cui là fuori si soffre veramente”. Ailes ha prontamente ribattuto accusando la Huffington di aver fatto la stessa cosa citando un poco conosciuto e non pagato blogger dell’Huffington Post che aveva scritto che Ailes assomigliava a J. Edgar Hoover e aveva una faccia orribile.
Ma la Huffington è quella arrivata più vicina di tutti a comunicare ad Ailes di fronte a un grande pubblico che sta giocando col fuoco: quando sarete a corto di socialisti e terroristi da avversare, uno dei tuoi dipendenti troverà sempre qualche capitalista – magari ebreo, come Soros – da distinguere dagli altri, che restano al riparo.
Chafets è consapevole di tale rischio, forse anche troppo: cresciuto con il nome di William Chafets a Pontiac, MI, e dopo aver studiato alla University of Michigan di Ann Arbor, si è trasferito in Israele, ha servito nel loro esercito ed è stato addetto stampa del primo ministro Menachem Begin. Tornato negli Usa dopo il 2000, ha scritto per il Daily News di New York editoriali con titoli come “In che modo gli israeliani stanno aiutando l’America a combattere la guerra al terrorismo” e “La “bomba demografica” di Arafat è l’ennesima delusione”. Malgrado abbia di recente detto a Brian Lehrer della WNYC di aver tracciato i profili di Limbaugh e Ailes perché gli piacciono “le persone che cambiano la cultura o vanno controcorrente, e la gente che si comporta da bastian contrario almeno nell’ambito della propria professione”, sicuramente il fatto che la Fox “stia dietro a [Israele] tutto il tempo”, per dirla con Ailes, con Limbaugh che segue da vicino, contribuisce a spiegare la smania di Chafets di giustificarli entrambi per tutto il libro. Credo che stia anche cercando di farsi un’assicurazione contro l’antisemitismo via via che la “visione” di Ailes si fa più terrificante. Chafets cesella la storia notando che Ailes ha agevolato la fuoriuscita di Beck dalla Fox; nota anche come il fondatore della CNN Ted Turner e altri abbiano paragonato Murdoch a Hitler – “il che farebbe di Roger Ailes una reincarnazione di Goebbels”, aggiunge sarcasticamente. Ma questa reductio ad absurdum mette veramente fine alla storia?
Chafets pare pensare di sì, ricamando molto sulle “amicizie” di Ailes con i liberali d’élite che gli capita anche di assumere, compresi i figli di Robert Kennedy e Mario Cuomo e la figlia di Jesse Jackson (il figlio di Cuomo, Chris, ha lasciato la Fox quest’anno per la CNN). Pare che li assuma non solo per una connotazione di protezione ma anche per avere la loro complicità nel trasformare le notizie in un gioco di soldi, potere e pubbliche relazioni. Ailes sta giocando a un gioco più lento e più lungo di quello che fa la maggior parte dei demagoghi.
Ciò lascia intatti e immacolati i liberali da “torre d’avorio” che restino abbastanza assennati da porre domande serie e trovare risposte che potrebbero funzionare se la demagogia non le svuotasse di legittimità e fondamento. Più l’attacco feroce vende, più i giornalisti che non lo emulano restano intonsi e immacolati, inoltre. Come lamentato dall’antico interlocutore di Cleone, Diodoto, anche chi ha a cuore l’interesse pubblico deve fare appello alla paura e alla rabbia per essere ascoltato.
Mefistofele viene sempre col sorriso, ammiccando, accompagnato dalla promessa di fulgide vittorie. Ailes e i suoi apologeti, come Chafets, le hanno assorbite e godute, ma li attendono amare sorprese, e ben pochi di noi li seguiranno sulla medesima china scivolosa.
Tradotto da Chiara Rizzo