Sarà la sua forza, la sua passione, la ragione per cui Bergoglio provoca entusiasmo o rigetto più che incontro e riflessione? Si parla molto, ad esempio, di Bergoglio e “popolo”. Ma si può farlo senza le periferie? Per questo proverei a leggere alcune considerazioni sul ruolo che il concetto di “popolo” ha nella sua visione, penso in particolare a quella del professor Loris Zanatta, (Il Mulino 2/2016) espressa da “laico pieno di dubbi”; e visto che muovo proprio da questo sentire, provo ad esprimere il timore di qualche equivoco se non si fa incontrare questo stimolo con quelli diversi ma attigui contenuti nel saggio del professor Andrea Riccardi, “Periferie”. Perché più che le “teorie” per accostarsi a Bergoglio è fondamentale, a mio avviso, il concetto di empatia.
Sono nomi importanti: Andrea Riccardi da professore e da cattolico è entrato con Sant’Egidio nelle periferie. Loris Zanatta, professore e laico, è un punto di riferimento per i tantissimi che come me hanno cercato di farsi un’idea delle radici latinoamericane leggendo o ascoltando le sue illustrazioni dei grandi dell’America Latina. Ora presenta un papa, partendo dall’ assunto che Bergoglio sia un peronista (non entra nella questione di “quale peronismo”) e un populista. Da ciò fa derivare alcune preoccupazioni che sommariamente presento così: “Bergoglio è figlio di una cattolicità imbevuta di antiliberalismo viscerale, erettasi, attraverso il peronismo, a guida della crociata cattolica contro il liberalismo protestante, il cui ethos si proietta come un’ombra coloniale sull’identità cattolica dell’Argentina. […] Le società moderne, anche quelle del Sud del mondo, sono sempre più articolate e plurali […] Continuare a considerare i ceti medi, cresciuti a milioni e ansiosi di più consumi e migliori opportunità, ceti coloniali nemici del pueblo non ha senso.” Questa sottolineatura della crescita dei ceti medi, elemento positivo del punto d’arrivo globale, incontra nelle pagine di “Periferie” un altro dato del trend planetario che è importante affiancargli: il più grande “popolo” del mondo d’oggi, il 31,6% dei nostri contemporanei, vive negli slums, percentuale che sale al 71,9% in Africa.
Il discorso però riguarda le visioni e il professor Zanatta si confronta da subito con l’esito di due dei viaggi più importanti di papa Francesco: quello in Ecuador, Bolivia e Paraguay e quello a Cuba e negli Stati Uniti. Li riassume in questi numeri: la parola pueblo è stata usata 356 volte, individuo 14, democrazia 10, libertà 73 volte. Eccoci così al timore: Bergoglio è un pauperista portatore di “una cosmologia manichea”, difende “un’identità eterna e impermeabile al divenire della storia.”
Lo studioso avrà riferimenti non solo recenti, io no; vaticanista ordinario, leggendo ho però risentito l’omelia pronunciata dal Papa nei giorni conclusivi del Sinodo sulla Famiglia a Santa Marta (23/10/2015): “I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente. Dobbiamo cambiare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma il nostro atteggiamento deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi. Siamo liberi. Siamo liberi per il dono della libertà che ci ha dato Gesù Cristo. Ma il nostro lavoro è guardare cosa succede dentro di noi, discernere i nostri sentimenti, i nostri pensieri; e cosa accade fuori di noi e discernere i segni dei tempi”. Proprio questa “visione” lo ha portato a sfidare tante convinzioni sedimentate, per fare della Chiesa non un giudice esterno e al di sopra della storia. Credo sia il primo aspetto su cui riflettere per evitare equivoci. E passare così al concetto di popolo.
In Bergoglio la parola “popolo” non si capisce appieno senza riferirsi alla teologia del popolo. Già prima di essere eletto papa, il 10 maggio 2012, nella facoltà teologica della capitale argentina, rese omaggio al teologo Rafael Adolfo Tello, allontanato dall’insegnamento al tempo della dittatura militare. Tello era un esponente della teologia del popolo. Ha scritto don Carlo Molari su Micromega (6/2015): «Questi teologi hanno messo in luce il significato salvifico della vita di fede del popolo anche quando è accompagnata da concezioni erronee e imperfette». Questo passaggio sulle concezioni erronee o imperfette mi ha sempre molto interessato, ma è un punto scritto proprio da Bergoglio sulla teologia del popolo che mi ha colpito di più: “Il punto di partenza è pensare all’uomo come un essere sociale per natura. Nessuno può vivere assolutamente isolato, tutti gli atti delle persone si danno in un ambiente storico che li condiziona, l’operato concreto è contrassegnato dalla cultura in cui si svolge. Nella dinamica della storia l’uomo crea la cultura e la cultura influisce sull’uomo. Con parole di Giovanni Paolo II: «L’uomo è insieme figlio e padre della cultura in cui è immerso». In questo la fede non fa eccezione.” (Prefazione a “Introduzione alla teologia del popolo, di Enrique Bianchi, EMI). Bergoglio qui riporta valutazioni di tanti anni fa, che sembrano indicare una pre-visione di quella intesa che nel 2004 avrebbe portato alla convergenza tra Jürgen Habermas e il cardinale Ratzinger sul fatto che l’etica non è un fatto individuale, ma il prodotto collettivo delle culture. Un cavillo? Francesco e Benedetto XVI, pur nelle loro differenze, hanno in comune più di quanto comunemente si dica. Basta rileggere la benedizione “Urbi et Orbi” del 2005: “L’umanità unita potrà affrontare i tanti e preoccupanti problemi del momento presente: dalla minaccia terroristica alle condizioni di umiliante povertà in cui vivono milioni di esseri umani, dalla proliferazione delle armi alle pandemie e al degrado ambientale che pone a rischio il futuro del pianeta.”
Uno dei principali contributi di Bergoglio al tentativo di unire riguarda il dialogo tra cattolicesimo e modernità. Nel pensiero cattolico si è sovente ricordato che la modernità ha portato “al dominio”, e i regimi d’inizio Novecento sono tragica e innegabile prova. Bergoglio, nell’enciclica Laudato si’, ha naturalmente ricordato Romano Guardini, l’autore più citato, ma ha anche scritto: “Se una cattiva comprensione dei nostri principi ci ha portato a volte a giustificare l’abuso della natura o il dominio dispotico dell’essere umano sul creato, o le guerre, l’ingiustizia e la violenza, come credenti possiamo riconoscere che in tal modo siamo stati infedeli al tesoro di sapienza che avremmo dovuto custodire” (LS, 200). Non c’è qui qualcosa di molto importante, parlando come papa Francesco non potremmo dire “qualcosa di molto bello”? Ha osservato infatti il professor Daniele Menozzi che pur ribadendo la tradizionale visione cattolica, riconoscendo che anche cristiani possono essere caduti nel “dominio” facilita il dialogo e vede l’altro tratto della modernità nell’apprezzamento dei diritti dell’uomo. Parlando del “diritto alla felicità”, di tutti. Uno sforzo che richiede però la sua “lirica” umanista, il rischio di apparire “pauperista” perché tutto questo senza empatia verso gli uomini delle periferie rimarrebbe sulla carta. Nel suo libro Riccardi ricorda il tentativo di restaurazione cattolica dopo la Rivoluzione Francese: restaurare cioè una centralità, urbana e ideale, del cattolicesimo in città divenute nel tempo megalopoli. E’ la teologia urbana di Bergoglio che ponendo il tema delle periferie “riprende tutta una problematica di lungo periodo[…]: l’evangelizzazione dell’uomo e della donna contemporanei attraverso la condivisione del loro mondo e la simpatia per la loro vita”, superando la visione dei valori non negoziabili non per insensibilità, ma per la priorità dell’andare in periferia. E’ uno sforzo da prendere sul serio. E così torniamo alla teologia del popolo. Nel testo di Bergoglio citato in precedenza, come sovente gli accade, lui non si ferma alla logica della sua visione, anche in quel testo c’è la lirica della sua visione: “ Quando come Chiesa ci accostiamo ai poveri per accompagnarli, constatiamo – al di là delle enormi difficoltà quotidiane – che vivono con un senso trascendente della vita. In qualche modo il consumismo non li ha ancora ingabbiati.” Toni che possono spaventare, visto che altrove sono ancora più “lirici”. Di qui il senso dei timori del professor Zanatta; amore per i poveri o ostilità per il benessere, i ceti medi, la cultura liberale? “Il denaro sterco del diavolo”… Si potrebbe evitare la discussione affermando che è “passione evangelica”. Ma il temuto pauperismo di Bergoglio va affrontato. E aiuta proseguire nella lettura parallela con Andrea Riccardi, che racconta l’esperienza dei preti operai a Parigi: “I missionari non dovevano convertire al cristianesimo qualche isolato per portarlo fuori dal proprio ambiente, ma creare la Chiesa in mezzo ai proletari e periferici, accettando anche di imparare dai più poveri.” Più dei toni è l’urgenza di stabilire un’empatia che ci aiutare a capire. Non sono solo parole, e mi permetto di collegarvi un altro contributo che mi ha molto arricchito, consentendomi di capire diversamente il temuto pauperismo. Zanatta osserva che in Bergoglio si può vedere il ceto medio che “contagia il pluebo con l’ethos individualista”. Al riguardo mi ha aperto altri orizzonti la riflessione di un liberale arabo: “non sono tempi allegri per le nostre società, ma quando torno da Parigi mi domando come mai nelle nostre società così segnate da povertà e assenza di servizi i poveri sopravvivano più facilmente che nei paesi affluenti. E’ un problema legato alla visione dell’individuo, da voi ormai legata all’idea di “io sovrano”: per noi il termine individuo significa “uno di una coppia”, e questo spiega perché da noi, pur nel dolente presente, ci sia una visione più sociale. Per spiegarmi ti faccio un esempio: un amico emigrato a Parigi vive lì felicissimo, ma quando ha saputo che suo figlio sta per sposarsi una francese ha avuto un sussulto, pensando alle cene a venire, tutte con quella fettina di carne nel piatto; lui, abituato ai nostri piatti di portata comuni, dove uno prende un po’ più di questo, un po’ meno di quello.”
Tutto questo per me porta al cuore dell’urgenza che percepisco in Bergoglio; vedere l’altro, uscire da sé, “raggiungere”. E passo velocemente all’altra valutazione: come valutare i viaggi nelle Americhe di papa Francesco? Le statistiche citate da Loris Zanatta obbligano a riflettere chi teme per l’individuo, messo in ombra da una pluralità di “popoli” che a volte non rispettano la pluralità al loro interno. Premesso che a Cuba, dove i Castro hanno proibito il vocabolo “transizione”, Bergoglio per me ha aggirato genialmente il problema parlando ogni giorno di “riconciliazione”, che è già una transizione in sé, anche noi possiamo non contrapporre l’attenzione all’individuo alla ricezione felice dell’importanza data dal papa a “cambiamento” e “politica”. La lirica boliviana, (discorso ai movimenti) dove il termine “cambiamento” è ricorso più di trenta volte, io l’ ho unita alla lirica americana (discorso al congresso), che è stato aperto da una citazione importantissima, quella dell’inno nazionale, «la terra dei liberi e la casa dei valorosi». Il discorso ai movimenti ha guardato in faccia non solo il dolore di chi è vittima di tante esclusioni, ma anche alla sua richiesta di un cambiamento “adesso” (mai più contadino senza terra, famiglia senza tetto, persona senza lavoro); quello al Congresso, nel segno commovente di quattro icone americane, Abraham Lincoln, Thomas Morton, Dorothy Day e , non certo ultimo, Martin Luther King, ha rilanciato il grande sogno americano. Come ha sottolineato padre Diego Fares su “La Civiltà Cattolica”(2016/I), lì ha chiesto di rendere effettivo il loro coraggio, lottando per «riformare il mondo», come si afferma in Laudato si’, e di rendere effettiva questa libertà, non permettendo che «la politica sia schiava dell’economia e delle finanze». Forse è questo il punto e forse è per questo punto che un recente sondaggio della Harvard University ha indicato che il 51% dei giovani americani sotto i 29 anni non crede nell’odierno capitalismo. Da tempo Bergoglio ci parla del sogno, invisibile in certo liberismo, nel “paradigma della tecno finanza”. Eccoci così ad un altro possibile equivoco; la “simpatia per la Kirchner” e l’ ostilità per il neo presidente argentino Macri . Simpatia per la peronista e ostilità per il liberale?
La stampa argentina ha scritto che la signora Kirchner avrebbe partecipato alla stesura di un dossier per bloccare l’elezione del papa argentino. E molti hanno ricordato che si era rifiutata di ricevere l’arcivescovo di Buenos Aires diciannove volte, dando credibilità alla “diceria”. Non potrebbe essere allora che sia stata la battaglia con i “fondi avvoltoio” a riavvicinare non per virtù peroniste ma per necessità sociali Bergoglio alla signora Kirchner? Quando un magistrato statunitense diede torto a Obama e ragione ai fondi avvoltoio, il governo argentino non accettò. Con Macri, invece, l’intesa è stata raggiunta. Ma andiamo con ordine. La trattativa con i fondi avvoltoio ancora non era chiusa nei primissimi mesi del governo Macri, che Griselda Clerici ha presentato così su “Sbilanciamoci” nel febbraio di quest’anno: “già ora Joseph Stiglitz prevede il rischio drammatico di una recessione ed un aumento vertiginoso delle diseguaglianze […] Il primo intervento di Macri è stato quello di svalutare la moneta nazionale rispetto al dollaro e abolire ogni forma di controllo dei movimenti di capitale finanziario. […] Sono stati fortemente ridimensionati i prodotti e i beni di necessità che erano sottoposti ad un prezzo controllato socialmente.[…] Sono state cancellate le tariffe agevolate di luce e gas. Le prime bollette stanno arrivando con aumenti che superano il 700%.” Poi è arrivata l’intesa con i fondi avvoltoi. Ha scritto nell’aprile di quest’anno su “Linkiesta” Francesco Peloso: “Se in passato il rapporto con l’ex presidente Cristina Kirchner (e prima ancora col marito presidente, Nestor) è stato burrascoso, da quando Bergoglio è diventato papa le cose sono un po’ cambiate. Negli ultimi tre anni, infatti, l’Argentina ha cercato un accordo con i creditori internazionali dopo aver ristrutturato il proprio debito, e se la maggior parte di essi aveva accettato la proposta del governo di Buenos Aires di un pagamento ridotto, un gruppo ristretto ma potente di “hedge fund”, fondi avvoltoio – nelle mani del super finanziere americano Paul Singer – fra l’altro uno dei maggiori sostenitori economici del partito repubblicano negli Stati Uniti – si sono rifiutati di sottoscrivere l’intesa impedendo all’Argentina l’accesso ai mercati finanziari internazionali e spingendo quindi il Paese verso il default. In questo frangente il Papa ha cercato di aiutare il suo Paese. Dopo l’elezione del conservatore Mauricio Macri nel novembre scorso come nuovo presidente dell’Argentina, il negoziato miracolosamente si è sbloccato; il Paese latinoamericano si appresta a pagare ai fondi speculativi che avevano acquistato le obbligazioni del 2001 a prezzi stracciati, ben 9.352 milioni di dollari, una cifra enorme, finanziata attraverso l’emissione di oltre 16 miliardi di dollari di nuove obbligazioni, il che ha dato liquidità immediata al governo Macrì ma probabilmente ‘garantirà’ alle future generazioni e ai futuri governi, una sorta di indebitamente perpetuo e una limitazione dell’indipendenza economica e politica. Non c’è da stupirsi allora, se quando Macri è venuto in Vaticano lo scorso 27 febbraio, l’accoglienza che ha ricevuto dal papa sia stata particolarmente fredda e breve, non più di 20 minuti di colloquio.”
Forse anche quella che qui prospetto è una visione in bianco e nero, molti lo affermano, ma non condividere queste politiche non credo derivi da viscerale antiliberalismo, ma da un più diffuso non liberismo. Il problema non è solo economico e Zanatta richiama che “il delicato equilibrio dei poteri dello Stato di diritto, la tutela giuridica delle libertà individuali, non sono temi cui Bergoglio sia mai stato molto sensibile”: non so abbastanza della sua fase argentina, ma una certa visione giuridica, soprattutto nei confronti dei detenuti per i quali Bergoglio invoca una giustizia non retributiva ma ripartiva, l’ho colta in ogni suo viaggio così profonda da farlo apparire ai miei occhi un profondo conoscitore del grande René Girard.
Siamo così al rapporto con la democrazia (solo sociale) e i ceti medi (poco considerati). E’ un bivio? Cito al riguardo uno dei passaggi cruciali del discorso pronunciato da Bergoglio al Parlamento Europeo, il 25 novembre del 2014: “ Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di evitare tante “maniere globalizzanti” di diluire la realtà: i purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza. Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti (corsivo mio,nda). Questa è una sfida che oggi la storia vi pone. Dare speranza all’Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello dell’educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società.”
In definitiva, l’equivoco da cui sono partito mi sembra stare proprio nel timore che il temuto pauperismo in Bergoglio si traduca in una visione ostile al progresso, ai ceti medi, in una cupa visione “apocalittica” che invece a me appare un costante monito all’empatia, e quindi a una politica capace di riscoprire le ragioni dell’uomo, come indica l’articolo 3 della nostra Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
E’ giusto vedere nel mondo, come ci invita a fare il professor Zanatta, i ceti medi in espansione, il progresso toccare e riguardare tanti che prima ne erano esclusi. Ma è giusto anche non credere ciecamente nel progresso, e leggere l’ultimo rapporto di Oxfam, Working for The Few – Political capture and economic inequality– che ci offre un quadro dell’ineguaglianza mondiale. La metà della popolazione più povera, circa 3,5 miliardi di persone, ha un reddito annuale pari a quello degli 85 uomini più ricchi del pianeta. “L’estrema disuguaglianza tra ricchi e poveri – dice Oxfam – implica un progressivo indebolimento dei processi democratici a opera dei ceti più abbienti, che piegano la politica ai loro interessi a spese della stragrande maggioranza”. Papa Francesco sa esortarci a non nascondere la seconda verità dietro la prima? E’ possibile, se ciascuno sarà disponibile a scorgere nel proprio campo, e non solo in quello altrui, il rischio del dominio. Anche qui è l’intreccio con il libro di Andrea Riccardi che può aiutarci: “Siamo forse all’inizio di una svolta epocale, imposta dalla storia del XXI secolo. […] La svolta epocale si identifica con passaggio da una comunità ecclesiastica a una Chiesa di popolo: tale svolta ha il suo punto qualificante proprio nel cristianesimo che vive nelle periferie. E’ un processo che Francesco ha intuito e iniziato, ma che non può essere il prodotto della volontà di un solo uomo […] E’ storia di entusiasmo per il Vangelo e il suo radicamento nelle grandi città. Qui si collocano le difficoltà di un mondo che- con i media e la globalizzazione- crede di conoscere i periferici ma non li vuole incontrare o addirittura si vuole difendere da essi.” Emerge così un rischio antico che riguarda sia lo statalismo sia il liberismo, quello del quale parlava già nel 1967, in occasione della Festa del Primo Maggio, Riccardo Lombardi, azionista che poi ha militato nel Partito Socialista: “La scelta dei consumi non è più di pertinenza del consumatore, poiché la società moderna, la società neocapitalistica è dominata dal produttore; lo schema di Einaudi, di una democrazia di consumatori che tutti i giorni coi loro acquisti depongono un bollettino di voto e dicono alla società che cosa essa deve produrre, se deve produrre più profumi e più cosmetici, o deve produrre più scuole attraverso la scheda data dall’acquisto, non è vero: oggi i tre quarti dei nostri consumi sono indotti dalla necessità della produzione. Sono i produttori che stabiliscono quello che noi dobbiamo desiderare e quello che noi dobbiamo consumare, e badate bene, compagni, questo è un problema che sta diventando endemico non soltanto nella società di capitalisti, ma nella società socialista. Recentemente in Ungheria vedevo le réclame per i cosmetici, perché se ne acquistassero di più, e mi sentivo dire che ci sono delle fabbriche che hanno superato le cifre del piano per i cosmetici e venivano lodate per questo: dispersione delle risorse, per correre all’imitazione del modello di sviluppo americano, pur cercando di afferrarlo per la coda. Piccoli segni, ma segni interessanti che il problema non esiste soltanto per noi, che dobbiamo ancora varcare il limite attraverso cui si rende possibile una direzione dell’economia, ma anche in paesi dove la direzione è possibile, perché tutta l’economia, tutta la produzione è collettivizzata: anche qui è già in corso questo processo degenerativo che porta veramente a una riedizione psicologica, e poi necessariamente anche politica, del capitalismo nei suoi elementi essenziali, a un capitalismo fatto benissimo dallo stato.”
E’ molto interessante notare che partendo da questa visione sottolineava: “agli amici cattolici ricordo che c’è tutta una scuola loro, quella che fa capo ad alcuni economisti quali il Perroux, che si fonda proprio su questo, su un progetto dell’uomo; un’economia che sia al livello di una riforma dell’uomo, questo è veramente un terreno morale prima che politico, su cui ci si può largamente incontrare.” Particolarmente attento agli aspetti sociali dei fenomeni, già a quel tempo il cattolico Perroux elaborò la teoria della «crescita economica armonizzata», critica della teoria classica che vuole includere nel calcolo economico costi e rendimenti solitamente trascurati e in particolare il costo dell’uomo.
Così, comprendendo e apprezzando sensibilità e approcci diversi, percepisco una forza in Bergoglio, la forza del “sogno”, il sogno di un umanesimo integrale, un sogno che sa aprirci gli occhi al pericolo degli “imperi sconosciuti”. “In El Salvador – ci informa Andrea Riccardi – nel giro di poco più di un decennio, si è passati da una condizione di conflitto tra Stato e guerriglia (con una ideologia), conclusasi negli anni Novanta, a una realtà democratica, in cui però le mafie giovanili controllano le periferie, minacciano le città, arruolano parte delle giovani generazioni”. E’ qui, forse, il grande contributo di Bergoglio alla difesa della democrazia. E’ un servizio non alla teoria, come fa Jean Francois Gayroud, questore della polizia francese, nel suo recente libro, “Il nuovo capitalismo criminale”: “le mafie hanno ormai ampiamente superato i confini nazionali, stanno imponendo una nuova geografia dei poteri e partecipano attivamente alla disgregazione del mondo contemporaneo.” Sono rischi che Bergoglio ci invita a vedere insieme, consapevolmente, pur mantenendo, magari, priorità diverse, ma preservando un’indispensabile capacità; l’empatia.