Il Sole 24 Ore: “Squinzi: un’Italia nuova con la forza dell’industria. Il Presidente: riforme non più rinviabili. ‘Obiettivo tornare a crescere’. Ascoltare l’allarme del nord”. Di spalla: “L’economia cinese frena. Crollano i listini: Tokyo -7 per cento. Milano giù con le banche”.
Il Corriere della Sera: “’Il Nord è sull’orlo del baratro’. Squinzi:subito più sviluppo o torniamo indietro di 50 anni. Letta: sosterremo gli sforzi delle aziende. L’allarme di Confindustria. Le Borse giù, Milano perde il 3 per cento”.
A centro pagina, sull’omicidio di Londra: “Il coraggio delle tre donne davanti ai killer”. Di spalla: “I giudici: Berlusconi gestiva i diritti tv anche da premier”.
La Repubblica: “’Berlusconi, premier e evasore’”. “Le motivazioni della condanna per il processo Mediaset: gestiva i fondi neri sui diritti tv anche da Palazzo Chigi”. “Il Cavaliere: accuse ridicole. Busta con proiettili alla Boccassini”. Di spalla: “I killer di Londra sono inglesi convertiti all’Islam”. A centro pagina: “Squinzi: siamo sull’orlo del baratro”.
La Stampa: “’Berlusconi evasore da premier’. La replica del Cavaliere: motivazioni surreali, mai avuto conti all’estero”. “Le motivazioni della condanna in appello: guidava Mediaset dopo la discesa in campo I grillini: è la prova che non può essere eletto”. In alto: “Confindustria: ‘Il nord sull’orlo del baratro”.
L’Unità: “’Gestiva l’evasione da premier’. Diritti tv, le motivazioni della condanna del Cav. La Cassazione: ha diffamato i giudici”. A centro pagina: “Squinzi avverte: senza crescita è la fine”.
Il Giornale: “La rivolta del Pdl. Caso Mediaset, Berlusconi condannato sulla base di pregiudizi. ‘Era ovvio che guidasse l’azienda’. Il Cavaliere: ‘Motivazioni surreali, è una provocazione’. E il centrodestra si ribella ai pm persecutori”. A centro pagina un articolo di Paolo Guzzanti “a difesa di Dario Franceschini”, per un sms inviato dall’esponente Pd che invitava a votare per la sua compagna: “Se l’amore imbarazza la sinistra”.
Il Fatto quotidiano: “Il partito dell’amore minaccia la Boccassini. Lettere minatorie e buste con proiettili contro il pm del processo Ruby: un clima irrespirabile, alimentato dagli uomini di Berlusconi. Ancora più furiosi dopo le motivazioni dell’appello Mediaset (‘Decideva tutto lui, anche da premier’)”.
Confindustria
Nel suo intervento ieri alla Assemblea di Confindustria Giorgio Squinzi ha elencato i “mali che affliggono l’Italia”, come scrive Il Sole 24 Ore, dal “fisco vessatorio e iniquo alle lentezze burocratiche, al mercato del lavoro ‘vischioso e inefficiente’. Arrivando a definire la ‘mancanza di lavoro la madre di ogni male sociale’ e lanciando l’allarme di un Nord ‘sull’orlo del baratro economico’”. “Dovrà essere la politica industriale, secondo Squinzi, l’asse porte delle scelte del Governo, che si augura ‘abbia davanti a sé il tempo di attuare le politiche necessarie’. Squinzi ha detto: “Dateci la stabilità, una convinta adesione all’Europa, una serie di riforme per uno Stato amico e saremo un grande moltiplicatore della nostra capacità di fare industria”. La lista delle riforme da “mettere in atto”: “Dalla semplificazione burocratica, che passa attraverso la revisione del Titolo V della Costituzione, alla riduzione del peso fiscale, oltre a cambiare un fisco ‘opaco e incerto’, rilanciando la delega fiscale. Occorre un intervento di filiera che rilanci le costruzioni e una azione sul credito: ‘il calo dei prestiti alle imprese di 50 miliardi è il peggiore del dopoguerra’. Applaude la platea quando Squinzi chiede una revisione della legge fallimentare, sulle regole del concordato preventivo. Vanno rilanciate le liberalizzazioni: ‘Lo Stato e la Pa pesano il 60 per cento del valore del Pil nazionale’. E poi la lentezza della giustizia; una ‘cattiva istruzione di cui pagano il conto i giovani’ Anticipa le critiche delle imprese che si lamentano: ‘Se siamo ancora il secondo Paese manifatturiero d’Europa, l’ottavo al mondo, forse lamentarci non è la nostra principale attività”. Infine qualche riferimento a questioni interne, dopo le critiche della settimana di Guido Barilla sulla organizzazione: “Non temiamo il confronto, il nostro obiettivo è innovare con regole e modelli più leggeri, senza imposizioni dall’alto, puntando sulla qualità”. “Non siamo casta o potere forte, siamo la casa del capitalismo reale, quello produttivo e dell’innovazione”.
Alla assemblea ha parlato anche il presidente del Consiglio Letta e – scrive Letta – ha recitato “il mea culpa a nome della intera classe politica. A partire dall’abbaglio, dalla convinzione che si potesse crescere anche senza industria, mantenendo in Italia e in Europa il centro decisionale, affidando ad altri continenti e ai Paesi emergenti la produzione. ‘Possiamo dire che è finito il periodo durato più di un decennio, in cui si è pensato che l’Italia e l’Europa potessero fare a meno dell’industria’ dice il premier. Il rilancio di Usa e Giappone sta lì a dimostrarlo e rappresenta una sfida che non può non essere colta”, scrive il quotidiano di Confindustria.
Libero ricorda: “’Al Paese serve l’industria’. Ma l’ha distrutta la sinistra. Il premier ora dice che bisogna rilanciare il manifatturiero, però ad affossarlo tra ideologia e privatizzazioni furono i progressisti. Con Letta ministro del settore”. “Prodi e i suoi amici finanzieri pensarono di fondare l’economia italiana solo su Borsa e servizi: la crisi ha sancito il fallimento di questa idea”.
Alle questioni interne di Confindustria oggi La Stampa dedica una pagina: “Montezemolo: da Barilla uno stimolo a cambiare”. E poi una intervista all’Ad di Ferrovie Moretti (Barilla aveva criticato la presenza delle grandi aziende di Stato e dei servizi in Confindustria). “Separare l’industria manifatturiera dai servizi? Non ha senso”, dice, ricordando che tra i più importanti gruppi del Paese, tra i primi 40, solo “appena sei”, Fiat, Finmeccanica, Riva, Benetton, Pirelli e Luxottica” i gruppi manifatturieri, “con Fiat che non è più in Confindustria e Finmeccanica che è considerata di fatto pubblica. Per il resto sono tutte utilities, poco importa se a controllo pubblico o privato. Perché è chiaro che se si vuol mettere fuori Eni, poi devono uscire anche Saras ed Erg. E se esce Enel, deve andar fuori anche Edison, no?”.
Giustizia
Ieri sono state rese note le motivazioni con cui la Corte di Appello di Milano ha condannato Silvio Berlusconi nel processo sui diritti televisivi Mediaset. Spiega Il Sole 24 Ore che per i giudici della seconda sezione penale della Corte di Appello Silvio Berlusconi ha continuato a frodare il fisco anche dopo la sua discesa in campo. Scrivono i giudici: “Vi è la piena prova, orale e documentale, che Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale del gruppo B e, quindi, dell’enorme evasione fiscale realizzata con le società offshore”, per cui la pena stabilita in primo grado (quattro anni di reclusione e interdizione dai pubblici uffici per cinque anni per il reato di frode fiscale) è del tutto proporzionata alla gravità materiale dell’addebito e alla intensità del dolo dimostrato. Si tratta di una operazione illecita realizzata e portata a termine costituendo società e conti esteri a ciò dedicati, un sistema portato avanti per molti anni. Parallelo alla ordinaria gestione delle società del gruppo. Sfruttando complicità interne (ed esterne) ad esso”. I giudici d’appello affermano poi che il sistema illecito è “proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti”, e condotto “in posizione di assoluto vertice”. In altra parte della motivazione che viene riprodotta dal Corriere della Sera si legge che con una “strategia originata in anni in cui Silvio Berlusconi era incontestabilmente il gestore diretto di tutte le attività, il gruppo Fininvest, e più precisamente il suo fondatore e dominus, con l’avvocato Mills, ha costituito una galassia di società estere, alcune delle quali occulte, che occulte dovevano restare, tanto da corrompere la guardia di finanza che rischiava di scoprirle, anche perché parti di tali fondi erano utilizzati per scopi illeciti: dal finanziamento occulto di politici alla corruzione di inquirenti, dalla corresponsione di somme a testi reticenti alla elusione della normativa italiana (specie della legge Mammì, che dettava limiti al possesso di reti tv)”. Ed è nell’ambito di questo sistema che, per i giudici, “interponendo tra le major statunitensi e il gruppo Fininvest-Mediaset una serie di società estere che operavano adeguati ricarichi sulla vendita di diritti tv, sono stati creati costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all’erario”.
Nella stessa giornata di ieri, peraltro, la Cassazione motivato il no del 6 maggio alla richiesta di spostare a Brescia i processi a carico di Berlusconi, considerando “destituite di fondamento” le circostanze addotte da Berlusconi come prova di ostilità nei suoi confronti, comprese le accuse al Pm Boccassini che, in realtà, secondo la Cassazione, non esorbita dal proprio ruolo nel “contrastare richieste e contegni processuali della difesa che ritiene o interpreta come dilatori”. Il Giornale, in riferimento alle motivazioni della Corte d’Appello sui diritti tv, sottolinea che entro ottobre potrebbe arrivare la sentenza definitiva della Cassazione: se anche quella gli desse torto, magari Berlusconi non andrebbe in carcere, scrive il quotidiano, essendo anziano (verosimilmente gli verrebbe concesso di scontare l’anno di carcere, perché gli altri tre sono coperti dall’indulto, agli arresti domiciliari). Ma, sottolinea il quotidiano, l’interdizione dai pubblici uffici, cariche parlamentari comprese, sarebbe comunque esecutiva. Non a caso la Corte d’Appello gli nega le attenuanti generiche perché avrebbe continuato a commettere il reato quando era a Palazzo Chigi.
Legge elettorale e ineleggibilità
Scrive il Corriere che paradossalmente le preoccupazioni più forti per il presidente del Consiglio Enrico Letta arrivano dal suo stesso partito, perché il Pd non trova pace, né sul fronte interno, né nel suo rapporto con il governo. La linea dei piccoli ritocchi sulla legge elettorale ha scatenato sospetti e veleni, e il timore di Palazzo Chigi è che prima o poi possa saldarsi un fronte antigovernativo guidato da alcune personalità che hanno fatto la storia del Pd. Ci si riferisce alla recente sintonia tra renziani, veltroniani, dalemiani, fioroniani e bindiani sulla legge elettorale e non solo. Non è ancora una intesa, ma potrebbe diventarlo se è vero che il segretario Epifani medita di chiamare nella sua segreteria solo esponenti delle aree filogovernative. La direzione nazionale slitta e il Pd non sa ancora se il congresso si terrà in autunno oppure no.
La Repubblica intervista l’ex segretario Veltroni e spiega che non gli piacciono affatto le voci che girano su modifiche minimali alla legge elettorale: Veltroni, che ha fatto della riforma elettorale una delle sue bandiere, teme l’addio all’alternanza: “Se l’unica modifica consiste nell’introdurre una soglia del 40 per cento” per ottenere il premio di maggioranza – dice Veltroni – “non va bene. Possono esserci altre soluzioni per rispettare quel che dice la Consulta”. Perché non va bene? “Perché oggi abbiamo un sistema politico sostanzialmente tripartito, con uno dei tre soggetti disinteressato ad alleanze, e rischiamo di dare una strumentazione elettorale alla prosecuzione obbligata delle larghe intese”, “certo Berlusconi è il più interessato a una prospettiva di questo genere, ma noi siamo i meno interessati, perché il nostro obiettivo, la ragione stessa della esistenza del Pd, è l’alternanza, una maggioranza riformista che è ancora il dato inedito della storia italiana”. Se lei fosse al Senato, voterebbe pro o contro l’ineleggibilità di Berlusconi? “Guardi, io la penso come Zagrebelsky. La questione giuridica è affidata alle valutazioni dei senatori, e sul piano politico non so se in questo momento la cosa migliore da fare sia prendere una decisione che consenta a Berlusconi di far cadere il governo e andare ad elezioni, che si determinerebbero subito, dicendo che gli vogliono togliere la parola e costruire così un plebiscito sul piano della libertà”.
La Stampa scrive che il segretario Pd Epifani è consapevole che la sentenza di Milano nei confronti di Berlusconi pone un ulteriore problema a chi è costretto a condividere le sorti del governo con il Cavaliere, ma ai suoi interlocutori ha fatto capire quale sarà la linea che terrà il partito: “Certo, l’abc della politica è che gli avversari vanno combattuti e sconfitti politicamente, detto ciò in questo momento abbiamo tutti molto più a cuore i problemi della crisi e dell’economia, quindi non ho neanche avuto modo di leggere le motivazioni della sentenza. Comunque sul nodo della eleggibilità sentirò i pareri dei membri della Giunta che dovranno pronunciarsi sul merito”, ha detto Epifani. Sullo stesso quotidiano una intervista Massimo Mucchetti, senatore del Pd: “Pensare di cacciare Berlusconi dal Senato con un colpo di maggioranza nella Giunta per le elezioni mi pare ingenuo sul piano politico e sbagliato sul piano del diritto”. “Berlusconi dichiarato ineleggibile potrebbe far cadere al governo, andare alle urne come martire, vincere le elezioni, reinterpretare di nuovo la legge e riprendere lo stesso seggio da cui era stato rimosso. Un leader politico non potrà mai esser cancellato dalla scena in questo modo. D’altra parte anche Grillo comanda il Movimento 5 Stelle stando fuori dal Parlamento”. Per questo Mucchetti sta lavorando ad un ddl che permetta di sciogliere, “una volta per tutte”, il nodo del conflitto di interessi, sostituendo, come spiega, il principio di ineleggibilità con quello di incompatibilità.
Su L’Unità il direttore Claudio Sardo firma un editoriale che pure pone l’attenzione sulla questione del conflitto di interessi, e scrive: “Se Berlusconi verrà condannato in via definitiva non ci potranno essere sconti, la legge è uguale per tutti. E se a Berlusconi, nell’altro processo a suo carico, fosse inflitta la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici, la decadenza da senatore diventerà inevitabile. Il leader del Pdl ha partecipato alla ‘stranissima’ maggioranza per trarne un qualche vantaggio sul piano giudiziario? Allora è meglio che ritiri subito la fiducia al governo Letta e proponga apertamente le elezioni anticipate. Il governo Letta richiede patti chiari. Il programma deve procedere con celerità, ma stavolta è chiaro far saltare il tavolo vuol dire mettere a rischio il futuro stesso del Paese. Piuttosto, la vicenda processuale di Berlusconi colloca di nuovo molto vicino alle priorità una legge moderna antitrust e anti-conflitto di interessi. Se ci fosse una destra in Italia, capirebbe che il problema – e il rischio democratico – va molto oltre Berlusconi. Non vorremmo che finita la stagione del Cav ci si trovasse con conflitti di interesse ancora più intricati, e senza avere a disposizione gli anticorpi sociali”.
Intanto oggi si riunisce il Consiglio dei ministri e secondo La Repubblica il governo inizierà la discussione sui principi generali del disegno di legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti, sostituendolo con forme di contribuzione dei cittadini agevolate fiscalmente.
Internazionale
La Stampa scrive che si chiamava Lee Rigby aveva 25 anni e un figlio di due, il soldato inglese sgozzato ieri a Londra, in una strada di Woolwich. Arruolatosi nel 2006, era stato in Afghanistan nel 2009. Il primo ministro Cameron ha detto in tv che si è trattato di un “attacco contro la Gran Bretagna” ma è stato anche un “tradimento dell’Islam”, condannando così l’efferatezza dell’omicidio ma ricordando che la grande maggioranza dei quasi tre milioni di sudditi musulmani sono persone pacifiche. E ancora La Stampa spiega che l’uomo con le mani sporche di sangue e un coltello da macellaio in mano, ripreso dalle telecamere, è un inglese di origine nigeriana convertitosi all’Islam. Michael Olumide Adebolajo, 28 anni, e il suo complice non ancora identificato, erano noti ai servizi segreti britannici ma non venivano visti come una minaccia. Sono in arresto in ospedale. Adebolaj, nato a Lambeth, quartiere popolare a sudest di Londra, e poi trasferitosi con la famiglia nella cittadina di Romford, conduceva secondo i testimoni una vita ordinaria: tifoso del Tottenham, la domenica andava in chiesa con la famiglia, cristiani della Nigeria. La svolta sarebbe avvenuta dopo la conversione all’Islam nel 2003, quando, con il nome di Mujahid (guerriero), si è avvicinato a un gruppo estremista poi bandito in Gran Bretagna. Ci si riferisce probabilmente al gruppo Al Muhajiroun. Adebolajo faceva spesso volantinaggio a Woolwich contro lo spiegamento di truppe britanniche in Iraq e Afghanistan. Il quotidiano intervista il romanziere anglo-pakistano Hanif Kureishi,che si dice colpito dalla spaventosa brutalità dell’assassinio: “non è il classico attewntato terrorista dove si butta una bomba e si scappa o ci si ‘immola’. L’impressione che ho avuto è di trovarmi di fronte a un pazzo, un vero pazzo”, “se vuoi uccidere, una giustificazione politica è una ottima scusa”.
Su La Repubblica John Lloyd: “Per paradossale che sia, il raccapricciante omicidio sulle strade di Woolwich mette in luce un cambiamento positivo subentrato nella società britannica negli ultini dieci anni. Nel 2002, dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York, molti musulmani britannici manifestarono apertamente la loro gioia. Questa volta, invece, soltanto un unico piccolo gruppo – il comitato musulmano per gli affari pubblici, che ha assunto una linea militante – dissente dalle condanne e dichiara su Facebook che ‘queste persone hanno fatto ciò che hanno fatto per dire al mondo che sono stanchi di essere oppressi, colonizzati, uccisi per il solo fatto di essere musulmani’. Nessun altro ufficialmente è d’accordo, il Consiglio musulmano britannico è stato categorico ed ha fatto sapere che si è trattato di un ‘atto barbaro’, che non ha presupposto alcuno nell’Islam’”.
Ma, scrive ancora Lloyd, lo spirito della jihad è ancora vivo e anima giovani uomini: è animato, più che da qualsiasi altra cosa, dalla Rete, proprio come i fratelli Tsarnaev che hanno compiuto un attentato alla maratona di Boston dopo essersi ispirati a siti web che esaltano la resistenza islamica. Allo stesso modo i giovani musulmani britannici radicalizzati arrivano a credersi guerrieri in un territorio nemico”.
La Repubblica riproduce l’intervista con “la donna che ha affrontato uno degli attentatori”, Ingrid Loyau-Kennet.: 48 anni, ex insegnante, scout, ha parlato al secondo killer per distrarlo. “Volevo che si concentrasse su di me. Ho pensato meglio me che un bambino”, dice. E’ scesa da un autobus convinta che l’uomo a terra -il soldato- fosse vittima di un incidente stradale. Il killer le ha detto di non avvicinarsi, lei ha pensato di parlargli: non le appariva né drogato, né ubriaco, ma solo “agitato”. Gli ha chiesto: cosa vorresti? E ha cercato “di farlo parlare dei suoi sentimenti, di tutte le bombe lanciate ciecamente, e che hanno ucciso donne e bambini musulmani”. Il direttore de La Repubblica Ezio Mauro firma un lungo editoriale dal titolo “Il fronte occidentale”: “il terrorista islamista che chiede al telefonino con la mela (simbolo occidentale supremo del contemporaneo) di inquadrare la sua minaccia alle democrazie, appena dopo aver invocato Allah mentre uccideva, è un testa-coda perfetto. E’ la metafora di come si può ‘usare’ il nostro mondo vivendoci dentro per combatterlo, ribaltandone i valori fino ad ucciderli nella pubblica piazza di una qualunque periferia europea”. Mauro cita poi il caso dello storico di estrema destra francese Dominique Venner, che si è suicidato nella cattedrale di Notre Dame per protestare contro la legge sui matrimoni omosessuali: i tre protagonisti di queste storie erano dominati per ragioni contrarie “da un’ossessione comune, l’Occidente”. Gli islamisti inglesi “£temono il suo contagio nichilista e dominatore, il francese teme al contrario il suo declino finale come un sistema di credenze esausto e consumato”. Quindi il corpo “diventa simbolo”, quando il singolo è sopraffatto da problemi che non riesce a dominare e non cerca e non trova più “risposte collettive a problemi individuali”.
Su La Stampa, il resoconto del discorso tenuto da Obama alla National Defense University: il presidente ha delineato i nuovi principi della lotta al terrorismo: attacchi limitati con i droni, sostegno alle transizioni democratiche arabe, lotta alle fughe di notizie e soprattutto chiusura del carcere di Guantanamo grazie al trasferimento di molti detenuti in Yemen. Il Pentagono troverà un luogo in cui celebrare i processi militari, assumerà la responsabilità dei trasferimenti dei sospetti terroristi e la Casa Bianca toglierà il veto ai rimpatri in Yemen ma soprattutto il Presidente tornerà a chiedere con forza a Capitol Hill di far “detenere chi si trova a Guantanamo nei nostri penitenziari, come avviene per altri terroristi”.