Da Reset-Dialogues on Civilizations
L’Iran si avvicina al voto del 14 giugno e Ahmadinejad passa all’attacco. Il già due volte presidente iraniano ultra conservatore, la cui contestata rielezione innescò manifestazioni nell’estate del 2009, non smette di far parlare di sé. Lo scorso lunedì aveva dichiarato di aver subito minacce da parte di funzionari governativi che gli intimavano di non continuare a fomentare l’opposizione alla Guida suprema Ali Khamenei. Infatti, nei giorni precedenti, uomini vicini ad Ahmadinejad avevano manifestato l’intenzione di rendere noti dettagli su casi di corruzione che avrebbero coinvolto alti funzionari governativi. Il generale Hassan Firouzabadi, capo dello staff delle Forze armate iraniane, aveva accusato Ahmadinejad di tentare «di manipolare l’opinione pubblica».
Alcuni esponenti dell’entourage di Ahmadinejad avevano anche pensato di organizzare una manifestazione nello stadio Azadi alla quale avevano invitato a partecipare 85 blogger, donne e giovani attivisti il prossimo cinque maggio. Pochi giorni prima si era tenuto in uno stadio di Teheran un raduno di quasi centomila persone organizzato dal governo per ringraziare quanti hanno lavorato durante le vacanze del recente capodanno persiano. La manifestazione si è trasformata in uno show elettorale in favore di Mashaei, collaboratore di Ahmadinejad.
Il presidente iraniano sarebbe stato fermato per sette ore lunedì scorso dai Pasdaran, e proprio per questi motivi. Lo riferiscono fonti della diaspora iraniana negli Stati Uniti, smentite dall’agenzia ufficiale del regime Irna. Anche il deputato Hossein Mozaffar aveva criticato duramente il presidente Ahmadinejad per il ritardo del governo nel formare il Comitato elettorale centrale che, secondo la nuova legge elettorale, sarebbe già dovuto entrare in funzione. Secondo le nuove norme, il ministero dell’Interno sarà incaricato della supervisione elettorale insieme al comitato, con un parlamentare, l’avvocatura generale, il ministro dell’Informazione e sette altri amministratori, politici e figure religiose.
Jahanbegloo: «Vogliono dare prova di pluralismo. Ma è fumo negli occhi»
«Per evitare le manifestazioni del 2009 gli ayatollah sono pronti a tutto», ci spiega Ramin Jahanbegloo, esule iraniano in Canada, intellettuale e docente di Etica dell’Università di Toronto. «Vogliono far credere che ci siano numerosi candidati come prova di pluralismo, in realtà si tratta di figure dell’establishment», prosegue Jahanbegloo. L’assenza di riformisti potrebbe indebolire il dibattito politico. «È questo il punto, gli ayatollah vogliono la partecipazione e un’alta affluenza alle urne, per evitare di innescare contestazioni», conclude il docente. Tutto questo avviene mentre il Paese ha dovuto fronteggiare due gravi fenomeni tellurici. «Si è trattato di terremoti devastanti. La cosa preoccupante è che il secondo è avvenuto a meno di una settimana dal terremoto di Bushehr», è il commento di Ramin Jahanbegloo.
L’ultimo violentissimo sisma (7.8 Richter) ha colpito il Sistan e Baluchistan, poverissima regione sud-orientale dell’Iran. Jahanbegloo sottolinea le responsabilità delle autorità iraniane nella gestione dei fenomeni tellurici. «Il governo iraniano non fa abbastanza per i terremoti, si sa che ce ne saranno altri, la questione politica è come prevenirli. Alcuni organismi internazionali hanno tentato di affrontare il tema, come l’Agenzia delle Nazioni unite per lo Sviluppo (Undp), ma è necessario un approccio più ragionevole», aggiunge il docente.
Ma non ci sono solo ombre, rimane lo spiraglio del riavvicinamento di Teheran con l’Egitto. Tuttavia, sembra presto per parlare di relazioni rafforzate. «I due Paesi hanno visioni distinte sulla storia islamica, qualsiasi tipo di riavvicinamento ha bisogno di tempo. In questo momento, ci sono miglioramenti che facilitano i viaggi di turisti iraniani in Egitto ma i due Paesi sembrano ancora lontani», spiega Jahanbegloo.
Dai movimenti: pressioni per una candidatura di Khatami
Nelle prossime settimane il Consiglio dei Guardiani, sarà chiamato a decidere quali dei candidati hanno i requisiti per partecipare alle elezioni. Intanto, il leader ed ex presidente della Repubblica Hashemi Rafsanjani starebbe per abbandonare la sua candidatura alle elezioni presidenziali del prossimo 14 giugno. Tra i motivi, il quotidiano Saham ha riportato il dissenso di Hashemi Rafsanjani con la Guida suprema. Si profila uno scontro tra Ali Akbar Velayati, consigliere conservatore della Guida suprema per la politica estera, e Efsandiar Rahim Manshaei, collaboratore e consuocero di Ahmadinejad, il quale non può presentarsi per una terza volta alle elezioni.
Resta l’incognita dei riformisti. Un gruppo di attivisti in prigione sin dall’ondata di proteste del 2009, nota come movimento verde, ha inviato una lettera all’ex presidente riformista Mohammad Khatami chiedendogli di prendere parte alle elezioni. Nei giorni scorsi, Khatami aveva assicurato che non avrebbe partecipato alle elezioni se gli attivisti ancora in prigione del movimento verde non fossero stati rilasciati. Anche 110 ulema di Qom hanno chiesto a Khatami di candidarsi al voto. Fanno parte del cosiddetto “Salam Khatami”, un sito internet fondato dai suoi sostenitori per raccogliere firme a favore della sua candidatura.
Intanto, gruppi di giornalisti iraniani della diaspora si sono incontrati a Berlino per discutere delle condizioni dei giornalisti in Iran. Ali Mazroi, guida dell’Associazione dei giornalisti iraniani, ha dichiarato che il Consiglio nazionale di sicurezza ha impedito ai giornalisti di informare in merito all’energia nucleare e al valore della moneta. Reza Moini di Reporters senza frontiere ha ammesso che «la censura in Iran permette l’arresto di giornalisti che hanno scritto articoli culturali, accusati di azione contro la nazione e lo Stato». Ehsan Mehrabi, un giornalista in prigione, ha aggiunto che le pressioni che il regime ha imposto ai giornalisti hanno direttamente colpito «la vita privata e professionale di molti operatori dell’informazione».
Come in ogni attesa campagna elettorale iraniana, alle aperture politiche seguono improvvise marce indietro. Il cammino verso lo scontro tra i conservatori e i cosiddetti radicali, schieramento a cui appartiene il presidente uscente, è ancora lungo.
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Immagine: manifestazione del movimento di opposizione a Ahmadinejad nel 2009, a Teheran