Gli esiti giullareschi della politica italiana chiamano l’analisi fredda e disincantata, che trascenda da motteggi e ammiccamenti, che eviti di impelagarsi nei guai diplomatici dell’inorridito candidato cancelliere Peer Steinbrück (“In Italia hanno vinto due clown!”) ritrovatosi tra la doppia coda di paglia dei politici che s’offendono per il paragone coi clown e i clown che s’offendono per il paragone coi politici (così due decani come Oleg Popov e Bernhard Paul). E del resto chi può negare quell’irresistibile flirtare dei politici della Seconda Repubblica con la clownerie, tra il polsi esibiti in tv di Berlusconi e i giaguari da smacchiare di Bersani, le cravatte di Formigoni, i gatti di Oscar Giannino, il Monti in vena teenager che scrive “WoW” su Twitter, il leghista che gioca al tiro alla fune sul Ticino, il burlesque delle olgettine, i cappellai matti grillini?
Legittimo allora interrogarsi: quando esattamente i buffoni di corte hanno scalzato il sovrano dal trono? Come datiamo l’avvenuto matrimonio tra intrattenimento e politica? Voltando le spalle al passato, arrivando alla celebre espressione “nani e ballerine” con cui Rino Formica targò all’inizio degli anni Novanta l’assemblea del partito socialista italiano, o ancor più indietro, a Mussolini in una delle ultime lettere a Claretta: «Io sono stanco di fare il buffone». Ma da quando al politico si richiedono “battute” invece di soluzioni, e abbiamo deciso che il trash (parola inglese che rende immediatamente più appetibile la nostrana spazzatura) è meglio del vecchio engagement politico e civile? E soprattutto: quanto manca alla discesa (o salita) in politica di Maurizio Crozza, se è lecito ventilarlo?
Un’evoluzione forse attribuibile alle varie “rabbie contro”, in costante crescita sotto ogni latitudine, e che in Italia dalle pericolosità terroristiche hanno poi preso la via dello sfogo internettiano da casa e del ghigno urlante di piazza. Segno che i contenuti politici per essere veicolati abbisognano di un involucro al passo coi tempi – e i tempi oggi sono quelli dell’intrattenimento permanente – altrimenti sono immancabilmente condannati all’erosione del consenso e allo zerovirgola elettorale, mostrando, l’elettore in vestaglia 2.0, sempre più i tratti dello spettatore che dal divano di casa decide ove alberghi il mistico X Factor amministrativo, se nell’abolizione dell’Imu o nello stop ai privilegi di casta.
Che la scienza della risata sia diventato il diavolo con cui ogni portatore di faustiane ambizioni deve decidersi a patteggiare, è il succo della piccola grande narrazione di Enrico Menduni attorno alla costellazione di spettacoli, centri commerciali, talk show, parchi a tema, social network che costituisce l’Entertainment (Il Mulino). Davanti alla italiana costituzione, di dichiarato Dna laburistico fin dall’articolo 1, l’entertainment rappresenta «un oggetto alieno, inutile e potenzialmente pericoloso, proveniente dall’America, paese meno carico di storia, capitalista e incline al consumo di hamburger», ma che ugualmente sta invadendo i romani palazzi del potere.
Alle cene elettorali, così come alle Feste dell’Unità, i piatti di tortellini intervallano le prese di coscienza, attori, cantanti e finanche pornostar divengono gli indispensabili testimonial di ogni battaglia politica, e rinfreschi, aperitivi, gadget debbono colorare presentazioni di programmi e comizi in una società in cui il lavoro spesso non c’è e che quindi è alla ricerca costante di modi per ammazzare il tempo. D’altra parte la supremazia del momento ludico è il precipitato sociale di un’evoluzione tecnologica verso forme di feedback permanente, «ora stiamo entrando nell’epoca dove ogni azione causa conseguenze», profetizzò Winston Churcill, e lo stesso meccanismo di azione-reazione è attualmente incarnato dalle varie forme di partecipazione dal basso, che vedono i destinatari dell’offerta (politica e non) costantemente interpellati tramite commenti, tweet, giudizi, like sui social network, recensioni sul web che, come delle neo-Erinni cibernetiche, riacciuffano per i capelli ogni iniziativa in odore di unilateralismo.
Enrico Menduni, da esperto quale è di questi neonati bisogni sociali, aggancia il tutto all’imporsi della società seriale e massificata, preannunciata nel film di satira Tempi moderni di Charlie Chaplin, o ancor prima in film come A nous la liberté di René Clair (1931) che raffigura la fabbrica del domani dove gli operai di turno giocano a carte mentre la catena di montaggio sbriga il lavoro da sola. La libertà di movimento consentita dall’automobile, il boom del turismo, la filosofia del weekend, l’invasione degli elettrodomestici, la concentrazione degli stimoli nel supermercato o nei grandi magazzini, tutti questi multiformi fattori, legati dal comune denominatore dell’alleviamento del lavoro umano, costituiscono le prime prove tecniche della modernità dello sgravio e del relax, il cui tempo libero diventa anche e soprattutto potere d’acquisto che fa Prodotto interno lordo.
E oggi, in tempi di crisi, col lavoro che scarseggia e la popolazione che invecchia, la domanda d’intrattenimento s’impenna, il surplus di depressione richiede una dose rinforzata di stimoli, le ricchezze sgretolatesi spingono al gioco d’azzardo, il gratta&vinci sostituisce la speranza. Alle grandi manovre si preferiscono le mezze misure e le piccole correzioni di rotta: non solo l’arte, come abbondantemente argomentò la scuola di Francoforte, diventa produzione seriale, ma anche la Grande Narrazione sportiva, e il calcio esemplarmente, s’impone grazie al format-spezzatino della televisione: non è un Evento, ma «un racconto a puntate (il campionato), intriso di quella serialità narrativa che è il tratto essenziale della Tv» – che usa quello stesso meccanismo «puntata-suspence» che fu alla base del successo ottocentesco dei feuilleton francesi, che guadagnavano l’attenzione del lettore agganciandolo dentro la loro trama. L’impero della forma-campionato, dunque, che con le sue metafore invade anche l’agone politico, dove il Totocalcio diventa Totopremier e Totocolle, le attese per i passi-indietro o passi-di-lato vivono gli stessi spasimi dei dribbling calcistici, e la partita continua con le tifoserie elettorali, le scelte di campo, gli schieramenti e il fandom, il peso di Balotelli, lo scouting dei grillini, gli autogol del premier e via collezionando.
Cosicché, instancabili e interminabili, le energie della giornata vanno a sfogarsi nell’ultimo tormentone nazionale, calcistico, politico, basta che il fiume scorra e non incontri sassi, la nave va finché ci sono status da riempire e post da far girare. E visto che il clima di sfondo resta quello della goliardata permanente, il piede può calzare vari scarpini, le lauree possono scoprirsi «fake» e pretendere il bollino da intellettuale dada, e le dimissioni possono essere prontamente in tasca e altrettanto prontamente ritirate, e si può alzare il dito moralistico sulla pagliacciata altrui e in quel mentre chiedere accoglienza vip per lo psicodramma in casa propria. E si possono tirare giù gli scarichi d’indignazione, il fuoco di fila di livori, l’avvelenata requisitoria, la sparata a caldo e ad personam, salvo poi monitorare al cellulare i troppi “non mi piace”, e allora avere sempre a portata di labbra l’agibile uscita di sicurezza: «Ma era solo una battuta!».
Titolo: Entertainment. Spettacoli, centri commerciali, talk show, parchi a tema, social network
Autore: Enrico Menduni
Editore: il Mulino
Pagine: 135
Prezzo: 9,80 €
Anno di pubblicazione: 2013