Il Corriere della Sera: “Quirinale, piano per l’incarico. Mandato esplorativo al leader Pd, poi ipotesi tecnica. 5 Stelle apre a un esecutivo senza partiti. Polemiche per le frasi sul fascismo della neocapogruppo”. A centro pagina: “Monti convoca a sorpresa Bersani, Grillo e Berlusconi per parlare del vertice Ue”.
La Repubblica: “Monti convoca Grillo, Pd e Pdl. Lettera del professore alla vigilia del vertice europeo”. E poi: “Assemblea dei 5 stelle con il leader: apertura al governo tecnico. Ressa davanti all’hotel romano, eletti i capigruppo del M5S”. A centro pagina: “Il pm su Ruby: ‘Sistema prostitutivo ad Arcore’. In aula testimonia il magistrato Fiorillo: Maroni non disse la verità. L’8 marzo la Boccassini chiederà la condanna”.
La Stampa: “Monti convoca i leader”. “Input di Napolitano: Bersani, Berlusconi e Grillo invitati prima del Consiglio Ue”. Di spalla il quotidiano torinese dà rilievo alla notizia proveniente dagli Usa, dove un neonato è stato “guarito” dall’Aids. Curato a sole 30 ore di vita con farmaci antiretrovirali, il bambino, che oggi ha due anni e mezzo, è guarito dall’Aids. “Il metodo potrebbe segnare una svolta nella lotta” contro la malattia, ma “la scienza cerca conferme”.
Il Fatto quotidiano: “5 Stelle: ‘Governo politico no, ma governo tecnico forse sì’”. A centro pagina: “Compravendita dei senatori: ‘Processo immediato per B. Pubblici ministeri pronti a chiedere il giudizio per i 3 milioni a Di Gregorio”.
L’Unità: “Le giravolte di Grillo. Prima dice niente fiducia, poi lancia il governo ‘senza partiti’. E la capogruppo loda il fascismo”. A centro pagina si dà rilievo alla notizia sulla cessione de La7: “Cairo si prende La7 con un regalo milionario. Venduta per un milione ma con la ricapitalizzazione assicuratata di 88 milioni. L’editore: per me è una patata bollente”.
Libero: “Prodi sul Colle, Silvio in cella. Il vero piano della sinistra: insediare l’ex premier al Quirinale e poi fare un esecutivo per arrivare a fine anno. Quando una sentenza farò fuori Berlusconi e metterà in libertà i voti del Pdl”.
Il Giornale: “Banca d’Italia va al governo. Spunta un buco da 14 miliardi e Napolitano spinge per avere Visco premier”.
Il Messaggero: “Avanza il governo tecnico. Napolitano convoca Monti e chiede tempi brevi”, scrive il quotidiano.
Il Sole 24 Ore: “Italia-Spagna, spread più vicini. Il differenziale Btp-Bund sale a 345 punti, quello spagnolo scende a 367”. “I dati macroeconomici di Madrid peggiori di quelli italiani, ma Roma paga l’instabilità”. Di spalla: “Grillo: governo senza partiti. Il Colle valta una soluzione ‘politico istituzionale’. Monti vede Napolitano e riunisce i leader per il vertice Ue. Alfano: Pd sbaglia tutto”.
Il Foglio: “L’Italia, rigorosa sui conti, rischia di finire dietro la lavagna Ue. Francia, Spagna, Belgio e Olanda vogliono (e hanno) sconti sull’austerity. Roma ha zero deficit ma poca stabilità”.
Napolitano, governo
Sul Corriere della Sera il “retroscena” firmato dal quirinalista Marzio Breda parla del compito di Napolitano nel dopo voto. Un compito “per qualcuno ‘proibitivo’ e di sicuro faticoso’”. Il primo ostacolo è l’individuazione del presidente del Senato, seconda carica dello Stato, per cui serve un indiscutibile nome di garanzia che non faccia gridare all’inciucio il Movimento 5 Stelle. Resta secondo Breda una possibilità problematica il governo di minoranza o di cambiamento invocato da Pierluigi Bersani: serve il numero legale di 160 senatori, servirà che i sì prevalgano sulla somma dei no e delle astensioni. A Bersani Napolitano potrebbe concedere un tentativo, con un incarico “esplorativo”. Non sembra praticabile dal punto di vista costituzionale una proroga a oltranza di Monti a Palazzo Chigi: richiederebbe un nuovo voto di fiducia. Lo sbocco più probabile è quello di un governo di scopo per il quale il capo dello Stato incarichi una figura di profilo istituzionale (si cita il ministro degli interni Anna Maria Cancellieri) cui affidare una missione limitata, dopo la fiducia tecnica, andando di volta in volta a cercarsi i voti in Parlamento.
Secondo Maurizio Belpietro, su Libero, “la sinistra che si è convinta di aver vinto le elezioni vuoe eleggere il suo capo dello Stato per mettersi tranquilla e non avere sorprese”. E il candidato non sarebbe né Amato, né Monti, né la Finocchiaro né il ministro Cancellieri, ma “il collaudato Romano Prodi, uno che avendo occupato tutte le poltrone possibili può rivendicare per sé l’incarico più elevato, quello sul Colle”.
Secondo La Stampa sarebbe stato il presidente Napolitano a suggerire a Mario Monti l’iniziativa di invitare a Palazzo Chigi “per una informativa e uno scambio di opinioni” in vista del vertice europeo del 14 marzo Silvio Berlusconi, Pierluigi Bersani e il “signor Beppe Grillo”. La motivazione nella lettera: “Per consentire di individuare elementi di consenso, accanto a possibili divergenze, sulle tematiche del prossimo consiglio europeo”. Il quotidiano inquadra questo tassello in un percorso che prende le mosse dalle dichiarazioni di Beppe Grillo, in occasione della difesa da parte del Capo dello Stato in risposta alle dichiarazioni del candidato Spd al Cancellierato (Steinbruek aveva definito Berlusconi e Grillo due clown): “ho visto in Napolitano il mio Presidente”, aveva detto il leader 5 Stelle. L’invito di Monti a Palazzo Chigi è stato formalizzato peraltro dopo la dichiarazione di Vito Crimi, futuro presidente dei grillini in Senato: “del governo si occuperà Napolitano”. Questo, si interroga La Stampa, significa che i grillini, che rifiutano governi guidati da personalità politiche, potrebbero forse dare il via libera a un governo del Presidente? Nelle pagine precedenti La Stampa riferisce le parole pronunciate dallo stesso Crimi: “Qualunque proposta alternativa al governo dei partiti la valuteremo”. La Repubblica racconta “la paura dei Democratici. ‘Sono prove di governo tecnico’. Il premier: non inseguo nessuno”. Scrive il quotidiano che invitare il leader antisistema a Palazzo Chigi serve anche a “normalizzare” il fenomeno Grillo, e che far rivedere sulla scena Monti per il capo dello Stato è utile per mandare un segnale all’estero. Per il quotidiano, nel caso di un insuccesso di Bersani, in prima linea ci sarebbe Monti oppure il governatore di Bankitalia Ignazio Visco. L’altro nome che circola per Palazzo Chigi è quello di Stefano Rodotà: il giurista potrebbe ovviamente votato solo da una maggioranza Pd-M5S, avendo fra l’altro firmato l’appello per l’ineleggibilità di Berlusconi. Il blogger Claudio Messora, vicino al Movimento 5 Stelle ha definito Rodotà “una persona stimata”.
Secondo L’Unità domani alla Direzione Pd Pierluigi Bersani insisterà sulla sua idea di ottenere l’incarico a chiedere a Grillo (e a Monti) i voti di cui ha bisogno al Senato per dar vita ad un governo di scopo: il parlamentino democratico dovrà quindi dargli quell’appoggio di cui ha bisogno per salire al Quirinale. Secondo il quotidiano, è probabile che Bersani incassi un voto unitario o quasi (c’è chi parla di astensioni eccellenti) ma molto dipenderà da quel che dirà. Veltroni, altrettanto convinto che spetti al Pd fare una proposta, insiste tuttavia nella inopportunità di porre aut-aut tali “da rendere ancor più stretta la via che poi deve percorrere il Presidente della Repubblica”. Non crede infatti alla tenuta di un governo senza maggioranza precostituita e per questo ritiene che la strada non possa che essere un governo del Presidente.
La Stampa scrive che “il governo senza partiti” manda in fibrillazione il Pd e che Bersani va alla conta sulla linea dura. Un retroscena, di fianco, porta questo titolo: “Il cortocircuito dei democratici, tra Quirinale e dissidi interni”.
“Grillo ha fatto l’apertura al Quirinale che il Pd non sa o non vuole fare”, scrive Stefano Folli nella sua analisi politica sul Sole 24 Ore: questa apertura che il Pd finora si è rifiutato di fare, convinto di poter imporre la sua scelta, è una tendenza all’irrealtà che può essere ancora corretta dal segretario Pd, cui non manca il senso della misura. Quanto a Grillo, “gioca di sponda sul Quirinale per sconfiggere Bersani e qualsiasi ipotesi di governo politico”.
Fenomeno Grillo
Su La Repubblica “la rivoluzione politica di Meetup, le sezioni al tempo della rete. Così 5 Stelle è arrivata al 25 per cento”. I Meetup sono la trasformazione delle vecchie sezioni di partito, ma non esistono sedi fisiche: tramite Meetup ci si vede dove capita, a costo zero. Alcuni Meetup sono vecchi di otto anni. Complessivamente si tratta di oltre 120 mila cittadini che si impegnano sul loro territorio su temi come acqua, rifiuti, ambiente, trasparenza della politica.
Sullo stesso quotidiano segnaliamo una analisi di Nadia Urbinati dedicata al Movimento 5 Stelle, “dalla piazza al Parlamento”. Dove si legge che a differenza di Occupy Wall Street, M5S non ha scelto di restare un movimento di protesta, non ha rifiutato la rappresentanza politica, avendo presentato candidati al Parlamento. Occupy ha evitato ogni dialogo con l’istituzione, ha voluto essere solo movimento di denuncia, non ha presentato propri candidati e per questo si è sciolto nel giro di qualche mese. Il Movimento 5 Stelle ha scelto di “incardinarsi nelle istituzioni. Porta quindi la responsabilità di rendere possibile il governo del Paese. Ha anche una grande opportunità: far sì che il magma di indignazione e scontento svolga una funzione innovatrice invece che distruttrice”. Poi la Urbinati sottolinea come il Movimento voglia inaugurare quel che solo un ossimoro può render,e ovvero una “democrazia rappresentativa diretta, cioè senza l’intermediazione del partito politico”, una democrazia rappresentativa “sempre in rete”.
“Il vento antisistema che soffia in Europa” è il titolo di una analisi di Ian Buruma che compare sulla prima pagina de La Repubblica: “Lo scorso mese, quando troppi italiani hanno dato il proprio voto a un ricco imprenditore dissoluto dalla dubbia reputazione e a un comico, le Borse europee sono crollate. Avendo dimostrato di non avere alcuna fiducia nella classe politica, l’Italia potrebbe diventare ingovernabile”. Tuttavia Buruma sottolinea che gli italiani non soli, perché la rabbia contro l’establishment politico è diventata ormai un fenomeno globale: sono in compagnia dei blogger cinesi, degli attivisti del tea party negli Usa, degli eurofobi britannici, degli islamisti egiziani, dei populisti olandesi, dei sostenitori dell’estrema destra in Grecia e delle camicie rosse thailandesi. E’ una epoca di populismo. Quando i partiti politici si sclerotizzano, i mezzi di comunicazione divengono troppo compiacenti e le burocrazie si dimostrano troppo compiacenti, il populismo può rappresentare una correzione necessaria.
Internazionale
Il Corriere della Sera torna ad occuparsi del cosiddetto “sequester” americano, il taglio al bilancio federale su cui si sta cercando un accordo con i Repubblicani. Obama ha deciso di affidarsi a quela che il quotidiano definisce “una filantropa”: si tratta di Sylvia Mathews Burwell, che in passato ha guidato il Global Develpment Fund, struttura operativa dell’ente di beneficienza creato dal fondatore della Microsoft, poi passata a gestire le attività filantropiche del gruppo Wal-Mart, e infine vicecapo di gabinetto dalla Casa bianca insieme a John Podesta. Il Presidente ha fatto ieri altre due scelte importanti: ha nominato nuovo ministro dell’energia Ernest Moniz, professore del Mit di Boston, specializzato in fonti alternative; ed ha nominato un’altra donna, Gina McCarthy, alla guida dell’Epa, l’ente per la protezione dell’ambiente, agenzia federale da anni nel mirino dei conservatori, che la accusano di imporre vincoli eccessivi alle aziende.
Su La Stampa la missione del Segretario di Stato Usa Kerry in Medio Oriente: in questi giorni è in Arabia Saudita, che è la settima di un percorso a nove tappe tra Europa e Medio Oriente. La sua maratona diplomatica corre parallela alle trattative sul nucleare iraniano: il gruppo 5+1 si è riunito in Kazakhstan con i rappresentanti iraniani, mentre a Vienna è iniziata una nuova sessione della agenzia internazionale per l’energia atomica. Da Ryad, Kerry ha avvertito che i tempi per una soluzione diplomatica della questione nucleare iraniana stanno per scadere: c’è ancora tempo per risolvere la question e con il negoziato, ma solo se l’Iran dimostra di affrontare con serietà i colloqui con il gruppo dei 5+1, ha detto Kerry. Lo stesso messaggio è stato ribadito dal vicepresidente Joe Biden che, innanzi alla platea dell’Aipac, American-Israel Public Affair Comittee, ha sottolineato che Obama non sta “bluffando”, poiché gli Usa non cercano una guerra e sono pronti a negoziare, ma tutte le opzioni, inclusa quella militare, rimangono sul tavolo.
Il Sole 24 Ore ricorda che da oggi a Pechino si riuniscono i 3000 deputati del Parlamento, per celebrare la nuova leadership: il premier uscente Wen Jabao terrà un discorso in diretta tv. La nuova leadership darà il via ad un maxipiano di urbanizzazione, con investimenti per 40 trilioni di yuan, 5 trilioni di euro da finanziare con mega emissioni di obbligazioni di Stato nei prossimi anni, per portare in città in maniera stabile circa 400 milioni di persone. Sullo stesso quotidiano si ricorda nel dicembre scorso la Cina avrebbe ottenuto il sorpasso, diventando il primo importatore di petrolio al mondo, superando gli Usa, che mantenevano questa posizione dagli anni 70.
E poi
Su La Repubblica un intervento di Giorgio Ruffolo: “Due grandi forze si contendono la storia dell’Occidente: il capitalismo e la democrazia”.
Alle pagine R2 cultura, l’anticipazione di un brano dall’ultimo libro di Joseph Stiglitz, “il prezzo della disuguaglianza”, in uscita oggi in Italia. Disuguaglianza come una piaga delle società contemporanee che mette a rischio la democrazia. “La virtù del mercato dovrebbe essere l’efficienza, ma chiaramente il mercato non è efficiente”.
Sempre alle pagine R2 de La Repubblica un reportage di Vanna Vannuccini e Bijan Zarmandili da Teheran: “Nel mirino della censura ormai non ci sono più soltanto gli opinionisti politici, a pochi mesi dalle presidenziali il governo colpisce chiunque scriva di qualunque cosa. Una ondata repressiva per cercare di scongiurare il rischio di una rivoluzione simile all’onda verde del 2009, ma anche un effetto collaterale della lotta al vertice del potere iraniano. Sul web esplode il dissenso”.
Il Fatto dà conto di uno studio del Museo dell’Olocausto di Washington secondo cui non furono affatto sei i milioni di ebrei sterminati dai nazisti. La cifra oscilla tra 15 e 20 milioni di persone, che furono uccise o detenute dai campi creati dai tedeschi o da regimi fantoccio europei, dalla Francia alla Romania. Dalla ricerca, che verrà pubblicata in una serie di volumi dal 2015, e che verrà intitolata Enciclopedia dei lager, risulta che il numero dei campi in cui furono rinchiusi gli ebrei prima e durante la seconda guerra mondiale furono almeno il doppio di quanto calcolato. I siti dove gli ebrei erano tenuti segregati già scoperti dallo studio erano 20 mila: ma pare che il numero sia più elevato, non comprenendo solo i famigerati campi di concentramento come Dachau o Auschwitz, bensì anche 30 mila impianti dove ebrei schiavi lavoravano giorno e notte per produrre scorte militari, 1150 ghetti, 1000 campi di prigionieri di guerra, e 500 bordelli per soldati nazisti.
In vista dell’avvio del Conclave, i quotidiani continuano ad offrire molte pagine sulla Chiesa, il Vaticano, la vicenda Vatileaks. Su L’Unità: “Vatileaks sotto esame. I cardinali vogliono sapere”. Nella prima giornata di discussione a porte chiuse e cellulare schermati, scrive La Stampa, i 144 cardinali riuniti per parlare del futuro della Chiesa hanno sentito riecheggiare almeno tre volte nell’Aula del Sinodo la richiesta di conoscere il rapporto riservato sulla fuga di documenti e i veleni curiali. Si vuol sapere cosa c’è scritto nella “relatio” preparata dalla Commissione dei Cardinale detectives, il cui contenuto è sotto chiave. La richiesta è stata avanzata dal tedesco Walter Kasper, in conclave per un soffio perché ha ottanta anni, appartenente all’ala dei vecchi curiali più critici verso la gestione della segreteria di Stato degli ultimi anni. Stessa domanda anche da due papabili europei di peso: il primo è l’austriaco Christoph Schonborn, Arcivescovo di Vienna che nel 2010 criticò pubblicamente l’ex segretario di Stato Sodano per come erano stati gestiti i casi di abuso nell’ultimo periodo Woytiliano, il secondo è Peter Erdo, arcivescovo di Budapest, considerato pure un possibile candidato europeo.