La Repubblica: “Stato-mafia, vince Napolitano. La Corte costituzionale boccia le tesi dei giudici di Palermo. ‘Non sta a loro valutare’. Il procuratore capo Messineo: aspettiamo le motivazioni”. E poi: “’Le intercettazioni vanno distrutte’. Ingroia: una sentenza politica’”. A centro pagina: “Egitto, assedio al Palazzo. Morsi costretto a fuggire”. Ancora a centro pagina, notizie sul sequestro Spinelli, “le carte di un mistero. Nella ricostruzione degli inquirenti emergono nuove contraddizioni”.
Il Fatto quotidiano: “La Consulta inventa una legge per dare ragione al Colle”. L’editoriale, non firmato: “Una corte cortigiana”.
Il Corriere della Sera: “Sì al ricorso di Napolitano. La Consulta ai pm: intercettazioni da distruggere subito. Ingroia: una sentenza politica, dovevano dargli ragione”. A centro pagina: “Salta l’intesa tra Pd e Pdl sulla nuova legge elettorale”. E poi: “Sotto assedio al Cairo il palazzo presidenziale”. “Morsi costretto ad allontanarsi”.
La Stampa: “La Consulta: ha ragione Napolitano”. “’Illegittime’ le intercettazioni dei pm delle telefonate tra il Presidente e Mancino”. “’Leso il diritto alla riservatezza’: le conversazioni vanno distrutte. I magistrati di Palermo: abbiamo rispettato la legge”. A centro pagina: “Egitto, Morsi in fuga dai manifestanti. I dimostranti sfondano il cordone dei poliziotti e il Presidente abbandona il Palazzo”
L’Unità: “Berlusconi rifà il Procellum. L’ex premier manda di nuovo all’aria l’ipotesi di accordo. In Senato fa presentare un’altra proposta che riduce il premio di governabilità. Il Pd: cambiano le carte in tavola, vogliono portarci alle sabbie mobili. Bersani in Libia: ‘Berlusconi mi sfida alle elezioni? Non vedo l’ora…”
Il Giornale: “Pdl, la cena avvelenata. Vertice segreto dei colonnelli del Pdl pronti a smarcarsi da Berlusconi. E Letta confida: ‘Silvio ha deciso’.
Il Sole 24 Ore: “Infrastrutture, svuotati gli sgravi fiscali. Governo battuto sulle concessioni balneari. Rete Tlc: bonus per la società con Cdp. Nel decreto sviluppo dietrofronto sulla riduzione della soglia per il credito di imposta al project financing. Grilli: giù lo spread, resta il rigore”. Di spalla: “L’Ilva di Taranto ritorna a produrre e avvia la bonifica”.
Corte Costituzionale
Il Sole 24 Ore spiega che la Consulta ha accolto il ricorso del Colle e, dopo 4 ore di discussione, ha stabilito che la Procura di Palermo ha sbagliato: non poteva “valutare” la rilevanza delle 4 conversazioni intercettate sulle utenze dell’ex ministro Mancino con Giorgio Napolitano, ma doveva chiedere al giudice “l’immediata distruzione” della documentazione, e con modalità tali da “assicurare la segretezza del loro contenuto”, quindi senza alcun contraddittorio delle parti. Accolto quindi il ricorso dell’Avvocatura dello Stato che sosteneva che il Pm avrebbe dovuto non solo interrompere le registrazioni, ma anche distruggerne la documentazione, poiché le intercettazioni “diventano illegittime” nel momento in cui compare la voce del Capo dello Stato. Le motivazioni della sentenza potrebbero arrivare tra alcune settimane, forse addirittura a gennaio.
Il Fatto quotidiano offre una “intervista” ad Antonio Ingroia, che commenta: “Cornuti e mazziati”. “Zagrebelsky aveva ragione: le ragioni della politica hanno prevalso sulle ragioni del diritto. Da quello che ho letto finora questa sentenza mi pare una specie di grosso pasticcio”.
Anche La Repubblica intervista Antonio Ingroia e sintetizza le sue dichiarazioni così: “’Il Quirinale
colpisce le istituzioni e con questa sentenza bizzarra la politica ha prevalso sul diritto’, ‘se fossi stato in Italia me ne sarei andato’”. Ricorda Ingroia: “Quando lessi su Repubblica Gustavo Zagrebelsky non volevo crederci. Nel suo editoriale si diceva sostanzialmente come la Procura di Palermo non avesse avuto scelta sulla base della normativa vigente e che il capo dello Stato aveva fatto una scelta sostanzialmente inopportuna perché la Corte costituzionale non avrebbe potuto far altro che dargli ragione in barba ai principi del diritto. Non volevo crederci perché pensavo che le ragioni della Corte costituzionale non potessero essere condizionate dal clima che si avvertiva nel Paese”. Poi aggiunge: “Se avessimo fatto come suggerisce oggi la Corte, le intercettazioni del capo dello Stato sarebbero in piazza. Invece, la Procura di Palermo ha usato tutti gli strumenti possibili e immaginabili per preservare la intangibilità delle conversazioni del Presidente. E non è uscita una riga di quei dialoghi. Mi sembra che la Corte non abbia altrettanto a cuore la segretezza di quei dialoghi: dice che ci saremmo dovuti rivolgere subito al gip. Ma il gip, sulla base della normativa vigente, avrebbe potuto opporsi alla distruzione e depositare le intercettazioni alle parti”.
La questione delle intercettazioni del Quirinale ha visto contrapposti il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari allo stesso Gustavo Zagrebelsky, che del quotidiano è uno storico collaboratore. E oggi Scalfari torna ad occuparsi del caso con un editoriale di plauso alla sentenza emessa ieri dalla Corte costituzionale dal titolo “Le ragioni del diritto”.
Pd
Su La Repubblica si torna sul successo delle primarie e si scrive che “la base dei democratici vuole il bis”, nel senso che si chiede questo metodo di consultazione per correre al Parlamento. Il segretario Bersani sarebbe favorevole. Ieri Pippo Civati ha inviato una lettera alla presidente del Pd Rosy Bindi, sollecitando la riunione della direzione e/o dell’Assemblea per fissare come e quando fare le primarie per la scelta dei parlamentari.Il quotidiano scrive che Dario Franceschini, in passato tra i meno entusiasti dello strumento primarie, pensa che “sì, una forma di consultazione ci vorrà”. Se resta il porcellum, chiosa La Repubblica, impensabile non escogitare un sistema di scelta dal basso dei parlamentari, “l’onda lunga delle primarie nel Pd non si ferma”, e all’indomani della vittoria di Bersani, mentre nel partito si discute di deroghe per la vecchia guardia e di ricambio obbligato, le primarie sono state richieste formalmente da Civati, che ricorda come nel Pd si parlò già gennaio di questa ipotesi.
“Ma chi sceglie i parlamentari Pd”, titola Il Fatto: per il quotidiano “Bersani assicura che una consultazione ci sarà, ma la tentazione è quella di limitare i votanti (ovvero una consultazione chiusa ai soli iscritti, o al massimo ai tre milioni di elettori registrati alle primarie). Lo stesso quotidiano intervista il Pd Beppe Fioroni: “Se rimane il Porcellum siamo costretti alle primarie”, dice al quotidiano.
Se ne occupa anche Il Sole 24 Ore, spiegando che nelle ore in cui il Senato intona – salvo miracoli – il de profundis per la riforma elettorale, enl Pd si studiano le contromosse da adottare in vista del sempre più probabile ritorno al voto con il porcellum. E il pericolo da scongiurare è l’antipolitica, pronta ad investire tutti i partiti. Le “tecnicalità” della proposta di ricorso alle primarie per la scelta dei parlamentari sono ancora da definire, ma è probabile -secondo Il Sole- che ci sarà una parte di eletti “garantiti”, ossia una sorta di listino bloccato del partito -tra il 20 e il 30 per cento dei candidati- nel quale convogliare i tanti innesti che Bersani vorrebbe portare a casa per tentare di allargare il campo dei progressisti (i socialisti di Nencini, i vendoliani per quel che riguarda il Senato, i fuoriusciti dell’Idv capeggiati da Donadi, ma anche qualche personalità del governo Monti, a cominciare dal ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca). Il restante 70-80 per cento dei candidati saranno sottoposti a qualche forma di investitura popolare. Bersani sembrerebbe convinto. Le primarie per i parlamentari sarebbero una prima assoluta per il Pd e su questo punto lo stesso Statuto del Partito dà indicazioni generiche, parlando di “ampia consultazione” sui territori.
Pdl
Il Giornale dà notizia di una cena, lunedì sera, a Roma, alla “Pescheria Rossini”, nel “cuore dei Parioli”, tra Alfano, La Russa, Cicchitto, Gasparri e Quagliariello. Avrebbero discusso a lungo delle “contromosse per cercare di arginare un Berlusconi i cui rapporti sono ormai ai minimi termini”. Berluscni però avrebbe intanto deciso di convocare per oggi a Palazzo Grazioli i vertici del suo partito su due punti: riforma elettorale ed election day. Sul primo punto, Berlusconi non avrebbe intenzione di avallare la riforma, e con essa i tentativi di mediazione di Quagliariello al Senato. Sul secondo, avrebbe intenzione di “alzare la voce”, per ribadire la richiesta ai suoi parlamentari di “mettere nell’angolo” il governo Monti per andare all’election day in febbraio.
Secondo Libero il premier avrebbe paura della riunione di oggi del governo, che ha annunciato il varo di un decreto per le “liste pulite”, con i criteri per la ineleggibilità. L’incandidabilità riguarderà i condannati in via definitiva, ma il Cavaliere teme emendamenti che ostacolino la sua candidatrua. “Una legge del genere consacrerebbe la dittatura dei giudici politicizzati, non possiamo permetterlo”, scrive il quotidiano diretto da Belpietro citando Berlusconi.
Internazionale
Su L’Unità Umberto De Giovannangeli si occupa di Siria e in particolare di armi chimiche: “Sarin e VX, l’ultima carta di Assad”. Vi si legge che nella comunità internazionale è scattato l’allarme rosso: il rais potrebbe usarle come ultimo, disperato tentativo di non finire come Gheddafi. Un altro scenario da incubo è che le armi letali cadano in mano dei gruppi qaedisti che da tempo combattono in Siria. Per De Giovannangeli il rischio è altissimo, “perché la Siria non è la Libia, gli arsenali esistono davvero, e sono pieni di armi di distruzione di massa”. Secondo report di intelligence, il programma chimico siriano avrebbe preso l’avvio addirittura nel 1971, e l’arsenale sarebbe stato sviluppato negli anni 80, grazie al sostegno sovietico e iraniano. A conferma di ciò, agli inizi degli anni 90, le autorità russe arrestarono il tenente generale in pensione Anatoly Kuntsevich, con l’accusa di aver esportato verso Damasco 900 chili di precursori chimici. Il generale, più tardi, ammise la sua colpevolezza. Dal 1997 l’intelligence occidentale ritiene che la Siria abbia impianti chimici nelle città di Damasco, Aleppo e Homs: arsenali di agenti chimici composti da Sarin (gas nervino), gas mostarda (Iprite) e Vx (altro agente nervino). Per quel che riguarda i missili, la Siria sarebbe in possesso di vettori classe Scud e SS-21 capaci di trasportare armamenti chimici e un ruolo importante nello sviluppo dell’arsenale chimico lo avrebbe svolto l’Iran. Nei depositi siriani potrebbero trovarsi anche i misteriosi arsenali di armi di distruzioni di massa di Saddam, mai trovati dagli statunitensi dopo l’invasione del 2003, poco prima della quale, secondo indiscrezioni dalla Russia, dalla frontiera iracheno-siriana transitarono alcuni convogli contenenti armi chimiche.
Ieri, peraltro, ha parlato il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen: “Se qualcuno usasse armi chimiche in Siria, mi aspetterei una reazione immediata da parte della comunità internazionale”. Presente a Bruxelles anche il ministro degli Esteri russo Lavrov: “l’uso delle armi di distruzione di massa avrebbe implicazioni gravi” e la Russia “non accetterebbe alcuna violazione dei trattati internazionali”, ha detto, pur sottolineando che “le minacce non devono essere sopravvalutate”. Lo diceva a commento della decisione Nato di schierare missili Patriot in Turchia a scopo difensivo e a supporto di una no-fly zone.
Se ne occupa anche La Repubblica: “Siria, la Nato schiera i missili Patriot, ‘reagiremo all’uso delle armi chimiche’, postazioni al confine turco, Mosca allenta il sostegno ad Assad”.
Il Giornale intervista l’ambasciatore russo a Roma Alexey Meshkov: “La Siria? Un errore schierarsi. Così la guerra non avrà fine”, “non si può imporre il futuro a un popolo”.
Su Il Foglio in prima: “Ecco il piano di Obama per prendere Damasco assieme ai ribelli siriani”, “gli americani addestrano unità di disertori dell’esercito di Assad in una base in Giordania, vicino al confine”.
Su La Repubblica segnaliamo anche una intera pagina dedicata alla tensione tra Israele e palestinesi, con un reportage dalla Cisgiordania: “Sulla Collina del giorno del giudizio, la colonia con cui Israele sfida il mondo”. E’ uno “sperone arido e desolato, che sulla sinistra domina la strada che da Gerusalemme dirada verso Gerico”. Ufficialmente ha solo un nome amministrativo, “E1 (east 1)”, il nome ufficiale di questo insediamento è già deciso e sarà Mevasseret Adumin, ma per tutto il movimento dei coloni e della destra israeliana che lo sostiene, adesso è The Doomsday Hill, il luogo del destino che si deve compiere, con la nascita di una piccola città nuova con 3500 nuove case e un bel centro commerciale, ben oltre la linea verde del 1967, e dove già vive oltre mezzo milione di coloni. E’ la decisione che per il segretario generale Onu Ban Ki-Moon rappresenta “un colpo mortale alla possibilità di una pace basata su due Stati”, rappresaglia del premier Netanyahu per il voto all’Onu sulla Palestina. E presto si discuterà di altre 1700 nuove case e altre centinaia in tre grandi insediamenti che fanno da cintura alla città Santa. A questo tema è dedicata una analisi di Gilles Kepel: “Netanyahu mette alla prova la pazienza di Usa e Ue”.Più che come rappresaglia contro il debole Abu Mazen, la sfida di Netanyahu incarnata dall’irrigidimento della sua politica colonizzatrice, sembra tesa “al conseguimento di obiettivi strategici in Medio Oriente, con l’ovvio beneplacito non solo degli occidentali ma anche di quelle cancellerie arabe-sunnite che sono terrorizzate dalla minaccia iraniana”. Scrive ancora Kepel: “Fino al mese scorso, quando Israele voleva parlare con Hamas, non trovava mai un interlocutore, perché i suoi referenti erano sia a Damasco che a Teheran. Ma le cose sono cambiate: da un lato Hamas ha perduto il sostegno siriano; dall’altro, l’attacco israeliano contro Gaza ha fortemente indebolito il ramo pro-iraniano del partito islamico palestinese, favorendo invece coloro che sono più vicini ai Fratelli Musulmani egiziani. Perciò, nonostante le dimostrazioni di vittoria inscenate a Gaza, Israele ha segnato un punto importante: da ora in poi per trattare con Hamas gli basta comporre il prefisso egiziano. Non solo: all’indomani delle rivoluzioni arabe sembra finalmente delinearsi una politica dello Stato ebraico riguardo alla spaccatura sciita-sunnita, che vede tra i suoi antagonisti l’Iran, aiutato dall’Iraq, da ciò che resta della Siria di Bashar Al Assad e di Hezbollah da un lato, e i Paesi del Golfo capeggiati dall’Arabia Saudita dall’altro.
Su Israele leggi il Dossier di Reset https://www.reset.it/magazine/139