Le aperture
Il Corriere della Sera: L’Europa sotto tiro cerca un piano. La Grecia insegue un governo tecnico. Dopo lo scandalo JPMorgan la Casa Bianca invoca la riforma di Wall Street. Le Borse bruciano 120 miliardi. Moody’s declassa 26 banche italiane. Spread a 424″.
A centro pagina: “I numeri e le critiche della Corte dei Conti: ‘Dipendenti pubblici? Troppi permessi e poca produttività”. A fondo pagina un articolo di Luigi Ferrarella si sofferma sulle motivazioni della sentenza del processo Mills: “Berlusconi, giudice contro giudici. Le motivazioni della prescrizione: la colpa è dei colleghi del processo Mills”.
La Repubblica: “Lunedì nero in Borsa, vola lo spread. Atene e voto tedesco affossano i mercati. Moody’s boccia 26 banche italiane. L’Eurogruppo affronta il caso Grecia. Juncker: ‘Non deve uscire dalla moneta unica’. Oggi Hollande incontra la Merkel”. A centro pagina, con foto: “Lega, Bossi si arrende. Maroni sarà il segretario”. Lo ha deciso ieri il consiglio federale della Lega. Ancora a centro pagina un annuncio sull’azione del governo: “Welfare, nel mirino gli aiuti agli invalidi. Il piano dei tagli: assegni interi solo sotto i 15 mila euro”.
Il Sole 24 Ore: “Grecia e derivati affondano le Borse europee. Bruciati 120 miliardi: Milano -2,74 per cento, Madrid -2,66. Tassi Bund ai minimi sulla paura per Atene e sulle perdite di JPMorgan. Obama: Wall Street va riformata”. E poi: “Bene l’asta per 3,5 miliardi di Btp, ma lo spread sale a 423. Moody’s declassa 26 banche italiane”. In prima pagina, sulla Grecia: “Atene ora tenta la carta del governo tecnico”. Oggi i leader di quasi tutti i partiti (tranne i neonazisti) si incontrerannocon il presidente della Repubblica.
La Stampa: “L’Europa spaventa le Borse. In fumo 120 miliard. Moodys’ declassa 26 banche. Obama: riformare Wall Street. Pesano lo stallo di Atene e il ko della Merkel. Corte dei Conti, rapporto choc sui permessi sindacali: costano 152 milioni l’anno”. A centro pagina: “Eternit, da gennaio 35 morti a Casale”. Intanto sono state rese note le motivazioni della sentenza di condanna dei vertici aziendali dalla società Eternit: “I giudici: una strage consapevole”.
Il Foglio: “La difficile mediazione di Monti con la Merkel per una crescita rigorosa. Le turbolenze greche e il voto tedesco scuotono le Borse. I dossier al vaglio dei ministri finanziari europei”.
L’Unità: “Il rigore strangola l’Europa. Bose in picchiata, la Grecia in stallo. Scontro all’Eurogruppo. In Italia debito recordm entrate in calo, spread a 424”.
Libero: “Agguato fiscale. In arrivo migliaia di ingiunzioni: pochi giorni per produrre documenti che giustifichino detrazioni vecchie di anni. In difetto, pesanti sanzioni. Ma così non è più una democrazia”, scrive il quotidiano. E poi: “Euro, a un passo dal crac. Si salvi chi può. Moneta unica schiacciata dal rigore”.
Il Giornale: “Monti non si salva. Governo in confusione. La paralisi politica in Grecia trascina a picco i mercati e lo spread schizza a 450. I prof stanno fallendo. La Corte dei Conti: pubblico impiego improduttivo, troppi permesi sindacali”. A centro pagina, con foto, la trasmissione di ieri sera di Fazio e Saviano, che “ora scoprono che gli imprenditori sono eroi”. Di spalla: “Bossi piange e lascia a Maroni. ‘Non ho scelta, sarà lui il leader'”.
Jp Morgan
Nella notte tra giovedì e venerdì scorso Jp Morgan ha annunciato una maxi perdita di 2,3 miliardi di dollari in sei settimane su scommesse su Credit Default Swap. A causare questa maxi perdita l’uffficio di Londra della banca. Dopo l’ufficializzazione del buco JpMorgan ha perso oltre il 10 per cento del suo valore in Borsa. Ina Drew, responsabile del Chief Investment Office di JpMorgan si è dimessa ieri. Il Presidente Obama – scrive Il Sole 24 Ore – ribadisce che la Casa Bianca vuole un’applicazione decisa delle riforme bancarie. “L’importanza di rendere operativa la riforma di Wall Street esce rafforzata” da questa vicenda, ha detto il portavoce Carney. “E’ incredibile che, visto gli eventi, ci sia chi sostiene che le riforme vadano cancellate, che dovremmo lasciare Wall Street a scrivere le regole”, ha detto. La legge – la Dodd Franck – è stata approvata, ma molte regole sono in mano ad authority, “frenate dalle resistenze delle società finanziarie e da non pochi politici”, aggiunge il quotidiano. “Con uno dei grandi terreni di scontro nella Volcker Rule,che dovrebbe mettere al bando le attività finanziarieri più rischiose e speculative per le banche. La Commissione bancaria del Senato sta già preparando nuove audizioni per le prossime settimane”.
Su La Repubblica Paul Krugman ricorda che il setttore bancario è stato sempre oggetto di “ondate di panico” e che negli anni 30 la soluzione si trovò nelle assicurazioni sui depositi garantite dallo Stato e in una regolamentazione imposta alle banche per impedire che abusassero da questo status privilegiato dell’assicurazione sui depositi. Ma, “cosa ancora più importante, le banche con depositi garantiti dallo Stato non furono autorizzate ad impegnarsi in operazioni spesso rischiose tipiche di banche di investimento quale Lehman Brothers”. Dopo mezzo secolo di relativa stabilità finanziaria, sono proliferate nuove forme di attività bancaria senza garanzia statale e – al contempo – si è permesso sia alle banche tradizionali sia a quelle all’avanguardia di accollarsi rischi sempre maggiori. Il Presidente e Ad di JpMorgan si è tenuto alla larga da molti pessimi investimenti che hanno messo in ginocchio altre banche, e tale prudenza ha fatto di lui “l’uomo di punta della battaglia ingaggiata da Wall Street volta a procrastinare, annacquare e/o abrogare la riforma finanziaria”: si è opposto alla Volcker rule, che preclude alle banche con depositi garantiti dallo Stato la possibilità di effettuare speculazioni con i soldi dei depositanti. Krugman ricorda anche che “Wall Street sta versando ingenti quantità di soldi a Mitt Romney, che ha promesso di abrogare le recenti riforme finanziarie”.
Su La Stampa si legge che Obama aveva “un buon rapporto” con il capo di JpMorgan Dimon, che “si professa democratico”, fa parte della Fed di New York ed è stato alla Casa Bianca una quindicina di volte. Lo stesso portavoce di Obama Carney ha difeso il Presidente (accusato di aver varato una riforma inutile perché non ha impedito che si ripetessero casi analoghi alla Lehman) sottolineando che JpMorgan ha perso i suoi soldi, e non ha potuto bruciare quelli dei clienti proprio grazie alle riforme passate.
Europa
Ieri, scrive il Corriere della Sera, il presidente dell’Eurogruppo Juncker ha allontanato l’ipotesi di una uscita di Atene dall’euro ventilata nei giorni scorsi soprattutto dalla Germania per convincere i partiti greci a formare un governo e ad applicare un piano di austerità legato ai prestiti di salvataggio: “Vogliamo mantenere la Grecia nella zona euro”, parlare di Grecia fuori dall’euro è “solo propaganda”, i Paesi dell’eurozona “faranno tutto il possibile” per aiutare Atene. E’ stato così sbloccato il miliardo di euro congelato, che verrà versato alla Grecia entro giugno. La Stampa riferisce che il Presidente greco Papulis ha convocato per oggi i capi dei partiti per convincerli a formare un nuovo governo tecnico. Incontrerà quindi i leader di Nuova Democrazia, del Pasok e di Kuvelis Dimar (Sinistra democratica): alla riunione è stato invitato anche il capo di Syriza,Tsipras, che parteciperà, sebbene mantenga la linea dura, chiedendo la cancellazione degli accordi con la Ue per partecipare a qualsiasi governo. Ad appoggiare la coalizione di salvezza nazionale sarebbero pronti quindi, come riferisce il Corriere, il Pasok, Nuova democrazia e Sinistra Democratica, che ha posto come condizione la partecipazione di Tsipras. Se la trattativa dovesse fallire, la Grecia tornerebbe alle urne da qui a un mese. La coalizione Syriza viene data vincente dai sondaggi, poiché conquisterebbe tra il 20 e il 23 per cento. Per ricevere il premio di maggioranza di 50 deputati dovrà però cambiare il suo statuto e diventare un partito unico.
Intanto oggi il neopresidente socialista Hollande arriva a Berlino. La Repubblica descrive la cancelliera Merkel come “abbattuta, indebolita a casa e isolata in Europa”, a causa della sconfitta subita nel Land del Nord Reno Westfalia, ma comunque “ostinata a non mollare”, pur dopo una “Stalingrado personale”. La Merkel ha commentato il voto di domenica: “Domenica è stato un giorno molto triste, doloroso e amaro, una chiara vittoria della Spd, ma la mia politica europea non cambia, non vedo contraddizioni tra austerità e crescita economica”. Il corrispondente da Parigi de La Repubblica si sofferma sull’incontro franco-tedesco di oggi: “La dama dell’austeriuty e l’alfiere del rilancio, la nuova coppia guida per uscire dalla crisi. Ricette economiche diverse, ma sobrietà e pragmatismo li uniscono”. Si sottolinea che la loro appartenenza a schieramenti oppositi dello schieramento europeo non è un ostacolo, poiché le grandi coppie franco tedesche sono state tradizionalmente composte da politici di estrazione diversa, Giscard-Schmidt, Mitterand-Kohl, Chirac-Schoreder. Il duo Merkozy è stato un sodalizio dovuto alle circostanze e alla crisi, più che una vera intesa fondata sulla fiducia reciproca.
L’Unità intervista Axel Schafer, vicecapogruppo Spd nel Bundestag e presidente del gruppo socialdemocratico proprio nel Land del Nord Reno Westfalia, secondo cui “ad essere sconfitta non è stata una persona, ma una politica” e “a vincere non è stata una generica protesta anti-sistema ma una proposta alternativa”. E’ una catastrofe per la Cdu? “Forse ‘catastrofe’ è troppo, di certo si è trattato di una sconfitta, e ad essere premiata è stata l’esperienza di governo della socialdemocratica Annelore Kraft, la cui esperienza ha dimostrato, con i fatti, che giustizia sociale, sviluppo e contenimento del deficit pubblico non solo non sono in conflitto tra loro, ma sono tra loro interdipendenti.
Il Foglio focalizza l’attenzione su quel che accadrà ora al Bundestag, che il 25 maggio prossimo dovrà ratificare il fiscal compact. In cambio del proprio sostegno, socialdemocratici ed ecologisti chiederanno alla Cancelliera Merkel l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie nell’eurozona e programmi europei per le infrastrutture, con un aumento di capitale per la Banca europea degli investimenti.
Italia
Sulla prima pagina del Corriere della Sera le cifre fornite da un rapporto della Corte dei Conti (Relazione del 2012 sul costo del lavoro pubblico) secondo cui i dipendenti pubblici costano ad ogni italiano 2849 euro contro i 2830 pagati dai contribuenti tedeschi. Il vero problema, però, non è il livello della spesa, allineato alla media europea dell’11,1 per cento del Pil, ma l’efficienza della pubblica amministrazione. “In un contesto caratterizzato dalla perdita di competitività del sistema italia – scrive la Corte dei conti – preoccupanti segnali riguardano la produttività del settore pubblico, che è cresciuta nel 2010 di oltre il 2 per cento, è tornata a 0 lo scorso anno, ed ha ricominciato a scendere nel 2012. La Corte dei conti punta il dito anche sulla assenza di meritocrazia: e la relazione spiega che il blocco della contrattazione deciso nel 2010 per tamponare le spese “ha comportato il rinvio delle norme più significative in materia di valutazione del merito individuale e dell’impegno dei dipendenti contenute nel decreto legislativo 150 del 2009”. Tale blocco ha anche “impedito” l’avvio del “nuovo modello di relazioni sindacali delineato nell’intesa del 30 aprile 2009 maggiormente orientato ad una effettiva correlazione tra l’erogazione di trattamenti accessori e il recupero di efficienza delle amministrazioni”.
Il Corriere sottolinea che è musica per le orecchie dell’ex ministro Brunetta, mentre il suo successore, Patroni Griffi, che di Brunetta era stato capo di gabinetto, ha commentato: “Premiare i migliori e aumentare la produttività sono le nostre priorità. Bisogna metterlo in pratica”. Ma i magistrati non sembrano convinti, ribadiscono infatti le perplessità sulla recente intesa tra governo, regioni, province, comuni e sindacati, che ha azzerato il percorso.
Il titolo del Sole 24 Ore, riferendo del rapporto della Corte dei conti, recita: “Bocciata l’intesa sugli statali”. Il riferimento è proprio all’intesa sul pubblico impiego firmata il 4 maggio scorso.
La Corte ha sottolineato che dal 2010 ad oggi è stata frenata la spesa nel settore pubblico, ma i tagli lineari hanno anche colpito la “qualità e quantità dei servizi erogati”.
La Stampa, dando conto del rapporto, focalizza l’attenzione sul costo per l’erario delle cosiddette “prerogative sindacali”: “la fruizione dei diversi istituti, tra aspettative retribuite, permessi, permessi comulabili e distacchi, relativamente al 2010 può essere stimata come l’assenza dal servizio per un intero anno lavorativo di 5.569 unità di personale”, scrive la Corte dei Conti. Tradotto in soldi, si tratta di 151milioni di euro l’anno.
E poi
La Repubblica si occupa delle prima “scuola per imam” in Italia: è nata a Padova, dove da gennaio esiste, presso la facoltà di sociologia, il primo master continentale in “studi sull’islam d’Europa”. A sostenere il master, fra gli altri, le Acli Veneto, l’associazione islamica italiana degli imam, e il governo del Marocco, che ha finanziato dieci borse di studio. Ieri a Padova sono iniziate le lezioni (4 giorni di corso, 20 iscritti): 20 imam che ieri hanno fatto il primo giorno di scuola sono arrivati dall’Egitto, dalla Somalia, dalla Tunisia, dal Marocco. Solo uno è italiano, e si è convertito all’islam venti anni fa. Viene da Bologna. Al tema è dedicata una analisi del sociologo delle religioni Renzo Guolo. Si spiega che l’Isesco, emanazione dell’organizzazione della cooperazione islamica (Oci), composta da 57 stati membri, ha mandato a Padova i suoi docenti, per tenere il corso ad aspiranti imam. Finora le iniziative per formare gli imam in Italia non sono mai decollate, infrangendosi su un dilemma: costruire l’islam italiano o limitarsi a registrare la presenza dell’islam in Italia? La prima via presuppone la cittadinizzazione degli immigrati e una intesa che prenda atto, giuridicamente e non solo di fatto, del nuovo pluralismo religioso. La seconda considera l’islam una “religione degli stranieri” e delega ad attori esterni il controllo e la formazione delle leadership comunitarie, anche religiose. Finora l’Italia ha scelto la via della “esternalizzazione”, consegnando a organizzazioni intestatali o ad associazioni transnazionali della mezzaluna la formazione di personale religioso: una scelta, peraltro, mai adottata ufficialmente.
Il Giornale dedica invece un articolo alle trasmissioni che vanno in onda da Brescia su una tv locale: è il primo programma arabo-musulmano made in Italy, una versione nostrana delle “telemoschee”. A condurre i programmi è l’imam sudanese Abu Ammar Al-Sudani, la cui ambizione è quella di dar vita ad una vera e propria televisione islamica, e a tal fine afferma di aver già ottenuto finanziamenti dai Paesi islamici del golfo. Fa sapere anche che le prossime puntate saranno sponsorizzate da aziende italiane.
Rilancia l’allarme libero: “Allah fa proseliti sulla prima tv islamica italiana”.