Le analisi del voto basate sulle percentuali e sui flussi di votanti dall’uno all’altro partito non colgono alcuni aspetti essenziali.
Il primo, indicatoci dai voti assoluti, è che, a causa della diminuita partecipazione elettorale e dell’aumento dell’astensionismo, di fatto, salvo i partiti che in passato non esistevano (come il Movimento 5 stelle di Grillo), non ha vinto nessuno: tutti hanno perso voti. In maniera molto più consistente nel centrodestra, con il tracollo di Pdl e Lega, e in misura minore nel centrosinistra.
Il secondo aspetto è ancora più importante. Concentrarsi sui passaggi da un partito all’altro mette in ombra un dato fondamentale: la personalizzazione sempre più accentuata della politica, che in larga parte prescinde dall’appartenenza ai partiti. Lo stesso esplodere delle liste civiche – e il fatto che spesso anche i partiti si nascondano dietro ad esse – è un segno che le persone contano più dei partiti. Tanto è vero che, in alcuni casi di sindaci uscenti non particolarmente brillanti, non è bastata l’appartenenza partitica a consentire loro un secondo mandato: hanno ceduto il passo.
Ma anche l’ascesa del Movimento 5 stelle è leggibile in questa chiave. Non è il programma politico generale ad attirare: certo non le boutades sull’uscita dall’Euro e dall’Europa, e simili, che non costituiscono ancora nemmeno l’abbozzo di un’idea di possibile governo. No, quello che conta è che si tratta di candidati (e, da ora in poi, di consiglieri e di amministratori) che sono volti nuovi, giovani, e quindi di un rinnovamento radicale del ceto politico, cui si dà più fiducia rispetto a quello espresso dai partiti (che peraltro, in termini di rinnovamento e di età anagrafica del proprio personale politico, dall’una e dall’altra parte, sono molto più indietro ed hanno indubbiamente assai meno sex appeal, rispetto a un elettorato che ha mostrato a chiare lettere di voler voltare pagina).
Questo impone un secondo fondamentale passaggio: approvare finalmente una legge elettorale che restituisca all’elettorato la possibilità di scegliere le persone, e non solo le liste e i partiti. Sarebbe un errore clamoroso – l’ennesimo – se i partiti (soprattutto quelli che hanno perso di più, come mostrano chiaramente le dichiarazioni di questi giorni, soprattutto nel centrodestra) si lasciassero tentare dalla voglia di non cambiare nulla, andando a votare con l’attuale sistema elettorale.
Una scelta che il Paese non capirebbe, non accetterebbe, e soprattutto non perdonerebbe: che porterebbe quindi al declino definitivo dei partiti che la esprimono. Ma che comporterebbe un ritardo enorme nell’urgentissimo bisogno di ricambio di leadership e nella indispensabile ripresa di fiducia, anche nella politica, necessaria alla ripresa anche economica e morale del Paese: che ci costerebbe quindi molto cara.