Napolitano difende il suo consigliere

Il Corriere della Sera: “Napolitano: vogliono colpirmi. Il capo dello Stato rende noto il careggio con D’Ambrosio, che scrisse: mai favorito Mancino”. “Intercettazioni di Palermo, l’accusa del Presidente”. In alto la legge di stabilità_ “Possibili ritocchi se verrà ridotto l’intervento sulle aliquote Irpef. La retroattività sulle detrazioni resta. Un piano per le modifiche in Parlamento”. A centro pagina: “Maroni: mi piacerebbe fare il governatore”, e un commento di Giangiacomo Schiavi dal titolo: “Formigoni non si candidi”.

 

La Repubblica: “Napolitano: volevano colpire me. Intercettazioni, le lettere tra D’Ambrosio e il capo dello Stato. Il presidente elogia il suo collaboratore morto d’infarto. ‘Basta insinuazioni, sostengo i magistrati antimafia, a partire da Palermo’”. Di spalla: “Formigoni addio, la Lega punta alla Lombardia”:

 

La Stampa: “Detrazioni, il governo non vede. Nessun rinvio ai tagli degli sconti fiscali. ‘Le modifiche devono essere finanziate’. Saltano il super Cnr e la tassazione delle pensioni di invalidità. Anche l’Europa vara la sua spending review”. In alto le parole del Presidente della Repubblica: “Napolitano: insinuazioni su di me. E svela il carteggio con D’Ambrosio. ?Lo attaccarono ma l’obiettivo ero io’. Il giurista prima di morire: mai favori a Mancino”.

 

Libero: “Fatta la legge per non pagare. Macché saldare i debiti: nel provvedimento che alza (ancora!) le tasse, il governo ha messo una norma che impedisce di ottenere giustizia a chi ha crediti con la pubblica amministrazione”.

 

Il Giornale: “Stato strozzino: ecco le prove. Se il contribuente non paga, multe raddoppiate, ganasce e pignoramenti. Monti tira diritto, nuova batosta: subito giù le detrazioni”.

 

Il Sole 24 Ore offre un “forum” con il Ministro del Lavoro Elsa Fornero: “Contratti a termine meno rigidi. Fornero: un decreto interministeriale per cambiare la riforma. Il ministro del Lavoro: troppo lunghi i tempi per i rinnovi. Patto con la Germania per lanciare l’apprendistato”. A centro pagina il consiglio dei ministri convocato per oggi: “Semplificazioni, solo un Ddl. Oggi il provvedimento in Consiglio dei ministri, salta lo sconto sui crediti Inps. Le imprese: serviva un decreto, scelta incomprensibile”. Di spalla la legge di stabilità: “Tagli agli sconti Irpef: sulla retroattività il Governo non cede”.

 

Su molte delle prime pagine l’udienza preliminare a Grosseto del processo per la vicenda della Concordia: “processo show a Schettino”, titola La Repubblica, mentre il Corriere della Sera scrive: “Schettino spavaldo in aula”.

 

Napolitano

 

Inaugurando ieri a Scandicci la scuola di formazione per magistrati, il Capo dello Stato ha portato con sé un libro che raccoglie i suoi interventi in materia di giustizia. A chiusura di questo testo, come spiega il Corriere, sta una lettera del suo consigliere per gli affari alla giustizia, Loris D’Ambrosio. Aveva dato le dimissioni, dopo le polemiche sulle telefonate intercorse tra l’ex ministro Mancino e il Quirinale. Napolitano le respinse: “L’affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me. Ce ne saranno ancora, è probabile, li fronteggeremo insieme”, scriveva in risposta Napolitano il 19 giugno. Meno di un mese dopo, D’Ambrosio fu stroncato da un infarto. Napolitano parlò di una “campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni ed escogitazioni ingiuriose” nel necrologio. Il libro contiene una lettera di D’Ambrosio. La Stampa la riproduce integralmente, così come riproduce la risposta di Napolitano.

D’Ambrosio spiega la sua amarezza, anche per la consapevolezza che la malevola interpretazione dei fatti di quei giorni stava “cercando di spostare” sulla figura di Napolitano e sul suo altissimo ruolo istituzionale “condotte che soltanto a me sono invece riferibili”. Insiste D’Ambrosio: “Non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente, potessero tendere a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello Stato”. Poi: “Quel che, con espresso riguardo ai procedimenti sulle stragi, ho invece sempre ritenuto e poi stigmatizzato in qualunque colloquio, è che le criticità e i contrasti sullo svolgimento di quei procedimenti non giovano al buon andamento delle indagini, che imporrebbero, per la loro complessità, delicatezza e portata, strategie unitarie, convergenti e condivise, oltre che il ripudio di metodi investigativi non rigorosi”. Probabilmente in riferimento al quotidiano Il Fatto e alle dichiarazioni di quei giorni di Antonio di Pietro, D’Ambrsio scriveva: “E’ così accaduto che qualche politico o giornalista sia arrivato ad accostare chi, come me, non accetta schemi o teoremi prestabiliti all’interno di quella zona grigia che fa di tutto per impedire che si raggiungano le verità scomode del ‘terzo livello’, tutto ciò- è inaccettabilmente calunnioso. Ma non mi è difficile immaginare che i prossimi tempi vedranno spuntare accuse ancora più aspre che cercheranno di ‘colpire me’ per ‘colpire lei’. Non conosco il contenuto delle conversazioni intercettate, ma quel tanto che finora è stato fatto emergere serve a far capire che d’ora in avanti ogni più innocente espressione sarà interpretata con cattiveria e inquietante malvagità”.

 

La Stampa ricorda che in questi giorni Napolitano non ha risposto alla memoria con cui i Pm di Palermo si sono costituiti in giudizio presso la Corte Costituzionale, quella in cui gli avevano dato del monarca perché a loro giudizio solo per il re vale l’immunità totale. Ma ieri, parlando in memoria di quello che ha definito un uomo “competente, serio, discreto” come Loris D’Ambrosio, antico sodale di Giovanni Falcone e autore materiale del 41 bis, Napolitano ha sottolineato che “politica e giustizia non possono percepirsi ed esprimersi come mondi ostili”, ed ha rivendicato “coerenza e trasparenza” nel sollevare il conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale contro la Procura di Palermo. Napolitano ha spiegato che quella è stata “una decisione obbligata”, perché si è tentato, attraverso i canali di una informazione sensazionalistica, e qualche marginale settore politico, di “mescolare una iniziativa di assoluta correttezza istituzionale con il travagliato percorso delle indagini giudiziarie sulle ipotesi di trattativa Stato mafia negli anni 90, insinuando in modo del tutto gratuito il sospetto di interferenze da parte della Presidenza della Repubblica”. Anche qui, secondo La Stampa, il riferimento è al Fatto e a Di Pietro.

 

Europa pubblica il discorso pronunciato dal Capo dello Stato, sotto il titolo “Oltre la spirale delle ritorsioni”.

 

L’Unità riferisce di una analisi dei consulenti della Commissione parlamentare antimafia che ha studiato tempi, modi e profili dei 520 detenuti a cui non fu rinnovato il 41 bis, ovvero il regime di carcere duro, nel biennio 1992-1994: è la polemica che ha colpito l’allora Guardasigilli Conso, per le scelte fatte. Ebbene, secondo questi dati ad essere esonerati dal carcere duro furono “pesci minori, e per un tempo limitato”. Anzi, secondo i consulenti della Commissione, fu proprio il ministro Conso a riportare al regime duro otto capi siciliani sui 23 liberati nel biennio 1992-1993.

 

Partiti

 

Sul Corriere della Sera una intervista al leader della Lega Roberto Maroni. “Io credo che Formigoni debba mantenere i nervi saldi. Anche io, se avesso dovuto dare ascolto soltanto alla pancia, avrei dovuto staccare subito la spina alla giunta lombarda”. Ieri Formigoni si è detto “allibito” dall’atteggiamento della Lega, ed ha accusato il partito di Maroni di “ribaltonismo”. Qual era l’accordo raggiunto a Roma? Maroni: “Azzeramento dell’attuale giunta, una nuova legge elettorale, l’approvazione della legge di bilancio entro Natale. Cosa che io torno certamente a sottoscrivere anche ora. E dunque, la Lega non ha rotto alcun patto. Io non ho preso alcun impegno per arrivare al 2015”. Maroni spiega che questi tre impegni richiedono “qualche mese”, e che “fatte queste tre cose si può andare al voto. Alfano ha detto che non si può andare al voto nel 2015. Sennonché accorpare le politiche alle regionali consentirebbe di risparmiare qualcosa come 50 milioni di euro. Mi chiedo: in un momento di crisi come questo è giusto spendere una cifra del genere per anticipare le elezioni lombarde di qualche settimana?”. Quale legge elettorale preferirebbe la Lega: “Bisogna eliminare il listino bloccato”, e “ridurre i consiglieri regionali da 80 a 60”. Maroni dice anche di essere contrario alla abolizione delle preferenze”.

La sua candidatura: “La massima ambizione di un federalista, senza subbio, è quella di poter governare la propria Regione. Per quanto mi riguarda, ne sarei onorato e posso dire che sarebbe certamente più importante e gratificante che non fare il ministro”.

Infine, a Formigoni: “Vorrei ricordargli che non c’è stato alcun tradimento da parte nostra, ma in queste condizioni continuare come nulla fosse era impossibile. In Lombardia siamo alleati e la Lega non ha rotto questa alleanza, che anzi può continuare. Ma la sola idea della contiguità con la ‘ndrangheta è insopportabile e richiede la massima discontinuità”.

 

Su Pubblico si parla di un “colpo di scena”. “Antonio di Pietro ha inviato una lettera a Bersani, Vendola e Nencini. Il senso, asciugando al massimo, è ‘torniamo insieme’”. Il leader dell’Idv, secondo il quotidiano, vuole ricucire con la coalizione per partecipare alle primarie (come candidato o in sostegno a una candidatura). Di Pietro, nella lettera, scrive di riconoscersi nella Carta di intenti del centrosinistra, ricorda che Idv ha già organizzato la raccolta delle 20 mila firme previste per presentare una propria autonoma candidatura, precisando tuttavia che il partito “non intende forzare la mano con la presentazione non concordata”. Chiosa Pubblico: “E’ pronto a candidarsi, quindi, Di Pietro. Ma forse no. In queste ore si infittiscono i contatti con Vendola, che in effetti aveva dichiarato di essere il pontiere tra Di Pietro e il Pd di Bersani”. Un tentativo di riavvicinamento che per il quotidiano è probabilmente “autorizzato” poiché se dovesse concretizzarsi la legge elettorale con il premio alla coalizione, solo la presenza di Di Pietro farebbe dormire sonni più tranquilli a Bersani, scacciando la prospettiva di un governo tecnico bis e facilitando la premiership di Bersani.

 

Per quel che riguarda Massimo D’Alema, La Stampa parla di una “mossa del cavallo”: E’ così che ha risposto al passo indietro unilaterale di Veltroni, lanciando peraltro la “patata bollente” nelle mani di Bersani. Con due dichiarazioni: “La mia disposizione è non candidarmi, lo farò se il partito mi chiede di farlo”. Secondo: “Sono impegnato a mettere un argine a questa ondata e dopo posso anche andarmene tranquillo. Avevo detto a Bersani che non volevo candidarmi, ma ora difendo la dignità di una storia”.

 

Su La Repubblica: “D’Alema resiste all’effetto Veltroni: ‘Non sono un oligarca da cacciare, mi candido solo se il partito vuole’”. Per D’Alema l’idea che ci sia un gruppo di oligarchi “che si devono togliere di mezzo” è una “evidente distorsione” e denota l’abilita dei nostri competitori a mettere al centro l’eliminazione della classe dirigente del Pd. Sullo stesso quotidiano, una intervista al senatore pugliese Nicola Latorre, considerato un dalemiano, piuttosto critico sulla lettera pro-D’Alema pubblicata da alcuni amministratori locali del sud su L’Unità con una pagina a pagamento.

Spiega di non aver firmato quel documento: “nessuno mi ha interpellato. L’ho saputo da un deputato”, “probabilmente sapevano che li avrei scoraggiati”, “comprendo lo spirito che muove la lettera ma non lo condivido. L’obiettivo è fermare questa campagna violenta, così invece si rischia solo di peggiorarla”. Perché per Latorre “tutte queste discussioni, che partono dalla orribile parola ‘rottamazione’, non fanno bene alle primarie. E’ una categoria infelice dal punto di vista politico e culturale. Il rinnovamento deve essere uno dei capitoli, non il capitolo”.

 

La Stampa racconta, recensendo un libro del direttore di Libertà Eguale Antonio Funiciello, “il ritratto del ceto politico più longevo dell’Occidente”. Si risale ai tempi in cui Enrico Berlinguer, artefice della politica del compromesso storico, di fronte al fatto che la base del Pci non fosse convinta di questa scelta, decise di promuovere un rinnovamento della classe dirigente intermedia. Si arrivò così ad una massiccia cooptazione che coinvolse tanti giovani (Massimo D’Alema fu convocato alla guida della Fgci, pur non essendovi neppure iscritto) e negli anni successivi portò in prima linea una intera generazione, da Fassino a Bersani, da Veltroni a Vendola. Una volta conquistata la prima linea, la generazione del compromesso storico non l’ha più lasciata. Il gruppo che guida il Pd, come Sel, è lo stesso reclutato quaranta anni fa. La sinistra italiana ha un destino unico al mondo. Altrove, scrive Funiciello, “i nomi dei partiti tendono a conservarsi, mentre i nomi dei dirigenti cambiano. Da noi, lo stesso partito continua a cambiar nome. I dirigenti restano gli stessi”. Titolo del libro: “A vita”.

 

Su Europa il leader di Alleanza per l’Italia Rutelli si chiede: “Ma sono le primarie della sinistra?”. Per Rutelli la carta Pd Sel è un buon testo socialdemocratico, ma ripete l’errore del governo Prodi del 2006: “Qualcuno pensa davvero che nel 2013, per governare, basti accusare il liberismo (per criticare il liberalismo democratico) e ammiccare all’egualitarismo (per denunciare le crescenti diseguaglianze, problema dirompente ormai a livello planetario)?”.

 

Governo

 

Secondo La Repubblica il governo presenterà la prossima settimana un rapporto sulla corruzione in Italia. Oltre 400 pagine frutto del lavoro della Commissione costituita presso il ministero della Funzione pubblica dal titolare Filippo Patroni Griffi.

Secondo i dati nella classifica (Corruption Perception Index di Transaparency International), l’Italia è al sessantesimo posto con Ghana e Macedonia. Secondo il rapporto la corruzione – dati della Corte dei conti – costa al nostro Paese 60 miliardi di euro all’anno. A questi costi vanno aggiunti quelli indiretti: quelli connessi ai ritardi nel definire le pratiche amministrative, al cattivo funzionamento degli apparati pubblici, alla inadeguatezza, se non inutilità, delle opere pubbliche, dei servizi, delle forniture pubbliche. E poi i “costi striscianti”, come il rialzo straordinario, che colpisce le grandi opere, valutabile attorno al 40 per cento. Sta qui, secondo il presidente del Consiglio Monti, che apre il rapporto con una sua prefazione, la perdita della competitività del Paese. Per questo il Governo avrebbe intenzione di mettere in cantiere un pacchetto di deleghe da esercitare appena dopo l’approvazione della legge anticorruzione.

 

Internazionale

 

Questa sera il secondo duello tv tra il Presidente Obama e lo sfidante Romney. Spiega Europa che, a differenza del primo, questo dibattito si svolgerà in stile “town hall”, ovvero in un contesto che vede la possibilità per ottanta cittadini americani, scelti appositamente dalla società di sondaggi Gallup, tra quelli che si dichiarano ancora indecisi su chi votare, di porre domande a piacimento ai contendenti. Altra particolarità di questo format è che le domande sono “bread and butter”, cioé terra terra. Le discussioni sulla sicurezza nazionale, sulle tasse, sulla riforma del sistema sanitario, saranno per certi versi lasciate da parte, per lasciar spazio alle domande più vicine alla vita quotidiana degli americani: casa, scuola, regolamenti provinciali di contea, problemi familiari. E quasi non importa quanto i candidati si preparino, perché a volte le domande, specie quelle più genuine, sono spiazzanti. Il quotidiano ricorda un precedente riguardante George W Bush nel 2004. Una donna gli chiese di elencare tre errori che aveva commesso durante la sua vita, e l’ex presidente farfugliò. Le risposte non possono superare i due minuti.

In questi giorni si è dibattuto anche del ruolo possibile di Candy Crowley, moderatrice dell’incontro di stasera, cui si è chiesto di astenersi dal fare domande dirette, una volta selezionate le domande.

Lei rivendica libertà giornalistica.

 

Sul Corriere della Sera si scrive che potrebbe emergere nel dibattito la vicenda relativa all’uccisione dell’ambasciatore Usa in Libia. Quando accadde, la Casa Bianca si scusò per le offese arrecate ai musulmani dal video insultante la figura di Maometto. Ma la scorsa settimana, è emerso con chiarezza che quello di Bengasi è stato un attacco terroristico premeditato, senza alcun collegamento diretto con le proteste per il video. Ed è anche emerso che alcuni americani in Libia, preoccupati per le crescenti tensioni, avevano anche chiesto un aumento delle misure di sicurezza per le sedi diplomatiche. Giovedì scorso, nel dibattito tra i vicepresidenti, il democratico Biden ha risposto alle critiche del repubblicano Ryan sostenendo che le richieste di rinforzi non erano arrivate fino alla Casa Bianca ma si erano fermate al Dipartimento di Stato. Spiega il Corriere: “Insomma, per salvare Obama Biden ha tirato in ballo Hillary Clinton, oltre alla Cia, che avrebbe accreditato nei suoi rapporti iniziali una tesi, quella della rivolta spontanea), rivelatasi, poi, priva di fondamento. Ma come può Obama prendere le distanze dal suo segretario di Stato proprio mentre suo marito si sta spendendo come la faccia più popolare nella campagna per la sua rielezione alla Casa Bianca?”. In queste ore il Dipartimento di Stato è costretto a difendersi sostenendo di non aver mai abbracciato la tesi della rivolta, così sconfessando in parte la sua ambasciatrice all’Onu, Susan Rice, che aveva molto battuto su questo punto dopo l’uccisione dell’ambasciatore Usa. Romney è quindi partito all’attacco accusando Biden di aver detto il falso.

 

Su La Repubblica la stretta di mano tra il premier britannico Cameron e il suo omologo scozzese Salmond: sigla la firma dell’accordo che permetterà alla Scozia di indire nell’autunno 2014 un referendum sulla indipendenza dalla Gran Bretagna. Secondo Il Sole 24 Ore i sondaggi indicano che il 60-70 per cento della popolazione voterà no, per abitudine più che per passione, e forse anche per calcolo, se è vero quanto suggeriscono economisti filo-unionisti, fermi nell’immaginare un futuro gramo per i cinque milioni di scozzesi se dovesse prevalere la spinta indipendentista. Salmond – che prima di far politica batteva le piattaforme del mare del Nord per valutare l’impatto del greggio sulle finanze delle compagnie e del Paese – è convinto che dal petrolio la Scozia ricaverà benessere. In realtà, secondo il quotidiano, titolarità dei 20 miliardi di – teorici- barili celati sul fondo del mare, è questione aperta. Le divisioni riguardano anche il nucleare, nella sua versione militare, perché Salmond vuole smantellare al più presto la flotta dei sottomarini atomici. Un braccio di ferro c’è stato poi sul quesito referendario, che Cameron ha voluto secco, senza terze vie e compromessi, scartando la proposta di una autonomia potenziata rispetto a quella attuale.

Sullo stesso quotidiano, di fianco, si racconta come il fenomeno del separatismo si allarghi in Europa: è la crisi a dar vigore a questo fenomeno. Ad Anversa per la prima volta prevalgono al comune i fiamminghi autonomisti, mentre la ricca Catalogna chiede più poteri fiscali.

 

E poi

 

Il Corriere della Sera si occupa di uno studio commissionato dal Parlamento europeo sul destino delle donne nei Paesi del mondo arabo che sono stati interessati dalle rivolte e che ora affrontano la transizione alla democrazia. Una delle autrici è una studiosa dell’Università di Torino, Roberta Aluffi. L’analisi evidenzia come le donne siano agenti attivi dei processi rivoluzionari, ma una volta che la rivoluzione è finita vengono messe ai margini ed escluse dal processo decisionale.

 

Su La Stampa la morte di Norodom Sihanouk, ex re della Cambogia che appoggiò Pol Pot. Era amato dal popolo, nonostante l’ombra dei Khmer Rossi. Anche su La Repubblica un articolo sull’argomento. Il corpo dell’ex sovrano sarà esposto per novanta giorni, poi cremato. In molti ancora lo venerano.

 

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