Caso Pioltello, sulla coesistenza religiosa serve una politica di governo

Per decisione del suo consiglio, l’Istituto comprensivo “Iqbal Masih” di Pioltello, paese-satellite di Milano, resterà chiuso il 10 aprile, nel giorno dell’Eid-al-fitr, fine del ramadan, per venire incontro alle esigenze degli studenti di origine musulmana, che sono circa il 40 per cento.

La Lega di Salvini ha denunciato la decisione come ennesimo tradimento dell’identità cristiana e come subalternità culturale all’Islam. Il ministro Valditara, leghista a sua volta, l’ha buttata sul giuridico. Il provvedimento di chiusura per il 10 aprile “non è stato motivato e introduce una deroga ulteriore al calendario rispetto a quanto previsto dalla regione Lombardia: qualsiasi deroga non può essere finalizzata in qualche modo a riconoscere nuove festività, compito che non spetta alla autonomia di una scuola”.

Tuttavia l’Usr contesterebbe solo delle “irregolarità”, non delle “illegittimità”. Poi però il ministro ha difeso il personale scolastico dagli attacchi violenti e minacciosi schizzati dalla cloaca dei social.

 

Le competenze dell’autonomia scolastica

Sul piano strettamente giuridico-istituzionale, l’autonomia scolastica non può certo decidere di modificare il calendario scolastico – spetta alla Regione fissarlo, nel quadro della legge nazionale, che fissa i giorni e le ore di attività didattica – ma può adottare ogni misura che tenga conto delle esigenze delle famiglie e dei ragazzi. Le scuole lo fanno da sempre.

È solo banale ricordare, per esempio, che i docenti non fanno interrogazioni in una classe, se è reduce da un’impegnativa gita scolastica o da qualche altro evento, prime comunioni e cresime comprese.

Se metà della classe ha fatto il ramadan il giorno prima, spetta legittimamente alla scuola decidere che cosa fare il giorno dopo. Che il consiglio di istituto tenga conto delle domande del territorio e del tessuto socio-culturale dentro il quale un istituto scolastico è immerso corrisponde alle responsabilità dell’autonomia scolastica.

Non stupiscono, ahinoi, ma impressionano pur sempre l’ignoranza colpevole e l’arroganza di esponenti politici, che intervengono sui temi delicati dell’educazione e delle politiche scolastiche, senza minimamente conoscere i meccanismi giuridico-istituzionali che regolano il sistema, quali previsti nel Dpr n. 275 del 1999 sull’autonomia scolastica.

La vita della scuola viene traguardata brutalmente attraverso gli interessi elettorali – incombono le elezioni europee! – fino a dare rappresentanza e avallo a correnti di odio contro il personale scolastico più esposto sul fronte incandescente dell’educazione.

 

Stupore e ferocia?

Sul piano socio-culturale, la questione è straordinariamente urgente. La società italiana, in relativo ritardo rispetto alle società europee, sta cambiando la propria composizione etnografica e perciò culturale.

Gli immigrati portano nuove culture e nuove religioni, anche se la maggioranza degli immigrati in Italia è tuttora cristiana e se dei cinque milioni di immigrati i credenti di religione musulmana sono meno della metà.

Di qui l’angoscia e la paura di molte persone, sempre più anziane, considerato l’inverno demografico ormai avviato. Angoscia della fine di un mondo, paura di quello nuovo che si annuncia. Paura di perdere la propria identità, di essere sopraffatti e “sostituiti” dai “nuovi barbari”. La paura è un’emozione animale elementare e perciò anche profondamente umana. Che cosa farne? Qui si aprono due strade.

Una è quella che persegue l’eccitazione e l’accumulazione della paura, fino a farne una massa critica da utilizzare per imprese e avventure politiche. L’ideologia che sostiene questa “impresa” è quella dell’identità italiana come identità cristiana.

Qui si parla di “cristianesimo culturale”, si intende, non di pratica etico-religiosa cristiana. I suoi retori piangono ogni giorno lacrime sulle chiese abbandonate, ma si guardano bene dal frequentarle. Elevano peana ai valori cristiani, ma li usano come armi improprie, con linguaggio violento, intollerante, bellico. È il linguaggio della destra illiberale italiana: “Tutto stupore e ferocia”, direbbe Giambattista Vico. Lo scambio politico che viene offerto ai cittadini: affidami le tue paure e, mi raccomando, il tuo voto e io proteggerò la tua identità minacciata dallo straniero. Sarò la tua Lepanto. In realtà, la società del futuro che questa politica ci prepara è quella di identità-lupo rispetto alle altre identità. Una politica che rispecchia passivamente e promuove attivamente una società chiusa, rancorosa, invecchiata. Si batte per il declino dell’Italia nel nome degli Italiani.

 

Prendersi cura delle paure

L’altra strada è tentare di sciogliere il blocco delle paure, che tende a formarsi nella società. C’è un solo modo: integrare “lo straniero” nei nostri valori di civiltà. Operazione non facile con i genitori immigrati, più facile con i loro figli.

Non facile con i padri/madri, perché spesso resistono in forza della loro identità. E non perché siano necessariamente fondamentalisti islamici. Esiste un’inerzia dell’identità, che funziona quale scudo di protezione. Tra questi scudi, anche la religione. È il meccanismo psicologico di ogni immigrazione.

Ora, l’Islam, anche quello “moderato”, è impermeabile alle libertà europee di origine cristiana: gli sono mancati i filtri che dall’Umanesimo in avanti la storia europea ha provvidenzialmente imposto al Cristianesimo, nelle sue varie versioni. Gli sono mancate le sanguinose guerre europee di religione, che hanno generato la distinzione tra Stato e Chiese. La Bibbia non funge da Costituzione degli Stati come invece accade per il Corano.

Per sciogliere l’ostilità servono la testimonianza sociale quotidiana delle libertà e della parità uomo-donna e, si intende, la forza delle nostre leggi. Si tratta di decidere se l’Italia è capace di far diventare i figli degli immigrati di oggi gli italiani di domani. Se non ne sarà capace, non perciò i figli degli immigrati se ne andranno. Semplicemente la loro sarà una presenza ostile.

Se noi non amiamo i loro figli oggi, i loro figli odieranno i nostri domani. Basta fare un salto nelle periferie di alcune città europee di più lunga immigrazione per verificarlo.

 

La missione del sistema scolastico

Il sistema scolastico è il primo motore dell’integrazione. Le paure del territorio si sciolgono più facilmente non appena nel tessuto sociale si pratichino forme di integrazione dal basso tra scuole, parrocchie, famiglie, bambini, associazioni sportive. Con un singolare paradosso, che Nando Pagnoncelli ha fatto ripetutamente notare nei suoi studi statistici: l’intervistato di turno si dichiara allarmato per l’invasione degli immigrati, ma poi non vede nel suo ambiente più prossimo nessuna invasione. Eppure gli immigrati sono lì, gomito a gomito. Insomma: l’immigrato lontano è pericoloso, quello vicino no.

Semmai, il problema è che il sistema scolastico funziona male un po’ per tutti. Ma funziona peggio per i figli degli immigrati, che le statistiche danno come i più esposti al fallimento e alla dispersione. Come si fa, per esempio, a integrare, se ai figli di immigrati, appena arrivati, non si insegna la lingua italiana in corsi preparatori differenziali e/o laterali? Così, l’integrazione si sviluppa di più a livello di scuola di base, mentre è più precaria e fallibile nel ciclo superiore, quello dell’età critica dell’adolescenza. I nostri valori hanno una straordinaria capacità attrattiva sulle giovani generazioni. Le nostre istituzioni educative fanno fatica, non da oggi, a trasmetterli a tutte, indigene e immigrate.

Basterà la politica dell’integrazione scolastica? No. Serve una politica di governo, che regoli la compresenza di un numero crescente di identità religiose attraverso intese.

 

 

Questo articolo è stato in origine pubblicato su Santalessandro.org il 26 marzo 2024.

Foto di copertina di Tina Floersch, da Unsplash.

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