Pompeo-Bergoglio, dietro l’affondo Usa
il sogno di una “Chiesa patriottica”

La ferita diplomatica e i nemici americani di Papa Francesco

Il grande gelo che avvolge ormai ufficialmente le relazioni tra Vaticano e Stati Uniti è sulla Cina? Davvero? I fatti certamente dicono questo e ricapitolarli brevemente aiuterà a capire perché ne possiamo dubitare.

In vista del suo allora imminente viaggio a Roma e in Vaticano il segretario di stato americano, Mike Pompeo, ha pubblicato un lungo articolo su First Things, rivista un tempo espressione del mondo neocon e oggi dell’identitarismo cristiano negli Stati Uniti. Il suo orizzonte non è più quello di allora, ma è un orizzonte neo-tradizionalista e illiberale, quindi è indiscutibile che sia molto diverso da quello originario. Qui Pompeo ha detto: se il Vaticano non chiude questo accordo provvisorio con la Cina sulla ricerca di un accordo definitivo sulla nomina dei vescovi non potrà più essere riconosciuto come autorità morale. Quando poi è venuto a Roma ha tentato di associare Giovanni Paolo II a questa visione illiberale e neo-tradizionalista citandolo cinque volte nel suo discorso nel quale ha ripetuto l’intemerata. Lo ha fatto sapendo bene che Giovanni Paolo II è il papa che ha avviato il dialogo con la Cina, inviandovi il diplomatico che attualmente gestisce il cosiddetto “file-Cina” in Vaticano. Per i non addetti ai lavori conterà poco sapere che l’accordo provvisorio, che il si è deciso di prorogare per altri due anni, non riguarda il Vaticano ma la Santa Sede. Eppure è importante, perché vuol dire che non riguarda la Stato e il suo Capo, ma la Chiesa e il suo pastore universale. È come pastore universale dei cattolici di tutto il mondo che Francesco ha firmato l’accordo provvisorio sulla ricerca di un metodo di nomina dei vescovi cinesi.

Dunque questo accordo cosa vuol dire? Come è stato per secoli in Europa, con tante difficoltà con gli imperatori, anche in Cina si vuol convincere l’imperatore-segretario, il “figlio del cielo”, che la fedeltà cinese dei vescovi è una cosa, la fedeltà a Pietro un’altra. Riuscirci significherebbe introdurre il germe fondante il pluralismo in un Paese fondato sull’assolutismo.

Che le cose in Cina non vadano bene è evidente, e nasconderlo renderebbe più difficile capire la posizione vaticana. Non è solo Hong Kong a dirlo, ma tutto il corso dei fatti su tante persecuzioni. Rompere le migliorerebbe? O non aiuterebbe Pechino a presentare il cristianesimo come una religione “infiltrata”, una religione al servizio dell’Occidente? Cosa significherebbe questo per i cattolici cinesi? E cosa significherebbe per tanti altri, non solo per loro? Qui la posizione vaticana si può capire ricordando il titolo del libro del suo più grande diplomatico dei tempi recenti, Agostino Casaroli: quel libro si intitola “Il martirio della pazienza”. Che non vuol dire soltanto che essere pazienti costa, ma anche che la pazienza a volte è martirizzata. Questa visione va unita alla visione di un diplomatico vaticano di molto precedente, Celso Costantini, primo delegato pontificio nella Cina post imperiale e pre-comunista, dal 1922 al 1933, che scrisse nelle sue memorie: “Di fronte specialmente ai cinesi, ho creduto opportuno di non dover accreditare in alcun modo il sospetto che la religione cattolica apparisca come messa sotto tutela e, peggio ancora, come strumento politico al servizio delle nazioni europee”. La storia spiega perché.

Dunque si potrebbe derubricare il contrasto a un fatto da compagna elettorale. Pompeo alza i toni con il Vaticano perché ha bisogno dei voti cattolici moderati o conservatori, influenzabili con il fattore religioso nell’adesione culturale e identitaria al forte attrito politico, diplomatico e commerciale (per ora) con Pechino, che si tradurrebbe anche in un consenso elettorale e che la posizione vaticana potrebbe invece ridurre. Questo ci potrebbe stare, anche perché la questione al Vaticano interesse in chiave cinese, per il peso che attribuisce a ciò che qui si è brevemente e sommariamente esposto. E visti i toni che la campagna elettorale americana ha assunto si potrebbe vedere come inserito in un contesto che lo chiarisce. Ma se si tiene presente il contesto globale, i venti di guerra possibili o immaginabili, la comprensione potrebbe diminuire. Ma non è tutto qui.

Durante la sua visita romana, davanti al segretario di stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, Mike Pompeo ha detto: “Gli Stati Uniti fanno la loro parte nel parlare in nome delle vittime della repressione religiosa; possiamo fare di più, ma lavoriamo duramente per gettare una luce sugli abusi, punire chi è responsabile e possiamo incoraggiare altri ad unirsi a noi. Ma per quanto le nazioni possano fare, alla fine i nostri sforzi sono limitati dalla realtà della politica mondiale. Gli Stati possono a volte fare compromessi per far avanzare buoni fini, i leader vanno e vengono e le priorità cambiano”. “Ma la chiesa è in una posizione differente”, ha proseguito Pompeo, affermando che questo tipo di considerazioni “non devono compromettere standard di principio basate su verità eterne. E la storia ha dimostrato che i cattolici hanno affermato i loro principi in azioni gloriose“, in favore della dignità umana. Se ricolleghiamo questo al senso dell’intervento di Pompeo su First Things il discorso cambia. Vuoi vedere che la questione non è la Cina ma l’Occidente?

Il segretario di stato americano ha scritto, come ribadito più volte, su First Things. Nessuno potrebbe dubitare che volendo lo avrebbe potuto fare inviando il suo intervento a riviste più prestigiose. Basterebbe citare Foreign Affairs, per fare un esempio. Oggi a differenza dei tempi di Bush figlio quella che ha scelto non è più una rivista prestigiosa, è soprattutto una rivista anti Bergoglio, nostalgica proprio dell’ordine indicato da Pompeo. È nostalgica cioè della Chiesa che non aveva conosciuto il Concilio Vaticano II, i semi di verità contenuti nelle altre religioni. È nostalgica in definitiva di un cristianesimo che crede che fuori di sé esistano solo false credenze. Non c’è dialogo, non c’è un progetto divino che ci ha voluto diversi. Dunque cosa c’è? Stando all’America, una Chiesa patriottica americana, per usare un’espressione volutamente polemica perché ricorda quella Chiesa patriottica cinese, cioè fedele al figlio del cielo e non a Pietro. Certo, Pompeo non pensa di nominare lui i vescovi. Ma una “Chiesa patriottica americana” è possibile anche “culturalmente”.

Per capire che rischio si prospetterebbe, e spiegandolo in termini meno provocatori ma proprio per questo più preoccupanti, non si può che citare la teoria ortodossa di “sinfonia dei poteri”. Il problema di alcuni ambienti del mondo ortodosso è proprio il rapporto tra potere politico nazionale e Chiesa. Perché siamo più noi a parlare dei martiri cristiani nella Russia sovietica di tantissimi di loro? Per l’interpretazione nazionalista di cosa sia la “sinfonia dei poteri”. Il rapporto del patriarcato di Mosca (e di tutte le Russie anche quando l’Ucraina ha scelto un’altra strada!) con il Cremlino dello zar Putin spiega purtroppo cosa intenda. È quello che noi chiamiamo cesaropapismo, cioè la sottomissione del potere spirituale a quello politico, o di Dio a Cesare. Nell’universo di “America first” una visione del genere non solo ci può stare, ma può sembrare ovvia. Questa visione, sebbene molto pragmatica, ha bisogno di un assoluto.

Se la questione parta dalla visione o dall’urgenza elettorale non si può dire. Ma questa visione se ci fosse sarebbe più problematica di un dissidio, magari più autentico di quanto qui immaginato, sulla Cina. Difficilmente si potrà negare che un problema con l’attuale Cina esista, ma difficilmente si potrà negare che esista con tanti altri soggetti, a partire dall’India a tanti altri soggetti con i quali non viene minimamente posto. Dunque più che la libertà religiosa, problema indiscutibile per il mondo d’oggi, la sensazione è che in ballo ci sia la prospettiva di un rapporto nuovo tra chiesa e nazione.

 

Foto: Alberto Pizzoli: AFP

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