Quo vadis M5S?

Radiografia di un Movimento squassato da scontri, correnti e spifferi

Come si può descrivere lo scontro in atto dentro i 5Stelle, ormai da settimane, uno scontro che – al netto della polemica scoppiata sui presunti finanziamenti illeciti del regime di Maduro ai 5Stelle – è solo appena iniziato e che si concluderà solo quando si terranno gli Stati Generali del Movimento, previsti per settembre/ottobre a Torino?

Grillo contro Dibba contro Conte contro Di Maio… Il primo scontro è quello tra troppi galli nel giallo pollaio

Innanzitutto, ovviamente, come uno scontro di personalità. Troppi galli nello stesso pollaio e tutti dalla voce stridula. Dibba contro Di Maio e, soprattutto, contro Conte. Grillo contro Dibba e, soprattutto, in difesa di Conte. Di Maio che cerca, come sempre di barcamenarsi: né troppo con Grillo (i rapporti tra Di Maio e Conte sono, più che freddi, gelidi) né troppo contro Dibba (“ci vogliamo bene”, il concetto).

E così, l’estroso ed estroverso Grillo si scaglia contro il carismatico e sconclusionato Di Battista, ma in realtà mette nel mirino il calcolatore e freddo, un vero cinico, Di Maio, ma finisce per travolgere anche il Richelieu (o Mazarino) del Movimento, Davide Casaleggio, che vorrebbe usare Dibba come Mylady coi Tre Moschettieri per uccidere il re.

Poi, subito dopo, ci sono le sindache di Roma e di Torino, Raggi e Appendino, che puntano a ottenere un secondo mandato che, rebus sic stantibus, le regole interne del Movimento vietano loro e che soprattutto Casaleggio jr non vuole concedere sia perché – ricorda – “come diceva papà, “derogare a una regola vuol dire far saltare la regola stessa” sia perché, mantenendo in piedi la tagliola del divieto del secondo mandato, punta a un ricambio generazionale, dentro i gruppi parlamentari, che favorirebbe il suo pupillo, Di Battista, a scapito del partito dei ‘ministeriali’ (Di Maio, Bonafede, Patuanelli, D’Incà, ma anche Fico e molti altri) che di mandati ne ha già fatti due e non potrebbe ritentare la sorte di una rielezione, per quanto lontana possa ora essere.

Infine, per scala gerarchica, ci sono personaggi ‘storici’ del M5s come Roberta Lombardi, la grande sostenitrice dell’alleanza con il Pd, e la ‘romanaccia’ Paola Taverna, in predicato di entrare nel nuovo Direttorio in ruoli di testa, che vogliono giocarsi la partita del Movimento del futuro e che, sempre in base alla regola del divieto di cumulo di due mandati consecutivi, dovrebbero soltanto ‘andare a casa’.

Per non dire di Roberto Fico, leader dell’ala movimentista e, insieme, originaria e identitaria del M5s prima maniera, che andrebbe a casa pure lui e che, invece, crede – come la Lombardi, più della Taverna, di certo molto più di Di Maio – nell’asse organico e stabile col Pd e con il centrosinistra.

Infine, ovviamente, c’è Conte, che deve guardarsi da Fico (che potrebbe sacrificarlo per far diventare premier un dem) ma soprattutto da Di Maio, che vorrebbe e/o potrebbe fargli uno ‘scherzetto’ facendolo cadere, accordandosi, a seconda delle convenienze e delle necessità, o con il centrosinistra (via Franceschini) o con il centrodestra (via Zaia-Giorgetti). E, forse, Conte, deve guardarsi anche dall’abbraccio stretto, e soffocante, di Grillo, che potrebbero finire per stritolarlo, ma che di certo deve guardarsi dalla coppia Casaleggio jr-Di Battista che vogliono, manifestamente, disarcionarlo.

Infine, il povero Crimi – ripescato dal nulla cosmico in cui era finito (“gerarca minore” lo definì quel genio di Massimo Bordin), costretto a fare il vaso di coccio tra vasi di ferro per finire suonato da tutti come l’asino di Buridano.

 

Il vero scontro dentro i 5Stelle è tra Grillo e Casaleggio. Un po’ come se Gramsci si fosse ‘scisso’ da Togliatti…

Ma non è solo uno scontro di personalità e di personaggi, si capisce, anche se è questo, per sommi capi, lo stato dell’arte delle contrapposizioni tra i ‘capi e capetti’ che si agitano, ogni giorno, all’ombra del Padre Fondatore, Beppe Grillo. L’Elevato, come ama definirsi, ritornato in campo dopo anni in cui si era rassegnato a vestire i panni di Cincinnato.

Un ex comico, Grillo, che ha fondato un partito su una rabbia, quella contro la Casta, ma poi se n’è presto stufato e ha messo le chiavi della macchina uscita fiammante dalla carrozzeria nelle mani di una piattaforma digital-infernale, Rousseau, che ha ancora oggi potere di vita e di morte, sulle decisioni del Movimento. Ogni decisione cruciale per Rousseau deve passare se vuole essere valida, ma le cui chiavi sempre e ancora lì stanno, nel cuore della sede della Casaleggio&Associati di Milano, dove Davide Casaleggio jr, un ‘tecnico’ del web, vorrebbe mandare a gambe levate il governo Conte e, con lui, Di Maio e la linea ‘governativa’ e ‘moderata’ dei 5Stelle per un “ritorno alle origini” che, per il figlio di Gianroberto, solo un ‘descamisado’ come Di Battista può interpretare, in chiave radical-sovranista che ricorda abbastanza da vicino i sogni palingenetici del padre.

Solo che il suo alter ego, o meglio l’alter ego di suo padre, Grillo, è diventato più contiano di Conte e non vuole altro che preservare il governo dagli avversari (e, in realtà, anche da se stesso), rinsaldare l’alleanza ‘strategica’ col Pd e, addirittura, coltivare il sogno – futuribile? Un incubo? – di un ‘partito unico’ dei progressisti, dei verdi e degli stellati che, in nome di ‘Disordine&Progresso’, sommi e confonda Pd, M5s, LeU, partito di Conte e tutto quello che avanza, a destra, centro e sinistra, pur di contrastare i ‘sovranisti’.

“In fondo, è come se, dopo un po’ di gloriosi, ferrei e duri anni di vita e di costruzione del Partito comunista italiano, Palmiro Togliatti avesse litigato con Antonio Gramsci… Che fine avrebbe fatto il Partito comunista d’Italia, come si chiamava allora? Si sarebbe spaccato in due e, in piedi, non sarebbero rimaste che macerie…” ghigna il big democrat, dalle lontane e nobili origini ‘comuniste’, nel descrivere la spaccatura verticale in atto dentro il Movimento 5Stelle.

Immaginare Beppe Grillo nel ‘Togliatti’ – il politico tattico e pronto, con spregiudicatezza, a passare da un lato all’altro della barricata – della situazione contro Davide Casaleggio jr – il ‘Gramsci’ del momento, cioè l’ideologo del partito che vuole, costi quel che costi, tenere fermi i suoi principi ideali – comporta tanta fatica e diversi voli storico-pindarici, ma un Movimento che è nato come ‘non partito’ e forte di un ‘non Statuto’ difficilmente ha metri di paragone ‘facili’.

 

La spaccatura è arrivata dentro le truppe. Le correnti dei 5Stelle ricordano, per assurdo, quelle della Dc…

Ma non si può solo dire dei protagonisti principali, dentro l’M5S, perché se è vero che lo scontro tra Grillo e Dibba ha occupato le prime pagine di tutti i giornali, lo scontro interno che sta spaccando, in modo verticale, il Movimento si è trasferito, come tante scosse telluriche concentriche, giù giù pe’ li rami, provocando micro-scissioni e liti a catena.

E così, come quando Forlani e De Mita si facevano la guerra in congressi diccì d’altri tempi, tra urla di ascari prezzolati (ai tempi ci pensava Mastella: erano le ‘truppe mastellate’) e fischi di peones imbufaliti (erano le ‘truppe gavianee’), anche nei 5Stelle la spaccatura è una veronica di cui non si vede la fine e a stento si riesce a venire a capo. Infatti, per restare al paragone con la Dc degli anni del declino e della decomposizione, le correnti si intersecano, si sovrappongono, si confondono, costringendo persino i migliori retroscenisti politici a rompercisi la testa sopra.

Il Movimento è diventato, ormai, una pentola a pressione che, ogni giorno sul punto di scoppiare in via definitiva, rigurgita di correnti, sfumature e aree tanto numerose quanto arzigogolate come le correnti di quella Dc di cui persino il mai troppo compianto Giampaolo Pansa aveva perso il conto, tra morotei, dorotei, basisti, Forze nuove, etc. Per dire, il grosso delle truppe parlamentari sta con Di Maio e, quindi, non vuole approvare il Mes, al grido di ‘vade retro Satana’ – un grido che, in tempi di governo giallorosso, ricorda il ‘no e poi no’ alla Tav quando i tempi erano del governo gialloverde – e, quindi, è contro Conte. Ma lo è senza osare schierarsi contro il premier: si limitano, i dimaiani, a una fredda, sorda, ostilità quotidiana che si nota e si tocca in modo plastico. A vederli e osservarli dai giardini del Transatlantico di Montecitorio, i ‘dimaiani’ sembrano non una forza di maggioranza, ma quasi una forma di – indifferente, apatica – opposizione a un governo che, in teoria, sostengono lealmente, ma in realtà aborrono. Una sorta di ‘super-gruppo Misto’, i dimaiani, che si barcamena tra spinte centripete e centrifughe: le fughe, le espulsioni e le dimissioni dai ranghi pentastellati, ormai, sono così tante che neppure il sito Openpolis, che controlla e monitora l’attività parlamentare, riesce più ad aggiornarle.

Poi ci sono i – pochi – ‘contiani’ che si annoverano nel Movimento, costretti a comportarsi come tanti ‘nicodemi’: fingono di odiare il loro Salvatore in aula per poi benedirlo in privato, nella speranza che, prima o poi, i sondaggi diventino voti e che, dunque, un ‘partito di Conte’ o, meglio ancora per loro, un M5s ‘guidato’ da Conte li porti sulla tolda di comando. Ma oltre ai ‘dimaiani’, che sono il grosso delle truppe di manovra che reggono il governo, in Parlamento come nel partito, ci sono anche i ‘dibattistiani’, cioè le scarse e scalcagnate truppe del ‘Dibba’, per lo più ex membri del governo rottamati da Di Maio, già con quasi tutti e due i piedi fuori dal Movimento, creduloni da ‘scie chimiche’, raggi gamma, no Vax, no Covid, no ‘raggi’ 5G. Infine, ecco rispuntare anche i ‘fichiani’: come il loro capo, il presidente della Camera Roberto Fico, sono movimentisti e insieme istituzionali. Restano acquattati, i fichiani, in attesa che passi la nottata. Pronti alla zampata, però, ove mai si dovesse rompere il ‘patto di ferro’ col centrosinistra e, in particolare, con il Pd di Zingaretti, l’alleanza strategica cui l’ala sinistra del Movimento da sempre mira e coltiva.

 

Come sarà il prossimo futuro del Movimento 5Stelle? Dipende da durata del governo e regole del Movimento

Ma cosa succederà, d’ora in poi? Troppo difficile dirlo. La prima, vera, domanda, è quanto durerà il governo Conte bis. Se avrà bisogno, per superare lo scoglio del voto sul Mes, che si terrà una prima volta a luglio e un’altra a settembre, dei voti ‘sostituitivi’ e non banalmente ‘aggiuntivi’ di FI e, in quel caso, se Berlusconi e gli azzurri chiederanno una adeguata, giusta, compensazione negli equilibri di governo, portando inevitabilmente alla nascita di un governo Conte ter che potrebbe essere definito governo ‘giallorosazzurro’. La seconda domanda è se, agli Stati generali o anche prima, il Movimento rinuncerà a due asset fino ad oggi intangibili, due vere e proprie ‘tavole della Legge’. La prima è quella del mantenimento, o meno, del divieto di elezione ove si sia effettuato un doppio mandato, nella carriera politica di ogni aspirante eletto, ministro, capo o semplice peones che sia. La seconda è quella che ‘lega’, via Statuto, modificato nel 2015 rispetto a quello originario voluto da Grillo nel 2012, ogni decisione del Movimento al voto on-line su Rousseau. Se la piattaforma Rousseau, cuore della democrazia digitale del Movimento, dovesse diventare un semplice ‘service’ esterno cui appaltare funzioni e decisioni, e il Movimento trasformarsi in un vero e proprio partito, l’area Di Maio – e, in controluce, di Grillo – taglierebbe le unghie per sempre allo strapotere che, ancora oggi, la Casaleggio esercita su ogni decisione del Movimento. A seguire e a cascata, ovviamente, se il Movimento dovesse trasformare se stesso, operando una vera e propria mutazione genetica, in ‘partito’ con organi democratici ed elettivi, dal basso verso l’alto, aprendo la ‘cassaforte’ attuale le cui chiavi sono nelle mani di sole tre persone (Grillo, Casaleggio e Di Maio), è chiaro che il ‘partito’ prenderebbe il sopravvento. Nascerebbero forme, più o meno democratiche, di controllo degli eletti da parte di organismi elettivi. Che poi, questi nuovi organismi, si chiamino ‘Direttorio’, ‘Politburo’, ‘comitato dei reggenti’ o con altri nomi funambolici, poco importa. La sostanza è che il Movimento diventerebbe un ‘partito’ come gli altri e, a quel punto, oltre a doversi dotare di un vero ‘Statuto’, potrebbe anche, paradossalmente, accedere al tanto aborrito finanziamento pubblico (il 2xmille), abolire l’infernale meccanismo delle ‘restituzioni’ di parte degli stipendi che i parlamentari sempre più malvolentieri danno a Casaleggio e, infine, ‘disarmare’ la piattaforma Rousseau per renderla un innocuo strumento consultivo sulle decisioni da prendere ma lasciando intatto il primato della Politica nel discutere, e decidere, quali decisioni prendere in organi ‘democratici’.

Infine, ovviamente, ma sullo sfondo, c’è il tema politico. Diventerà, il Movimento, un alleato ‘strategico’ del Pd e, partito di Conte o meno che nasca, un pezzo di una coalizione di centrosinistra del futuro, una ‘sinistra-centro’, magari, che si contrappone in tutto e per tutto alla destra, ritornando alla cara, sana, contrapposizione ‘bobbiana’, quella di Destra contro Sinistra, della Seconda Repubblica? Oppure cercherà, come vorrebbe Di Maio, una posizione ‘terzista’, stile Dc della Prima Repubblica, che sceglie con chi governare – il Psi e i laici un giorno, il Pci un altro – a seconda dei momenti storici e delle convenienze politiche? O, ancora, come vorrebbe ‘Dibba’ (e, dietro, Casaleggio), il Movimento diventerà un pezzo di una nuova destra rebelde e populista, facile preda e alleato minore dei sovranisti? Solo il prossimo futuro saprà dare risposte a tali domande, ma certo è che, oggi, cercare di capire le posizioni, dentro un Movimento che cerca, faticosamente, di farsi partito, è difficile quanto provare a comprendere la politica dell’Urss pre-guerra fredda. Quell’Urss che Winston Churchill aveva non a caso definito “un mistero avvolto dentro un enigma”.

 

Foto: Andreas Solaro / AFP

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