È in libreria il volume di Mattia Baglieri Amartya Sen. Welfare, educazione, capacità per il pensiero politico contemporaneo. Carocci, 2019, pp. 236. Anticipiamo qui un estratto del libro.
Uno dei più raffinati maestri del pensiero contemporaneo, l’economista Premio Nobel Amartya Sen ha dedicato la sua attenzione, sin dalle prime opere, a ricostruire i capisaldi della disciplina economica intesa come “scienza dello statista e del legislatore”. Si tratta di un orizzonte etico prima ancora che politico che affonda le sue radici nei capolavori del padre dell’economia moderna Adam Smith, ovverosia Teoria dei sentimenti morali e La ricchezza delle nazioni. È in una prospettiva teorica che si richiama ai classici del pensiero politico antico e moderno – da Aristotele a John Stuart Mill, da Karl Marx a John Rawls, da Samuel Huntington a Martha Nussbaum, passando per gli indiani Ashoka, Gandhi e Tagore – a prender vita la critica di Sen nei confronti dell’attuale concetto di PIL, considerato quale unico indicatore della ricchezza economica. Scopriremo, invece, che per Sen la ricchezza è data principalmente dall’umanesimo dei valori e dall’impegno dei governi per promuovere benessere e capacità individuali, in un dialogo appassionato che può unire, anziché dividere, le tradizioni culturali del mondo di oggi.
La vita di Amartya Sen
Amartya Sen è nato il 6 novembre 1933 a Santiniketan, città indiana dello Stato del Bengala occidentale, da genitori originari di Dacca, odierna capitale del Bangladesh. Ricevuta la formazione primaria nella stessa Santiniketan, presso la Scuola di Visva Bharati, fondata da Tagore, Sen poté in seguito immatricolarsi al Presidency College di Calcutta. Trasferitosi in Gran Bretagna negli anni Cinquanta, Sen si laureò (1955) e si addottorò (1959) al Trinity College di Cambridge. Amartya Sen è correntemente titolare della cattedra di Economia e filosofia dell’Universtà di Harvard, dedicata alla memoria dell’economista Thomas W. Lamont, dopo avere insegnato nei maggiori atenei dei paesi anglosassoni ed in India. Dal 1998 al 2004 è stato Rettore del Trinity College dell’Università di Cambridge, mentre dal 2012 al 2015 ha retto l’Università indiana di Nalanda.
Il Premio Nobel
Nel 1998 la Royal Academy of Sciences di Stoccolma ha insignito Amartya Sen del Premio della Sveriges Riksbank in Scienze Economiche in memoria di Alfred Nobel per i suoi «fondamentali contributi all’economia del welfare ed alla teoria della scelta sociale, nonché per il suo interesse ai problemi dei membri più poveri della società», come recita il comunicato ufficiale. Nel corso della cerimonia per il conferimento del Premio Nobel in economia ad Amartya Sen, il 10 dicembre 1998, l’economista Robert Erickson, membro della Royal Academy of Sciences svedese, ha posto in particolare evidenza la risonanza del contributo dell’economista indiano sulla comparazione dei sistemi sociali e sulla distribuzione delle risorse economiche all’insegna di un più pieno sviluppo teorico della Teoria della Scelta Sociale introdotta da Kenneth Arrow in ambito macroeconomico a partire dall’inizio degli anni Cinquanta, introducendo il concetto di “distribuzione” nell’analisi economica. Sen si è inoltre interessato agli assunti riguardo alle preferenze individuali – e alla possibilità di compararle – sulla base dei principi stabiliti nel campo della filosofia morale. In questo senso, gli studi di Sen si sono rivelati imprescindibili. Sulla base dei suoi studi nel campo della Teoria della Scelta Sociale, inoltre, Sen ha teorizzato gli indicatori sinora maggiormente utilizzati dalle istituzioni internazionali al fine di misurare il benessere, la povertà e la diseguaglianza, primo tra tutti lo Human Development Index, introdotto dalle Nazioni Unite nel 1990 e teorizzato da Amartya Sen congiuntamente all’economista pakistano Mahbub Ul-Haq.
Le capacità
Le opere scritte da Sen negli anni Ottanta, a partire da Equality of What (Harvard University Press, 1980) destarono un dibattito intellettuale sorprendentemente ricco: in questi contributi, in particolare, l’economista indiano delineava per la prima volta i caratteri di una teoria macroeconomica che si proponesse di criticare la corrente principale dell’economia neoclassica fondata sui criteri della ricchezza e dell’utilità al fine di offrire una prospettiva più informata riguardo al benessere ed allo sviluppo degli uomini e delle società di cui essi sono parte. Certamente Sen si dichiara consapevole del fatto che i criteri fondati sul concetto di «utilità» economica – come la quantità di risorse economiche detenute – possano offrirsi quali validi indicatori riguardo ai vantaggi individuali in determinate circostanze, tuttavia Sen sostiene che gli approcci economici neoclassici falliscano tanto nel tentativo di fornire una piattaforma teorico-concettuale finalizzata alla comparazione del benessere degli individui e delle società, quanto altresì nel comprendere i motivi per cui gli agenti economici mutino i propri gusti e le scelte che ne corrispondono nel corso degli anni della propria vita, quanto, infine, con riguardo al giudizio riguardante «la presenza della giustizia negli accordi sociali» . Nella fattispecie, prendendo le mosse dal noto saggio del 1958 del filosofo britannico Isaiah Berlin riguardo ai Due concetti di libertà, Sen si propose di mettere in evidenza piuttosto gli aspetti «positivi» della libertà politica (ciò che l’individuo è libero di essere) a fronte di quelli «negativi» (vale a dire l’assenza di interferenze istituzionali e statuali nelle relazioni interindividuali). Ne scaturiva la proposta di un approccio denominato «approccio delle capacità», di precisa marca liberale-individualista, attento alle conseguenze dei processi politici e decisionali: la superiorità dei sistemi politici liberaldemocratici, a dire di Sen, dipende, infatti, dalla capacità delle autorità istituzionali di porre in essere condizioni che assegnino ad ogni individuo la possibilità di sviluppare al massimo grado le possibilità che gli siano assegnate, all’insegna della domanda: “in quale misura ad ogni individuo è consentito di condurre una vita ritenuta ragionevolmente di valore?”.
Sen e Huntington
All’indomani dell’occupazione statunitense dell’Afghanistan (2001) e, più ancora, della Seconda Guerra del Golfo (2003), Amartya Sen si è impegnato largamente nel tentativo di contrastare la teoria dello «scontro delle civiltà» elaborata da Samuel P. Huntington a partire dalla seconda metà degli anni Novanta a partire dal libro di Huntington The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order (1996). A dire di Sen, in particolare, la visione di Huntington fondata su una sorta di cristallizzazione evolutiva delle tradizioni culturali non occidentali si rivelerebbe eccessivamente incentrata sulle evoluzioni politiche ed istituzionali del solo Occidente, trascurando il portato delle culture non occidentali allo sviluppo della democrazia e del suo lessico politico, originato – in massima parte – da contaminazioni reciproche tra le diverse tradizioni culturali. Nella visione seniana, pertanto, «Huntington si rivela essere stato un grande semplificatore dei processi storici», come l’accademico indiano ha sostenuto in un’intervista al giornale italiano Corriere della sera all’indomani della scomparsa dello scienziato politico di Harvard nel dicembre 2008.
Il “lato Tagore” della storia indiana
Come Sen si è dedicato a mettere in luce nella sua raccolta di scritti del 2005 L’altra India. La tradizione razionalista e scettica alle radici della cultura indiana, dedicata all’analisi della storia e della filosofia politica del subcontinente asiatico, nonostante l’attenzione incomparabilmente superiore che la figura e l’opera di Gandhi ricevettero all’estero, a causa dei mutamenti politici che lo statista indiano fu in grado di imprimere al corso della storia del subcontinente inaugurando la stagione dell’indipendenza dal dominio coloniale britannico, ad una storiografia avvertita sulle vicende storiche contemporanee dell’India si porrebbe altresì il compito di dedicarsi alla riscoperta di quello che Sen denomina eloquentemente il «lato Tagore» della storia e della filosofia dell’India contemporanea. In particolare, al fine di comprendere come Tagore si impose quale guida morale per la politica del subcontinente nel suo insieme e di riconoscere l’«importante ruolo svolto da Tagore nella lotta nazionale». Sen intende, allora, affidarci un ritratto a tutto tondo di Tagore, parlando di uno scrittore profondamente originale, dalla prosa elegante e dalla magica poesia. Un Tagore, quindi, non solo poeta, ma anche autore di racconti, romanzi, opere teatrali e saggi, compositore di canzoni e pittore dallo straordinario talento. I cui saggi si sono occupati in maniera assai eclettica di letteratura, politica, società, fede religiosa, analisi filosofica e relazioni internazionali.
Mattia Baglieri è Dottore di ricerca al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna. Già Visiting Scholar all’Università Columbia e all’UNESCO, si occupa di divulgazione per l’INVALSI, dopo aver lavorato per AlmaLaurea, Fondazione Agnelli e Treccani. Suoi contributi sono apparsi su «Political Studies Review» e sul «Journal of Human Development and Capabilities». Coordinatore editoriale della rivista di valutazione «Valu.Enews», ha fatto parte della redazione di «Riforma della scuola» e «Reset».
Amartya Sen, Welfare, educazione, capacità è disponibile in libreria e su amazon.it
Per Reset e Reset DOC Mattia Baglieri ha recensito anche il libro di Sen The Country of First Boys (Sen 2015, Oxford University Press).
Su ResetDOC si può leggere altresì la recensione di Valentina Martina al libro di Sen The Idea of Justice (Sen 2009, Harvard University Press).
Titolo: Amartya Sen. Welfare, educazione, capacità per il pensiero contemporaneo
Autore: Mattia Baglieri
Editore: Carocci Editore
Pagine: 236
Prezzo: 22 €
Anno di pubblicazione: 2019