Nessuna vera sorpresa dalle elezioni catalane del 21 Ottobre. Volute e imposte (insieme all’articolo 155 della Costituzione approvato dalla destra e dai socialisti) dallo Stato centrale, hanno nuovamente confermato:
1. Che i due schieramenti (quello centralista-monarchico e quello indipendentista-repubblicano) rappresentano due Catalogne sostanzialmente alla pari sul piano del consenso sociale ed elettorale.
2. Che il braccio di forza voluto dal governo Rajoy con l’appoggio di Ciudadanos (forza emergente della destra) e quello meno entusiasta del partito socialista (il Psoe) non ha intaccato l’opzione separatista.
Eppure le novità politiche sono corpose e sollecitano scelte difficili e impegnative per tutti. A Barcellona, come a Madrid è giunta “l’ora della realtà”, della presa d’atto che lo scontro tra catalani potrebbe degenerare in un drammatico conflitto interno, poiché le emozioni degli uni e degli altri escono dalle ultime elezioni ancor più esasperate di prima. La società catalana non è solo frantumata (unionisti e separatisti si scontrano all’interno delle stesse famiglie e le stesse classi sociali) ma anche pericolosamente spaccata tra due blocchi. Chi è stato in Catalogna in questi giorni ha percepito come queste dinamiche emozionali impediscano al momento di passare dagli insulti e i sospetti al compromesso e alla ricerca dell’intesa. In Catalogna si respira ancora un’atmosfera pubblica che ha molto del surreale e che rende davvero difficile la comprensione di ciò che sta avvenendo. E si ha l’impressione che qualcosa (già: ma cosa?) deve succedere per uscire da questo inquietante e minaccioso scenario. Ecco dunque alcuni aspetti della situazione:
Due nazionalismi l’uno di fronte all’altro. La storia aiuta a capire: da secoli la Catalogna esprime un’identità culturale (per fortuna né razziale, né religiosa) particolare. Lo scontro con Madrid e la proclamazione della Repubblica è già avvenuto in passato (nel Seicento, nel Settecento e nel Novecento) con guerre e tante vittime. Lo scontro attuale ha riaperto le ferite della terribile guerra civile (1936 – 39) che trasformò le tradizionali posizioni separatiste e repubblicane dei catalani in antifranchismo non solo dei ceti popolari e operai ma anche di strati significativi di ceto medio. Da questo lungo processo provengono Carles Puigdemont e Oriol Junqueras, gli attuali leader dei due principali partiti separatisti (il secondo un cattolico praticante che in prigione ha lamentato di non poter seguire una messa ogni giorno). Partiti di sinistra? No, entrambi sponsorizzano ricette economiche di tipo liberista, non certo socialdemocratiche. L’unica forza dello schieramento separatista che si dichiara apertamente di sinistra “anticapitalista” è la Cup (Candidatura di unità popolare) ed ha visto un netto ridimensionamento passando da 10 a 4 deputati. Ma resta il fatto che uno dei collanti dello schieramento separatista è un forte sentimento
antifranchista. Siamo dunque di fronte ad un fenomeno nuovo, spiegabile soltanto nel quadro originale della storia spagnola antica e recente (guerra civile. dittatura franchista, transizione democratica).
Una destra in pieno fermento. Una domanda domina in questi giorni il dibattito politico spagnolo: cosa farà il partito popolare (Pp), da ormai molti mesi al governo con l’appoggio esterno di Ciudadanos (C’s) e del partito socialista (Psoe)? Mariano Rajoy, primo ministro e navigato politico conservatore, è il vero sconfitto del 21 Ottobre. Ora deve confrontarsi con la decisione (per il momento affidata alla magistratura) di impedire alle figure più rappresentative del fronte indipendentista (in carcere o auto esiliati a Bruxelles) il libero esercizio del loro ruolo di governo riconfermato dalle ultime elezioni. Oppure prendere atto della disfatta politica ed elettorale e dimettersi chiamando la Spagna alle urne riconoscendo di fatto la vittoria politica dei separatisti catalani. Ma per Rajoy e il suo partito le preoccupazioni non finiscono qui. Ora deve confrontarsi con la nuova realtà della destra ovvero con il crollo elettorale del Pp e relativo successo di Ciudadanos in Catalogna (primo partito come numero di voti e seggi) e della sua giovane leader, Inés Arrimadas. La lotta per l’egemonia è aperta e rischia di travolgere, insieme alla corruzione dilagante, il governo attuale e il partito popolare. Già s’intravede l’ipotesi di una saldatura tra un settore del Pp (legato ad Aznar, sempre più critico verso Rajoy) e Ciudadanos, partito guidato da una generazione giovane e senza legami con il passato franchista. In questo quadro non va sottovalutato il tono pacato del Re nel suo discorso alla nazione di Natale, ben diverso da quello duro e autoritario dei suoi precedenti interventi. Non si può escludere in questo contesto che nello stesso Pp prevalga la politica della ricerca del compromesso con il separatismo catalano.
Una sinistra incerta sul che fare. In Catalogna il Psc (Partito socialista catalano) e i Comunes (versione catalana di Podemos) rappresentano l’alternativa di sinistra classica. Anche se divisi su questioni strategiche, insieme potrebbero farsi promotori di un negoziato tra nazionalisti catalani e castigliani. Una sorte di terza via tra i due blocchi per il momento dominanti, darebbe senso al loro ruolo in Catalogna. Sarebbe una svolta nell’atteggiamento delle due forze di sinistra, da ormai diversi anni incapaci di darsi una convincente strategia unitaria nella sempre più logorata geografia politica spagnola. La questione catalana è in ogni caso destinata a pesare e come sul futuro della sinistra spagnola nel suo complesso. I socialisti catalani, con il loro leader Miquel Iceta, hanno in ogni caso cercato di svolgere, nella campagna elettorale, un ruolo positivo di mediazione tra i due blocchi catalani. Hanno proposto negoziato e dialogo per uscire dalla drammatica impasse della crisi. Ma si ha l’impressione che si siano mossi tardi e senza adeguata convinzione per via dei nodi non sciolti dal Psoe a livello dello Stato spagnolo (il sostegno ambiguo al governo Rajoy). Negare l’appoggio al Pp, che alcuni, anche all’interno della destra, ormai considerano una forza politica che ha fatto il suo tempo, sarebbe il modo per restituire ai socialisti un ruolo attivo nel dibattito politico spagnolo. Se non è stato facile sostenere il 155 e relativa dinamica repressiva prima delle elezioni catalane ora l’alleanza con il Pp rischia di travolgere il recente tentativo di Sanchez, il segretario del Psoe, di recuperare il pieno sostegno della base socialista, divisa e lacerata dall’appoggio del partito al governo conservatore. Ma, ecco la domanda, saranno i socialisti disponibili, come chiesto da più parti, a battersi per un cambio della Costituzione nella prospettiva di uno Stato federale? Le tendenze contrarie al federalismo sono diffuse nei vertici e nella base socialista e rendono difficile e sofferto ogni tentativo di compromesso con l’indipendentismo catalano. Il punto è che la crisi catalana ha prodotto incertezza e divisioni profonde non solo in Catalogna, ma anche nel complesso della società spagnola.