Da Reset Dialogues on Civilizations
La Germania non è immune dal fenomeno del radicalismo religioso. Negli ultimi sei anni sono circa mille i foreign fighters che hanno abbandonato il Paese della Merkel per la Siria e l’Iraq dove si sono uniti alle fila dell’Isis e di altri gruppi terroristici. Un fatto, questo, che interessa anche diversi altri Paesi dell’Europa occidentale, dalla Francia al Belgio, dall’Olanda alla Gran Bretagna e coinvolge soprattutto quelle società in cui l’integrazione delle seconde e terze generazioni di immigrati presenti elementi di particolare complessità. Il caso tedesco ha però caratteristiche del tutto peculiari e particolari che, sommate alle tendenze diffuse anche altrove, rendono la società germanica un caso unico. Rispetto alle altre azioni europee, infatti, la Germania assiste ad un numero di conversioni all’Islam salafita radicale da parte di cittadini tedeschi senza alcun retroterra migratorio in proporzione molto più alto. Pur essendo un Paese che negli scorsi decenni ha vissuto un’immigrazione massiccia soltanto in ben circoscritte aree geografiche, che escludevano per esempio intere regioni nell’Est, al suo interno si sono radicati gruppi radicali che per lungo tempo non hanno subito alcun particolare contrasto da parte delle autorità. La loro capacità di presenziare sul territorio e di distribuire materiale propagandistico per le strade – cosa proibita per esempio dalla laicità francese – e i delicatissimi rapporti dell’opinione pubblica verso il proprio passato, ha spinto le istituzioni a non voler imporre alcuna forte identità nazionale alle sue nuove generazioni sia tedesche che immigrate. In questo contesto i gruppi radicali hanno avuto molto tempo per fare propaganda pubblicamente in maniera strutturata e organizzata. Alcune iniziative guidate dai gruppi salafiti, battezzate “Lies” (leggi) e “Die wahre Religion” (la vera religione), hanno distribuito decine di migliaia di copie del Corano e di altro materiale attinente. Con lo scoppio delle cosiddette primavere arabe molti militanti di questi gruppi hanno iniziato a partire per la Siria e per l’Iraq per combattere. Le autorità tedesche sono allora intervenute per mettere fuorilegge tali realtà e mettendo sotto processo e arresto alcuni dei loro leader. Ciò nonostante oggi i suoi esponenti, per lo meno quelli rimasti nel Paese, si sono riorganizzati e continuano nella propria attività di propaganda, concentrandosi anche sui profughi.
A seguire attentamente lo sviluppo di queste realtà è Thomas Muecke, membro di Violence Prevention Network un team di esperti che dal 2001 promuove attività di prevenzione dall’estremismo ideologico e religioso. Muecke negli ultimi anni si sta occupando intensamente della prevenzione della diffusione dell’islamismo radicale tra i giovani tedeschi, seguendo i casi particolarmente delicati, promuovendo programmi di deradicalizzazione per coloro che già hanno aderito a determinati gruppi e ultimamente anche della gestione della fuga e del successivo rimpatrio di quei foreign fighters che si convincono ad abbandonare i territori di guerra per tornare in Germania.
Dottor Muecke, quando avete iniziato a riscontare la presenza dell’Islam radicale in Germania?
Negli ultimi sei o sette anni abbiamo iniziato ad assistere alle partenze dalla Germania di molti giovani uomini e donne per le zone di guerra, soprattutto per la Siria, come anche alla presenza sul territorio tedesco di gruppi di estremisti che utilizzano la religione musulmana come strumento di propaganda tra i giovani per raggiungere i propri obiettivi ideologici. Prima di allora non c’erano casi particolarmente rilevanti in tal senso, esistevano già però problematiche legate all’immigrazione e all’integrazione. Una parte di popolazione con retroterra migratorio non si sentiva inclusa nella società e progressivamente si è data un’etichetta secondo cui l’integrazione non avveniva proprio per il fatto di essere musulmani. In questi ultimi anni, però, c’è stato un vero e proprio salto di qualità legato solo in maniera parziale alle problematiche preesistenti. Persone senza alcun retroterra migratorio hanno iniziato a convertirsi abbracciando non una religione ma un estremismo.
In Germania il numero dei convertiti senza retroterra migratorio è in proporzione più alto rispetto agli altri Paesi europei. A cosa è dovuta questa particolarità?
La Germania paga il fatto di non aver mai sviluppato un Islam tedesco. Da tempo esistono infatti diversi tentativi di influenzare dall’estero lo sviluppo dell’Islam in Europa e in Germania. Paesi come L’Arabia Saudita, ma non solo, hanno avuto un grande ruolo nell’esportare la propria concezione della religione. Quello che è mancato in Germania è lo sviluppo di un Islam indipendente da influenze estere. Già da decenni esistono comunità di musulmani che offrono servizi religiosi per i fedeli rimanendo però spesso legate ai governi dei Paesi di origine. È il caso, per esempio, della maggiore organizzazione musulmana in Germania: si tratta del Ditib, l’Unione Turco-islamica per l’Orientamento della Religione, che in base ad un accordo siglato decenni fa tra Berlino e Ankara viene finanziata direttamente dal Ministero per gli Affari Religiosi del governo turco. I loro imam vengono mandati direttamente dalla Turchia e ruotano ogni cinque anni. Questa tendenza è purtroppo diffusa. Gli imam provengono quasi sempre dall’estero, non sono stati formati qui e non sono mai stati parte della società, con la quale non entrano mai veramente in contatto. Ciò ha contribuito a generare una discrepanza interna alle comunità musulmane i cui vertici hanno difficoltà a parlare con i giovani nati e cresciuti qui e che manifestano delle necessità religiose e spirituali. I salafiti hanno saputo cogliere questo scontro generazionale e hanno saputo parlare ai giovani nei loro codici linguistici.
Quali sono i gruppi radicali maggiormente attivi e di successo in Germania?
Il movimento più pericoloso è l’estremismo salafita. Il salafismo sostiene che valgano solo le leggi di Dio e rifiuta tutto ciò che l’Islam abbia prodotto dopo le prime tre generazioni che seguirono il profeta Maometto. La democrazia non rientra nella loro visione del mondo, per questo puntano a rivoluzionare la società partendo dai propri punti programmatici. I salafiti si dividono tra i quelli apertamente violenti che vogliono cambiare la società attraverso la guerra santa e quelli politici. Questi ultimi hanno avuto la maggior crescita negli ultimi anni. In Germania contano su circa 10mila militanti attivi che promuovono la loro visione del mondo tramite un’incessante attività di reclutamento e indottrinamento. Questa scena è responsabile del fatto che circa 1000 giovani uomini e donne siano espatriati per raggiungere gruppi terroristici in zone di guerra.
I salafiti politici sostengono di non avere nulla a che fare con quelli apertamente violenti e con i terroristi. Esiste una netta linea di demarcazione tra loro?
La linea di confine tra il salafismo politico e quello armato è sottilissima. Il leader dei primi, di nome Pierre Vogel, appartiene al salafismo politico ed è un fondamentalista religioso chiaramente estremista. Ognuno è libero di vivere in maniera fondamentalista, quando però si inizia a tentare di mutare la società imponendo i propri principi allora si diventa estremisti. Abbiamo osservato che tantissimi uomini che lo circondano sono passati al salafismo armato mentre lui stesso riconosce che tanti ragazzi che lo frequentavano e ai quali predicava sono partiti per la Siria per combattere. Rispetto alla violenza Vogel sta adottando un comportamento tattico. In occasione di un attentato in Francia si è distanziato da esso perché, dice, quelli dell’Isis non capiscono come ragionano gli europei e che, ragionando per utilità, fare attentati in Europa non porta a nulla. È una valutazione che si basa freddamente su un calcolo utilitaristico.
Quali sono i loro obiettivi? Che società vogliono creare i salafiti in Germania e in Europa?
L’obiettivo finale è quello di creare una società omogenea in cui tutto ciò di diverso da loro venga definito “infedele” e per ciò perda il diritto all’esistenza. Come gli estremisti di destra propongono un’omogeneità su base razziale, i salafiti su base religiosa. Ciò alla fine si tradurrebbe nell’abolizione della democrazia, dei diritti umani e delle diversità.
Qual è secondo Lei la loro strategia in Germania e in Europa per raggiungere questi obiettivi? È possibile che li raggiungano, come dicono loro, senza ricorrere alla violenza?
No. La loro non è una religione ma un’ideologia estremista che utilizza la religione per ottenere i propri obiettivi. In Germania non potrebbero mai affermarla senza che scoppino le violenze. I nostri principi costituzionali, che si fondano sula democrazia e sui diritti umani, sono immutabili e se li si mette in dubbio l’unico modo che si ha per cambiarli è mediante la forza.
Come si finanziano questi gruppi?
Ciò lo sanno i servizi di sicurezza e non penso lo vogliano rendere noto. Ciò che sappiamo è che hanno una grande disponibilità di soldi. Alcuni di loro per lavoro organizzano viaggi di pellegrinaggio alla Mecca, cosa che serve per autofinanziarsi ma anche per reclutare i pellegrini sul territorio. In questi viaggi con un forte coinvolgimento spirituale i pellegrini vengono reclutati rapidamente alla loro causa.
Lei lavora con molte persone che in Germania negli ultimi anni si sono convertite e sono state reclutate dai salafiti. Esistono caratteristiche comuni tra di loro?
No, potenzialmente chiunque può esserlo. Fino ad oggi ho lavorato con 350 persone radicalizzatesi in Germania, alcune delle quali sono partite per i territori di guerra e poi eventualmente tornate indietro. Ogni storia è unica e irripetibile. Tra di loro ci sono immigrati come tedeschi, persone di tutte le estrazioni sociali e salariali e non per forza provenienti da contesti precari. Non c’è uno zoccolo duro di motivi analoghi. Nel complesso, però possiamo dire che si tratti spesso di giovani che vengono reclutati da altre persone che fanno leva sulla loro emotività. Giovani che prima della conversione non hanno nulla a che fare con alcuna religione. Poi vengono avvicinati da queste altre persone dalle quali ascoltano racconti sul vero Islam, pur non conoscendo l’eterogeneità che contraddistingue questa religione, e ne rimangono affascinati. Non entrano nel mondo dei salafiti già radicalizzati, vengono radicalizzati una volta che ne sono dentro. Ogni giovane uomo passa alcune fasi d’età in cui ricerca un orientamento passando anche attraverso vere e proprie crisi. In quel momento intervengono questi gruppi estremisti che danno risposta alle loro domande esistenziali e li fanno sentire parte di un gruppo. Ho lavorato con una famiglia per esempio in cui il padre era un attivista di Pegida (acronimo di Patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente, movimento politico radicato soprattutto nei territori dell’ex Germania dell’Est ndr) e odiava i musulmani. Dopo aver litigato con la figlia quattordicenne per motivi tipici di quell’età lei, per ripicca, si è unita ai salafiti. In un altro caso una ragazzina di 17 anni ha perso il padre che era per lei la persona più importante. A scuola è stata avvicinata da un gruppo salafita che le dice di volerla consolare e la convincono a unirsi al loro gruppo di dialogo. Lei vi partecipa senza nemmeno sapere che questi fossero salafiti e due mesi dopo è espatriata con loro.
I leader salafiti tedeschi ammettono che molti dei ragazzi che hanno reclutato sono partiti per la Siria a combattere. Essi però sostengono che chi parte si stacchi da loro prima della partenza. È vero? Oppure c’è un’organizzazione dietro a cui questi gruppi sono legati?
Tale percorso può essere ricostruito con una certa precisione. Il primo passo con cui i salafiti avvicinano i ragazzi è la distribuzione per strada di copie del Corano. Un giovane uomo in genere non si avvicina spontaneamente a un banchetto che distribuisce questi libri. L’avvicinamento avviene quasi sempre attraverso un amico, magari un compagno di scuola, che gli dice: “Vieni a conoscere i miei fratelli”. Insieme vanno al banchetto di libri dove trovano persone molto gentili che danno un riconoscimento e un calore umano inaspettato. Queste persone non discutono, dicono semplicemente “leggi” (Lies), e invitano chi hanno di fronte a un ulteriore chiacchierata in stanze private. Quello che avviene in questi contesti privati è decisivo. Il giovane vive un incredibile senso di appartenenza, sente una grandissima vicinanza emotiva. Non si parla di chissà quale terribile ideologia ma si vive in una comunità, la ummah. Si cucina insieme e insieme si gioca a calcio. Poi a poco a poco il ragazzo inizia a sentirsi dire che i musulmani in questa società vengono discriminati e oppressi, si mostrano inchieste scientifiche secondo cui chi è islamico ha maggiori difficoltà ad accedere al mercato del lavoro e ad avere una casa. Viene trasmesso il messaggio che i musulmani vengano discriminati ovunque, definendo una identità di vittime collettive, e poi arrivano certe frasi: “Islam e democrazia non sono conciliabili” e poi “in quanto musulmano non ho nulla da cercare in Germania”. Ciò che accade in questa fase è qualcosa di molto profondo: il giovane viene improvvisamente reso estraneo (entfremdet) dalla società in cui è nato e cresciuto. Questa non è più la sua casa, non è la sua patria. Questa è la prima forma di sradicamento.
La seconda fase avviene quando gli viene detto che deve portare questa bellezza, cioè l’Islam, anche a altre persone, a partire dal contesto famigliare. Di colpo il giovane si trova di fronte ai suoi genitori e pretende che si convertano o che abbraccino il vero Islam. Inizialmente i genitori si spaventano e non riconoscono più proprio figlio. Se i genitori, come quasi sempre avviene, non si fanno convincere, entrano anche loro a far parte degli infedeli. Il risultato è che si viene sradicati dai propri genitori. Ciò si estende poi a tutti i contatti sociali che si avevano in precedenza, dalla squadretta di calcio al gruppo di amici. Il giovane ormai si muove solo in questo gruppo di persone con idee affini, è come una setta e non accetta più nulla che sia diverso. Mi sono sentito dire da una persona vicina all’Isis: “Ti bacerei i piedi se tagliassi la testa a mio padre perché non prega regolarmente”. Queste frasi mostrano quanto questo sradicamento sia profondo. Poi, a un certo punto, vengono fatti vedere al ragazzo film terribili che mostrano come i musulmani vengano ammazzati, stuprati, torturati. Si utilizzano i video dei terribili crimini compiuti da Assad per far leva sui valori morali che ogni giovane uomo ha, dicendo che a compierli non sono strettamente gli uomini di Assad ma in generale gli infedeli. A quel punto vengono pronunciate certe frasi: “come puoi tu dormire in un caldo letto qui in Germania quando altrove i tuoi fratelli e le tue sorelle vengono uccisi e stuprati?” Ciò fa effetto. Il giovane sente di dover fare qualcosa. A quel punto, apparentemente in maniera spontanea, decide di intraprendere il viaggio all’estero. Era ciò che i suoi predicatori aspettavano. In quel momento il ragazzo trova tutte le condizioni per partire immediatamente. È tutto organizzato molto bene dal punto di vista logistico e per lungo tempo è stato molto facile raggiungere rapidamente le zone di guerra. Arrivati a questa fase di convinzione è quasi sempre troppo tardi per convincerli a fare un passo indietro.
Come raggiungevano la Siria?
Generalmente attraverso la Turchia, la cui frontiera con la Siria era aperta. Bastava un volo per Istanbul e un autobus o taxi fino alle città di frontiera. Arrivati lungo il confine lo attraversavano camminando finché non venivano raccattati a seconda dagli uomini del fronte al Nusra o dall’Isis che li aspettavano dall’altra parte. Tutto il sistema era organizzato perfettamente, non c’erano mai problemi. Alcuni ragazzi mi hanno raccontato che i trafficanti che li accompagnavano in Turchia dicevano loro: “Se mentre attraversate sentite degli spari non preoccupatevi sono i soldati turchi ma sparano soltanto in aria”. Abbiamo riscontrato anche che alcuni di questi ragazzi che dalla Siria sono poi tornati in Turchia sono stati fermati e interrogati dalle autorità turche che hanno detto loro che era meglio che non tornassero in Germania e che non raccontassero ciò che avevano visto, a testimonianza del fatto che una parte delle istituzioni turche non aveva interesse che questi giovani uomini tornassero in Germania. Ora ciò sta cambiando in corrispondenza dei cambi dell’agenda geopolitica. Gli interessi turchi non sono più quelli di indebolire Assad come lo è stato per lungo tempo.
Cosa ha spinto molti di questi ragazzi a rimpiangere la scelta fatta e a decidere di tornare indietro?
Lo shock con la realtà avviene generalmente quando il ragazzo si trova nel campo di addestramento in Siria. Quando si entra in un tale luogo si viene immediatamente rinchiusi, si deve consegnare il passaporto, il sistema è molto rigido hanno un sistema giudiziario interno molto forte, si sentono le urla di chi viene torturato, ci sono state situazioni in cui qualcuno accusato di essere un traditore è stato decapitato, il cadavere posto su una brandina e la testa appoggiata su di esso e trasportato per tutto il campo. È fin da subito molto chiaro cosa succederà alle persone che non collaborano. Non si possono porre domande né avere dubbi a costo della vita.
Come hanno fatto alcuni di loro a tornare indietro?
Fuggire è pericoloso. In alcuni casi alcuni ragazzi sono riusciti a mantenere dei contatti telefonici con i genitori che ci hanno messo in contatto diretto con loro. In un caso un ragazzo era stato selezionato per un attentato suicida. Regolarmente un autobus veniva a prendere coloro destinati al suicidio e lui, per non doverlo fare, si metteva in fondo alla fila attendendo che il bus fosse pieno per dover essere rimandato alla prossima volta. In quel contesto ha deciso di andarsene. Non posso dire nel dettaglio in che modo lui o altri se ne siano andati, il percorso è però quello di fuggire velocemente verso il confine turco. In alcuni casi dei genitori si sono recati nei territori di guerra per portar via il proprio figlio, cosa molto pericolosa e non consigliabile, se lo fanno però noi li seguiamo e li consigliamo. Pur non avendo noi una presenza sul posto prepariamo ogni loro singolo passo nella fuga, tra cui il rientro in Germania in coordinamento con le autorità tedesche.
Cosa succede al ragazzo che rientra in Germania?
Di colpo il ragazzo si trova seduto di fronte a noi. Il padre alla sua sinistra, la madre alla destra, entrambi che per mesi hanno avuto una paura mortale per proprio figlio. Naturalmente il padre gli chiede “come hai potuto fare tutto questo?” mentre lui, in silenzio, guarda il pavimento pieno di vergogna. Ora si rende conto che cosa ha fatto alla propria famiglia. Il padre continua a chiedere: “Perché? Perché? Perché?” e il figlio non riesce veramente a rispondere. Non ha risposta, non sa cosa sia successo. Abbiamo bisogno settimane o mesi di colloqui perché lui stesso riesca a capire perché abbia fatto questo passo. Ciò mi fa capire quanto manipolativo sia il mondo dei salafiti e come loro conoscano bene tutte le tecniche di manipolazione. Se si guardano i video di Pierre Vogel su internet nei suoi discorsi utilizza precise tecniche di comunicazione e tenta di legare a sé le persone. Anche le sue esclamazioni emozionali non sono autentiche ma inscenate. Sono scene che fanno leva sui giovani uomini.
C’è il rischio che ex combattenti di rientro in Germania vogliano continuare la lotta qui?
Sì, naturalmente. C’è chi torna ed è confuso e si chiede: ciò che ho visto è veramente Islam? Queste persone in genere cercano un confronto per trovare delle risposte ed è molto importante che abbiano un interlocutore. Altri, invece, stanno in silenzio e non manifestano l’ideologia. Su questo gruppo è difficile dare dei numeri. C’è chi vorrebbe solo ricominciare, chi invece sta in silenzio in attesa di poter tornare in azione. Questo è il pericolo più grande.
Avete dei riscontri secondo i quali ci sia una strategia nel rimpatrio dei foreign fighters per poter attaccare la Germania e l’Europa?
La Germania e l’Europa sono attaccabili in ogni momento. L’Isis e chi ne condivide l’ideologia pensano globalmente. Sono un movimento internazionale che non riconosce i confini. Una volta abbiamo incontrato un ragazzo che era appena rientrato e si trovava in carcere, depresso. Aveva abbandonato l’Isis e per questo si sentiva di avere tradito l’Islam e era certo che dopo due o tre settimane gli avrebbero tagliato la testa. Noi, stupiti, gli abbiamo chiesto chi gli avrebbe tagliato la testa? Lui ha risposto che sarebbero stati i soldati dell’Isis che presto avrebbero conquistato la Germania. Quando gli abbiamo fatto capire che ciò non sarebbe successo lui ha continuato a essere convinto che sarebbe comunque morto per avere tradito l’Islam. Le nostre società sono vulnerabili. È molto più facile compiere gli attentati di 20 anni fa quando era invece richiesta una certa preparazione logistica. Se ci sono uomini convinti a danneggiare una società hanno oggi la possibilità di farlo. Come si evolverà una società in costante pericolo di essere attaccata? Come vivranno i cittadini in questa costante percezione di insicurezza? I salafiti tedeschi sono 10mila su 80 milioni di abitanti eppure sono in grado di far paura. Questo è quello che vogliono i terroristi.
I salafiti fanno apertamente propaganda tra i profughi giunti in Germania negli ultimi anni. L’80% dei siriani arrivati dichiara di non fuggire dall’Isis o dai ribelli bensì dai bombardamenti di Bashar al-Assad. I salafiti sostengono che la minoranza che fugge dall’Isis non voglia avere a che fare con loro perché li identificherebbe con i crimini che hanno visto commettere dai terroristi, gli altri, però, non avrebbero problemi con loro. Anche alla luce del fatto che condividono lo stesso credo. Avete riscontrato una crescita dei numeri dei salafiti in corrispondenza dell’arrivo dei flussi?
Sì, anche se fino ad oggi soltanto il 10% dei casi di radicalizzazione con cui abbiamo lavorato interessa i profughi. Nella maggior parte dei casi vengono coinvolte persone nate e cresciute in Germania. Ciò nonostante riscontriamo una forte crescita nei contatti tra i profughi e la scena dei salafiti. Questi ultimi utilizzano la comune appartenenza all’Islam sunnita per fare emergere i punti in comune. Chi fugge dal regime di Assad ha spesso sofferto delle stesse brutalità e barbarie dell’Isis e si sente legato a tutti coloro che sono stati contro Assad perché non hanno vissuto l’Isis sulla propria pelle. Per questo i salafiti possono tentare di fare leva su ciò per raggiungere i propri obiettivi e da qui è comprensibile questa grossa attività di propaganda dei salafiti tra di loro. Chi arriva solitamente è di fede islamica e si guarda intorno per trovare luoghi in cui rispettare i propri doveri religiosi. In questo modo si creano i contatti con i salafiti. Chi scappa dall’Isis non vuole aver nulla a che fare con i salafiti, gli altri sono impreparati. Se l’integrazione non funzionerò i profughi rischiano di diventare facili vittime per i reclutatori.
Come intervenite quando osservate un caso di radicalizzazione di un profugo?
Interveniamo con uno dei nostri colleghi che parli la sua lingua, elemento che di per sé unisce molto. Particolarmente problematico è l’arrivo dei profughi che hanno vissuto la guerra e che da essa sono rimasti traumatizzati. Molti sono minori non accompagnati che di colpo trovano i salafiti a offrire loro una comunità ad accoglierli. A quel punto si sentono appartenere a qualcosa e danno retta a tutto ciò che viene loro detto. Quando assistiamo a casi in cui il profugo vuole andare a tutti i costi in moschea e pregare perché in caso contrario – dice – andrà all’inferno allora ci è chiaro con che tipo di persone sia finito in contatto e per questo interveniamo subito. Cerchiamo di dare alternative a questi ragazzi perché conoscano anche altri tipi di persone e che si liberino dal rapporto di dipendenza che hanno instaurato. Vogliamo che ascolti più pareri e che sappia che è lecito porre delle domande. Stiamo vedendo che i traumi dalla guerra non elaborati possono portare ad un rapido avvicinamento agli estremisti. C’è gente che ha perso la voglia di vivere e che per questo si unisce ai salafiti. Nel 2017 abbiamo ancora casi di persone che dalla Germania vogliono tornare in Siria per combattere, cosa che equivale a una condanna a morte.
Ci sono oggi ancora persone che partono per la Siria nonostante la guerra dell’Isis sia ormai persa?
Sì. Sono uomini che in questa società non vogliono più vivere. Gente che vuole combattere per morire. È difficile accettarlo, come è difficile accettare che una giovane donna tedesca decida di andare in territorio di guerra per farsi lapidare perché non più vergine. Sono persone che hanno perso la voglia di vivere.
Dottor Muecke, la Germania, per ovvi motivi storici, non vuole offrire alcuna forte identità tedesca ai migranti e alle sue nuove generazioni in cui identificarsi. Quale può essere una soluzione sociale per fare fronte alla situazione che ci ha descritto?
In Germania, come negli altri Paesi europei, abbiamo bisogno di comunità religiose autonome che offrano autonomamente servizi religiosi così che le persone possano vivere la propria fede senza correre il rischio di imbattersi in persone che vogliano utilizzare il loro credo. Serve poi una forte educazione politica nelle scuole alla democrazia e ai diritti umani che sono i principi su cui si fonda la nostra identità. Dobbiamo evitare che gli estremisti siano gli unici interlocutori per i ragazzi. Bisogna poi analizzare quali sono le strategie dei terroristi e degli estremisti. Quella dell’Isis, che fino ad oggi ha funzionato, non è solo territoriale in Siria e Iraq bensì globale e si orienta contro l’Occidente e contro la democrazia. Gli scopi degli attentati non sono le morti in sé ma sono le reazioni che esse generano. Vogliono generare risentimenti contro una minoranza della società, cioè i musulmani, così che loro possano tentare di reclutare più persone possibili tra di essi. Hanno due nemici: da una parte il nemico esterno, che è l’Occidente decadente, dall’altro quello interno, cioè quegli appartenenti alla comunità musulmana che non stanno con loro. Oggi la società tedesca ha paura e questo era l’obiettivo che i terroristi hanno raggiunto. Se si vuole fare qualcosa bisogna fare attenzione a non contribuire a aumentare questa frattura e questa polarizzazione.
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