Mentre Mosca si preparava pigramente a festeggiare il centesimo anniversario della rivoluzione bolscevica, un’altra rivoluzione echeggiava nel panorama dell’attivismo politico anti-putiniano.
Si tratta del gruppo “Artpodgotovka” (letteralmente “preparazione dell’artiglieria”), etichettato come organizzazione terroristica e di conseguenza bandito un mese fa, il cui leader è Vyacheslav Maltsev, arrestato in contumacia per incitamento alla violenza pubblica lo scorso luglio e attualmente in esilio a Parigi.
Dal 2013 Maltsev ha paventato l’idea di una rivoluzione in Russia il 5 novembre 2017, invitando i suoi sostenitori a occupare le piazze finché il presidente russo, Vladimir Putin, non avrebbe presentato le sue dimissioni.
Come prevedibile, la risposta delle autorità non ha tardato ad arrivare. Oltre 400 persone sono state arrestate in tutto il paese con l’accusa di disobbedienza al pubblico ufficiale, violazione della legge sulle assemblee pubbliche, turbamento della quiete pubblica con probabili finalità terroristiche.
Nonostante la portata relativamente contenuta, il fenomeno Artpodgotovka è interessante perché si inserisce nel solco di una ricostruzione identitaria che la Russia fatica a stabilizzare dopo il crollo dell’Unione sovietica. La convergenza di questo gruppo con le proteste promosse dal blogger Aleksey Navalny indica come ormai l’idea di una Russia senza Putin non sia piu’ un taboo e dunque il Cremlino non dorma piu’ sonni tranquilli.
Cos’è Artpodgotovka?
Artpodgotovka non è un movimento politico ed è difficile comprendere la portata del fenomeno. Il canale youtube – creato da Vyacheslav Maltsev nel 2012 – conta 140.000 iscritti, la pagina Vkontakte (il Facebook russo) 34.000 mentre il canale Telegram 3.000.
Grazie alla popolarità sul web lo stesso Maltsev ha vinto le primarie federali del partito liberal-democratico e riformatore “Parnas” nel maggio 2016, che pero’ ha ottenuto solo lo 0,7% e nessun seggio in parlamento. Le sue visioni politiche si collocano nello spettro ideologico della destra , infatti prima di creare Artpodgotovka, nel 2001 Maltsev aveva servito come deputato della Duma della regione di Saratov e contribuito all’apertura della divisione locale del partito del presidente, Russia Unita, salvo ripudiare questa scelta dopo due anni.
Secondo le autorità, Maltsev avrebbe ripetutamente incitato alla violenza, sostenendo che nessuna conquista in Russia fosse possibile con mezzi pacifici. I servizi di sicurezza hanno pubblicato filmati del 3 novembre che mostrano gli agenti che arrestano gli attivisti di Artpodgotovka e che scoprono materiale esplosivo, armi e attrezzature atte – a detta della polizia – a preparare grandi atti estremisti. Secondo RBC, 14 persone sono state arrestate nel corso di questi raid a Mosca, Krasnodar, Krasnoyarsk, Samara e Saratov.
Se è possibile dubitare della veridicità di questi filmati, è tuttavia importante riflettere su come gli attivisti di questo gruppo abbiano simpatizzato per la campagna anticorruzione del blogger Aleksey Navalny. Lo stesso Maltsev è stato fermato a Mosca per aver disobbedito alla polizia con una condanna a 15 giorni durante le proteste incitate da Navalny a marzo e a giugno, mentre Aleksey Politivkov è stato condannato a due anni di prigione per aver attaccato un poliziotto durante la manifestazione di marzo.
Una nuova identità
I sostenitori di Artpodgotovka e Navalny si inseriscono nel solco di un dibattito che dura dal 1991 in cui la Russia stenta a trovare una definitiva collocazione identitaria dal punto di vista interno e internazionale. Essi proponendo una Russia alternativa, che rompe il tandem ideologico che associa la Russia al suo presidente.
Nella homepage di Artpodgotovka si legge a chiare lettere che l’obiettivo è arrivare all’impeachment di Putin e istituire una vera democrazia. Il lungo programma del gruppo intreccia elementi come la lotta alla corruzione, la trasparenza e il libero mercato – in maniera simile al programma di Navalny – a una proiezione internazionale pacifica, di ripudio della guerra e soprattutto l’obiettivo di un trattato di pace con l’Ucraina.
Il presidente ha lavorato duramente alla costruzione del legame ideologico tra patriottismo e lealtà al regime, la cui sopravvivenza è la direttrice principale su cui si sviluppa la sua politica estera e interna. In maniera molto decisa a partire dal 2011 in coincidenza con le proteste di Balotnaya, il Cremlino ha varato stringenti misure di limitazione della libertà delle ONG (la famosa legge sugli agenti stranieri), di associazione e ha aumentato il controllo sui siti internet più popolari.
Non è un caso che celebrazioni del centenario della rivoluzione non siano andate oltre qualche mostra nei musei e conferenze a livello accademico. Da un lato la rivoluzione russa unisce nel ricordo di un passato di grande potenza, dall’altro produce il mito del popolo che destabilizza un potere consolidato nei secoli ed è questo secondo aspetto a risultare scomodo per il Cremlino.
Con la crisi in Ucraina la voce di molti personaggi ha cominciato a riecheggiare più forte, criticando l’autorità presidenziale. Da un lato ci sono Dugin, Prokhanov, Malofeev, l’Izborsky Club, e gli intellettuali ortodossi e tradizionalisti che simpatizzano con le destre europee e che vorrebbero una politica estera ancora più aggressiva di quella del presidente. Dall’altro i riformatori deboli e traballanti che cercano sostegno in una società politicamente apatica facendo leva su temi populisti, sulla corruzione o semplicemente sui danni delle sanzioni.
Per il momento si tratta ancora di minoranze e parlare di cambiamento è sicuramente prematuro. Quel che è certo è che se il Cremlino si scomoda a reprimere ab origine un fenomeno minimo come Artpodgotovka, allora è chiaro che teme che una goccia alla volta possa scavare la roccia.