Formalmente accusato di sostegno al terrorismo, il Qatar è stato isolato da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein ed Egitto, che lo scorso 5 giugno hanno annunciato la fine dei rapporti diplomatici con Doha. Due settimane dopo, al piccolo paese del Golfo sono state recapitate dal Kuwait, che si è offerto di mediare, le 13 richieste formali da soddisfare per superare la crisi:
1. Cessare le relazioni diplomatiche e la cooperazione militare con l’Iran, espellere i membri della Guardia Rivoluzionaria presenti in Qatar
2. Recidere qualsiasi legame con le organizzazioni terroristiche, soprattutto con i Fratelli Musulmani, lo Stato Islamico, al Qaeda e Hezbollah; e dichiarare formalmente come gruppi terroristici queste organizzazioni
3. Far cessare le trasmissioni di Al Jazeera e delle stazioni collegate
4. Chiudere i media finanziati direttamente e indirettamente dallo stato, come Arabi21, Rassd, Al Araby al Jadeed e Middle East Eye
5. Eliminare la presenza militare turca sul territorio e mettere fine alla cooperazione militare con Ankara
6. Interrompere tutti i mezzi di finanziamento dati ad individui, gruppi e organizzazioni considerate terroriste da Arabia Saudita, Emirati, Egitto, Bahrein e Stati Uniti
7. Consegnare ai rispettivi paesi d’origine i terroristi e i ricercati provenienti da Arabia Saudita, Emirati, Bahrein ed Egitto; bloccarne le risorse e fornire informazioni su residenza, movimenti e finanze
8. Evitare di intromettersi negli affari interni degli altri stati, dando la cittadinanza ai ricercati di Arabia Saudita, Emirati, Egitto e Bahrein; e revocarla ai cittadini che abbiano violato la legge nel loro paese
9. Chiudere i contatti con le opposizioni politiche in Arabia Saudita, Uae, Egitto e Bahrein. Consegnare le informazioni già acquisite relative a queste realtà
10. Pagare un indennizzo (da determinarsi in coordinamento col Qatar) per le perdite finanziarie e di vite umane causate dalle politiche del Qatar in questi ultimi anni
11. Permettere controlli mensili per il primo anno dall’accettazione di questi punti, quadrimestrali per il secondo anno e annuali per il decennio successivo
12. Allinearsi con gli altri paesi del Golfo militarmente, politicamente, socialmente ed economicamente
13. Accettare le suddette richieste entro dieci giorni, pena l’invalidità dell’elenco
Quasi tutte le richieste criticano apertamente la strategia d’indipendenza che il Qatar ha intrapreso dall’inizio degli anni Duemila, e questa crisi evidenzia quanto errato sia il concetto monolitico di “blocco sunnita” riferito al Golfo, che si dimostra, ancora una volta, fluido nelle alleanze e nei disegni politici.
Qatar e Arabia Saudita: vicini e lontani
Le tensioni fra Qatar e Arabia Saudita in particolare non sono cominciate oggi, ma quando Doha ha iniziato a costruirsi una propria identità, pure nell’ambito della stessa corrente sunnita conservatrice, il wahhabismo, del quale si evidenziano due diverse interpretazioni. Già la guerra del Golfo del 1991 con l’invasione irachena del Kuwait e la liberazione del piccolo stato da parte degli Usa, aveva messo in evidenza, agli occhi del Qatar, la debolezza dell’Arabia Saudita nel proteggere i vicini; d’altra parte, i rapporti cordiali che il Qatar ha coltivato con l’Iran, col quale condivide il North Dome/ South Pars, il più grande giacimento di gas naturale al mondo da 9 mila 700 km quadrati nelle acque del Golfo (con 3 mila 700 km quadrati nelle acque territoriali iraniane), non lasciano tranquilli i sauditi che identificano nell’Iran il principale rivale nella regione.
Come già aveva messo in evidenza nel 2013 James Dorsey, docente all’Università di Würzburg, il Qatar è stato la prova evidente che il wahhabismo può non essere necessariamente restrittivo e repressivo: il paese, con un carattere secolarizzato al pari della Turchia, non ha un impianto religioso sul modello saudita che ne decreti la legittimità, e pure l’istruzione non è mai stata esasperata dalla commistione con la religione. Il College per Studi Islamici ad esempio è nato solo nel 1973, e la maggioranza degli studenti sono donne. Al termine del percorso accademico è più facile che si diventi insegnante o impiegato in un ufficio ministeriale che leader religioso. Le scuole sono gestite dal Ministero dell’Educazione e non da quello degli Affari Religiosi, e spesso sono frequentate più da stranieri che da qatarini, che rappresentano circa l’80% dei 2 milioni e 700 mila abitanti. Il Qatar ha creato un Ministero degli Affari Islamici solo 22 anni dopo l’indipendenza. A Doha le donne possono avere un ruolo nella società, viaggiare in modo indipendente, guidare. Il paese sponsorizza eventi che si direbbe di impronta occidentale, come film festival e mondiali di calcio, e ha dato vita ad un canale all news come al Jazeera che ha rivoluzionato il panorama dei media non solo nel mondo arabo.
Il Qatar ha sempre avuto un approccio relativamente indipendente agli affari esteri, provocando spesso l’irritazione dei sauditi, che più volte l’hanno accusato di minare la sicurezza collettiva. Il punto di maggiore tensione riguarda il supporto di Doha alla Fratellanza Musulmana: nel marzo del 2014 proprio su questo punto c’era stata un’altra grave crisi diplomatica che aveva portato l’Arabia Saudita, il Bahrein e gli Emirati a ritirare i loro ambasciatori dal Qatar, come punizione per il suo sostegno ai Fratelli. Lo stop è durato otto mesi, poi la crisi sembrava rientrata, anche grazie alle politiche di distensione dell’emiro Tamim Bin Hamad al Thani che ha sempre cercato la riconciliazione con le altre forze del Golfo, sin dalla sua ascesa al trono nel 2013, pur perseguendo una propria politica. Il supporto alle fazioni islamiste in Medio Oriente e Nord Africa è sempre stato un punto critico nelle relazioni. L’atteggiamento ostile dell’Arabia Saudita verso la Fratellanza è dovuto al fatto che all’interno del movimento il concetto di jihad violento sia stato sostituito dall’impegno sociale, anche in fatto di welfare, in tutto il Medio Oriente, e dalla richiesta di diritti civili e umani. Nella visione di Riyadh un’espansione di queste idee nel Golfo potrebbe mettere a rischio la tenuta del regno e la sua interpretazione del dogma alla base del governo. Il timore è che anche altri governi di impianto religioso possano reclamare la leadership delle città sacre di Mecca e Medina, oltre che mettere in discussione l’interpretazione intransigente finora mantenuta dai sauditi. Dal lato del Qatar, c’è da chiedersi se le relazioni con i Fratelli siano motivate più dall’ideologia o dalla necessità di distinguersi dal wahhabismo saudita. Il rapporto con i Fratelli Musulmani, in ogni caso, è facilitato – e osteggiato dall’esterno – dal fatto che sul territorio qatarino abbiano costruito la loro fama due esiliati di spicco della fratellanza, l’egiziano Yusuf al Qaradawi e il libico Ali al Salabi.
Qaradawi, membro dei Fratelli Musulmani dall’età di 14 anni, vive in Qatar dagli anni Sessanta e qui è diventato famoso non solo per i suoi sermoni e per aver fondato la facoltà di Shari’a e Studi islamici all’università di Doha, ma anche per una sua rubrica su al Jazeera. Noto alle cronache per essersi fatto portavoce della campagna contro il giornale di Copenaghen che aveva pubblicato le famose vignette su Maometto nel 2006, è stato una delle cause della crisi del 2014, per la sua aspra critica pubblica al governo emiratino accusato di andare contro l’Islam, senza che il governo del Qatar ne prendesse ufficialmente le distanze. Oltre ad aver sostenuto l’Egitto di Morsi e condannato il colpo di stato militare di al Sisi.
Al Salabi, allievo di Qaradawi originario di Benghazi, è stato l’uomo di collegamento fra il Qatar e i ribelli libici durante la rivoluzione del 2011, per la distribuzione di aiuti umanitari e militari.
Il legame con la Fratellanza mette in collegamento il supporto del Qatar e il rovesciamento di alcuni regimi in Nord Africa e Medio Oriente a partire dalle rivolte del 2011. Quando la gente è scesa in piazza in Tunisia ed Egitto e i Fratelli Musulmani sembravano essere diventati la forza politica di riferimento, il Qatar ha deciso di sfruttare la sua posizione di forza, appoggiando le nuove espressioni politiche per conquistare un ruolo di primo piano nell’area e riequilibrare il regno saudita. L’Egitto in particolare è diventato, con l’elezione di Morsi, destinatario di almeno 5 miliardi di dollari qatarini. A partire dal Cairo, nel 2012 il Qatar ha intrapreso una campagna di investimenti in tutta la regione, a favore dei vari rami della Fratellanza: a Gaza, controllata da Hamas, “costola” dei Fratelli, ha promesso infrastrutture, mentre in Siria ha cominciato a sostenere la componente della Fratellanza presente nelle frange di opposizione al regime di Damasco.
Con la fine di Morsi – caldeggiata intanto dall’Arabia Saudita – è crollato il pilastro della politica estera qatarina. Come scrive Kristian Ulrichsen nel suo libro Qatar and the arab spring pubblicato nel 2014 per Oxford University Press, i nuovi sviluppi in Egitto hanno portato il giovane emiro Tamim succeduto al padre da poche settimane a rivedere la strategia politica, e ridimensionare il sostegno ad Hamas come ai ribelli siriani. Il vuoto di sostegno al nuovo Egitto è stato subito colmato dagli altri paesi del Golfo, mentre in Siria si sono rimescolati gli equilibri in campo nel conflitto, con l’ingresso di nuove entità anti Assad più vicine ai sauditi.
Qatar e Turchia, visione comune
L’idea del Qatar nel Medio Oriente è abbastanza vicina a quella della Turchia, almeno in Siria, nel sostegno ai Fratelli Musulmani e nei rapporti con Arabia Saudita e Iran. Questa visione comune ha portato i due paesi a stringere una serie di accordi non solo in materia di sicurezza.
Ankara e Doha hanno siglato un primo accordo per la cooperazione nell’addestramento militare e nella vendita delle armi nel 2002. Il 2 dicembre 2015, durante una visita in Qatar, il presidente Erdoğan e l’emiro al Thani hanno annunciato la creazione di una base militare turca nei pressi di Doha, come parte di un più ampio accordo per la difesa reciproca.
Dal 2000 anche le relazioni economiche fra i due paesi hanno avuto un’impennata: il volume totale dei commerci è passato da 38 milioni di dollari a 739 nel 2014, secondo i dati dell’Istituto turco di Statistica. Il Qatar importa dalla Turchia ferro e acciaio, materiale elettrico, veicoli, prodotti tessili, cibo e mobili, mentre la Turchia investe nel Golfo in costruzioni e consulenza, e il prodotto che importa di più è il gas naturale, per il quale ha raggiunto un accordo di lungo periodo, con il probabile intento di sostituire il suo principale fornitore, la Russia. I due paesi hanno anche un fondo d’investimento condiviso, il Fondo Turco per il Benessere, al quale fanno capo compagnie telefoniche, satellitari, energetiche. Il giro d’affari nel paese del Golfo è complessivamente stimato intorno ai 13,5 miliardi di euro, mentre gli investimenti del Qatar in Turchia sono di 12,5 miliardi.
Per questo la presenza militare turca nel paese, che Ankara non ha intenzione di smantellare e che anzi, sta ampliando proprio in queste ore con l’invio di uomini e mezzi, non ha solo finalità geopolitiche, dato che il paese punta anche a imporsi sul mercato internazionale con la sua industria bellica.
Politicamente, gli accordi con la Turchia hanno fornito a Doha un ulteriore elemento di indipendenza dalle posizioni dominanti nel Golfo, ma senza alcuna chiusura. Entrambi i paesi fanno parte della nuova Alleanza Militare Islamica, Ima, voluta nel dicembre del 2015 dall’Arabia Saudita, che non ha perso l’occasione di estromettere Iran e Iraq. Nell’ottica di questa cooperazione contro il terrorismo, la presenza militare turca nel Golfo è stata accettata da Riyadh come elemento di sostegno ad una politica comune, che ad esempio in Yemen si è tradotta in una campagna militare dell’Arabia Saudita a favore di Mansour Hadi, con il benestare della Turchia e pure del Qatar. Doha resta anche membro del Consiglio di Cooperazione del Golfo, e polo di Uscentcom, U.S. Central Command Coalition, insieme agli altri stati del Golfo, all’Egitto e alla stessa Turchia. Inoltre il Qatar ospita sul suo territorio la base aerea Usa Al Udeid, da diecimila uomini, che supporta le operazioni americane in Iraq, Siria e Afghanistan.
Dal punto di vista storico la Turchia ha sempre guardato con preoccupazione al Medio Oriente, fino all’ascesa dell’Akp che invece ha riportato il paese a rivalutare le relazioni con i paesi dell’area e ad avere un ruolo peso dell’area. Il ritorno dei militari turchi nel Golfo ben si sposa con le ambizioni neo-ottomaniste di Erdoğan, ma funge anche da risposta all’Iran che sul campo siriano si è trovato su posizioni opposte a quelle di Ankara, pur non avendo mai interrotto i rapporti commerciali. In virtù dell’importanza di un reciproco scambio economico e di un costante bilanciamento di sfere opposte di influenza, l’Iran ha ribadito il pieno sostegno al Qatar, suo co-proprietario del grande gasdotto del Golfo, condannandone l’isolamento, e ha garantito spazio aereo e marittimo. Insomma, Turchia e Iran, di opposte visioni nella guerra in Siria, si riallineano sul Qatar. In un gioco in cui nessuna alleanza è granitica, i vuoti di potere si sfruttano e gli assi di influenza si intersecano continuamente fra loro.