L’incontro tra Sarraj e Haftar del 2 maggio ha indicato una possibile apertura ad un accordo di unità sulla Libia. Rimane ancora lunga la strada per porre fine alla rivalità tra Tripoli e Tobruk senza consenso tra le varie parti nella scena politica.
Un pre-accordo di massima quello tra il generale Khalifa Haftar e il premier di unità nazionale Fayez Al Sarraj più che un accordo per poter giungere alla stabilizzazione della Libia. Un incontro a due che per ora rappresenta solo una possibilità, non una soluzione, finché non si arriverà ad una chiara intesa tra gli attori in campo per attuarlo.
In base a quanto discusso al vertice di Abu Dhabi, le milizie irregolari verrebbero sciolte e vi sarebbe un solo esercito sotto il controllo di un nuovo consiglio presidenziale, formato dal presidente del parlamento di Tobruk, Aghila Saleh, dal premier del governo di intesa nazionale, Sarraj, e dal comandante dell’esercito, Haftar. In più, verrebbero indette nuove elezioni presidenziali e parlamentari entro marzo 2018.
Per Ziad Akl, ricercatore in questioni libiche presso il Centro Al-Ahram di Studi politici e strategici a il Cairo (Egitto), l’incontro di Abu Dhabi si differenzia dai precedenti tentativi di dialogo per due motivi.
Al centro dei colloqui, questa volta, le due principali parti del conflitto in Libia dopo il fallito tentativo di febbraio quando Haftar aveva rifiutato un faccia a faccia con Sarraj al Cairo.
In aggiunta, le potenze regionali, sostanzialmente Egitto, Algeria e Tunisia, stanno facendo pressione sui rispettivi alleati nell’est e ovest del paese preparando il terreno per una futura intesa. Uno spingere per una soluzione libica, lontana da ‘’ingerenze straniere’’ come le due parti hanno puntualizzato durante il bilaterale.
In particolare, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti spingono per un accordo che consenta all’uomo forte di Tobruk di ritagliarsi un ruolo in una futura riunificazione della Libia. Il presidente egiziano Al-Sisi, che è uno dei maggiori sostenitori di Haftar, ha fatto appello per eliminare l’embargo sulle armi istituito dall’ONU che consentirebbe al generale di dominare militarmente sui suoi rivali. La Russia si è aggiunta ai paesi che lo sostengono.
In più, fa sapere Akl, l’ovest non ha più un braccio militare dalla spaccatura della coalizione Libya Dawn, la milizia di Misurata presente a Tripoli, lasciando la capitale in mano a una decina di bande armate rivali.
Tantomeno il Governo di Accordo Nazionale (GNA), imposto dall’ONU, ha mostrato di avere autorità politica, così come spiega l’analista politico che definisce Sarraj ‘’l’anello più debole della catena’’.
In questo scenario geostrategico si inserisce il meeting di Abu Dhabi che, a suo parere, se seguito da una modifica dell’Accordo Politico Libico (LPA) per renderlo accettabile a entrambe le parti, potrebbe trovare appoggio tra chi sostiene Haftar ad est e chi semplicemente vuole la pacificazione del paese.
D’altra parte, c’è cautela su un’eventuale intesa dal momento che l’accordo potrebbe non tener conto delle milizie ostili al generale, in gran parte gruppi islamisti attivi attorno a Tripoli, principalmente quelle che lo associano al vecchio regime o che sono interessate a mantenere lo status quo. Anche se oggi, precisa il ricercatore, le milizie di Misurata sarebbero divise al loro interno tra membri che fanno opposizione e quelli più flessibili all’idea di operare sotto il comando di Haftar.
Resta da vedere se il generale, da parte sua, riconoscerà l’esecutivo di unità nazionale come sola autorità libica e accetterà il controllo civile delle forze armate.
L’altro ostacolo sta nel sud del paese, terreno fertile per gruppi terroristici o dall’ideologia radicale, che viene solitamente dimenticato nei colloqui sulla Libia. Inoltre, un qualsiasi accordo dovrà necessariamente implicare un risanamento economico.
Il caos libico, che non dà segno di fine dalla destituzione di Gaddafi nel 2011, ha non solo portato l’economia del paese al collasso ma anche visto proliferare il fenomeno migratorio illegale verso l’Europa.
A detta di Akl, un pre-requisito a una futura intesa libica proviene dall’interesse comune dei vari attori regionali ed internazionali nella lotta contro l’immigrazione clandestina. Si parlerebbe di un’istituzione di sicurezza indipendente volta a garantire la protezione delle frontiere e coste libiche, e rassicurare l’Europa fermando il traffico a monte, anticipa.
D’altro canto, non si parla ancora di soluzioni umane o efficaci considerando l’interesse politico ad impedire l’arrivo di rifugiati e migranti in territorio europeo con l’UE che continua a fare accordi finanziari e militari per bloccare i migranti che tentano di transitare attraverso la Libia.
Come il memorandum firmato tra Roma e Tripoli a febbraio che prevede la detenzione di migranti in centri di accoglienza e il rimpatrio in Libia di quelli diretti in Italia. Migranti che, rispediti indietro, potrebbero finire di nuovo nei centri irregolari allestiti in Libia, gestiti da bande criminali e milizie armate in cui migliaia di migranti africani vengono tenuti prigionieri, picchiati, abusati regolarmente, costretti a lavoro forzato e prostituzione