Da Reset Dialogues on Civilizations
Con una guerra nucleare alle porte, quella del Donbass passa a dir poco inosservata e gli oltre 9,000 morti non fanno rumore. Il conflitto, però, non è ancora “congelato”: i rapporti dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), incaricata di monitorare il cessate-il-fuoco, denunciano continue violazioni dei diritti umani, traffici di armi, e uccisione di civili.
Gli accordi di Minsk sono in stallo: il governo di Kiev non riesce – o non intende – procedere con la federalizzazione del paese; Mosca non garantisce – o non è in grado di garantire – la tenuta del cessate il fuoco e di tenere sotto controllo le teste calde dei capi dei separatisti.
In una situazione del genere di quotidiana frustrazione e di emergenza, verrebbe spontaneo chiedersi, almeno per il governo di Kiev, fino a che punto convenga lottare per il Donbass.
Un’area disastrata
Prima dello scoppio delle ostilità, il Donbass era il cuore industriale dell’industria carbonifera Ucraina e contribuiva al 20% del PIL del paese; inoltre, essa ospitava la gran parte degli impianti dell’industria bellica ucraina, i cui rapporti commerciali con Mosca erano particolarmente intensi.
Molti di questi impianti oggi non esistono più e si stimano danni alle infrastrutture per oltre 251 milioni di dollari (dati UNIAN) oltre a migliaia di chilometri di strade distrutte. Secondo l’economista Andres Aslund, il costo della ricostruzione del Donbass si aggira intorno ai 20 miliardi di dollari, una cifra ragguardevole se si pensa che l’intero budget dell’Ucraina è di 26 miliardi di dollari.
Una questione politica
Secondo un sondaggio dello scorso settembre condotto dal Razumkov Center for Sociological Research, l’attitudine degli ucraini verso la situazione in Donbass rivela che più del 50% si oppone all’idea di concedere uno status speciale a Donetsk e Lugansk, [1] ma la frustrazione cresce giorno per giorno e lo si vede dal tasso di approvazione del Presidente ucraino Petro Poroshenko, non gradito al 73% degli ucraini. [2]
Tuttavia, difendere l’integrità territoriale è una questione di legittimità internazionale per l’Ucraina. Poroshenko ha fatto di questo il suo cavallo di battaglia in ogni forum internazionale dove si è presentato e se Kiev vuole definitivamente uscire dall’orbita russa, è necessario dimostrare di saper difendere il proprio territorio.
Gli ucraini del Donbass intanto sono esasperati e si sentono abbandonati dal governo di Kiev che non è in grado di riprendere i territori occupati. Molti di essi hanno scelto la fuga e si sono spostati in altre regioni dell’Ucraina; nell’agosto 2015 il loro numero sfiorava il milione e mezzo.
Paradosso dello status quo
A giudicare dalla sua malferma situazione finanziaria, anche nel caso in cui riuscisse a ripristinare il controllo sul Donbass sarebbe quasi impensabile per il governo di Kiev affrontare la ricostruzione della regione martoriata dagli scontri.
Paradossalmente, lo stato attuale delle cose in Donbass è diventata l’opzione migliore per l’Ucraina. Implementare gli accordi di Minsk II attraverso riforme costituzionali volti alla federalizzazione del paese, comporterebbe per Kiev una forte perdita di autonomia e potrebbe anche dire addio a ogni velleità di integrazione europea.
Se invece lasciasse andare?
Proviamo a pensare quali potrebbero essere i benefici di una scelta così radicale. Innanzitutto, Kiev non dovrebbe sostenere i costi della ricostruzione. Mosca in realtà sta già contribuendo economicamente ad assicurare le condizioni minime di sopravvivenza della regione attraverso il pagamento delle pensioni (circa 40 milioni di dollari) e altri programmi sociali oltre alle spese di governo e militari; nel frattempo Gazprom e InterRao stanno distribuendo gratuitamente gas ed elettricità.
Se fosse possibile per Kiev rinunciare a questi territori, Mosca si troverebbe con le spalle al muro se abbandonasse un territorio in cui è intervenuta sulla base di una presunta “responsabilità di proteggere” e per il quale ha sacrificato soldati e messo in piedi una sofisticata macchina di propaganda.
In secondo luogo, il governo non si troverebbe a fare i conti con una regione complicata sotto il profilo politico e sociale. Sebbene la maggioranza della popolazione del Donbass non abbia sposato gli ideali separatisti, è pur vero che da tempo essa lamentava difficoltà nei rapporti con il governo centrale e si opponeva all’accordo di associazione con l’Unione Europea alla luce del timore che l’apertura del mercato potesse rivelarsi fatale per le industrie locali, peraltro piuttosto datate e inefficienti.
Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare il ruolo di destabilizzazione giocato dai capi dei separatisti, che anche il Cremlino fatica a tenere sotto controllo e che hanno grande presa sulla popolazione locale. Sono frequenti le lotte intestine tra i battaglioni dei separatisti così come le strategiche uccisioni di alcuni dei più influenti leader dei combattenti. Questi elementi dipingono un quadro molto difficile da gestire sia per Kiev che per Mosca, che rischia che le si ritorcano contro le pedine della sua guerra ibrida.
Oltretutto, gli oligarchi del Donbass sono molto influenti e nel tempo la loro presenza si è consolidata nella politica locale. Molto probabilmente, essi metterebbero i bastoni fra le ruote al governo e tenterebbero di ottenere concessioni sempre più vantaggiose per il proprio business.
L’Ucraina ha bisogno di una strategia efficace per il Donbass, specialmente ora che i riflettori del mondo sono puntati su altre questioni che appaiono come “più urgenti” come il nucleare nordcoreano, il terrorismo, il conflitto siriano o ancora la Brexit.
Qualunque scelta Kiev deciderà di compiere, sarà inevitabilmente necessario stabilire cosa è più importante, l’integrità territoriale o l’indipendenza.
[1] https://www.unian.info/society/1545541-recent-poll-reveals-how-many-ukrainians-support-donbasspecial-status.html
[2] https://www.kyivpost.com/ukraine-politics/survey-shows-poroshenko-not-supported-73-ukrainians-cabinet-79-parliament-87.html
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