Negli ultimi mesi in Egitto la popolazione copta è vittima di numerose violenze. Per fuggire dall’ultima serie di omicidi di cristiani nel nord Sinai centinaia di copti, mossi da terrore e disperazione, sono spinti verso la vicina città di Ismailia, sulla riva occidentale del Canale di Suez, se non altrove. Dal regime di Al-Sisi non arriva tuttavia nessuna garanzia di sicurezza. Infatti, la violenza di matrice islamista non si è mai fermata dal colpo di stato militare del 2013, un golpe accolto con favore dalla comunità copta, per aver rovesciato il presidente Mohamed Morsi del partito dei Fratelli musulmani. Una situazione difficile per le famiglie costrette a sgomberare e vivere in alloggi provvisori.
Se si tiene conto della cronaca otto cristiani sono stati freddati in sette omicidi in un solo mese, tre appena un mese fa. Un vero e proprio giro di vite nell’ultima ondata di violenza anti-cristiana nel nord del Sinai. I copti, che rappresentano il 10% della popolazione egiziana, sono di fatto il secondo bersaglio dei jihadisti, dopo le forze armate egiziane nella penisola del Sinai.
Una facile mira in un allarmante trend in crescita, nota Ishaq Ibrahim, ricercatore in libertà religiose presso l’Iniziativa egiziana per i diritti della persona (EIPR). Ad anticipare gli ultimi attacchi settari è stato, a febbraio, un video diffuso in rete da un gruppo affiliato all’ISIS che minaccia i copti d’Egitto. Gli uomini del Califfato, nel video, rivendicano anche l’attentato alla Chiesa di San Pietro e Paolo al Cairo dello scorso dicembre che ha fatto più di 25 morti.
Ai primi di marzo, erano già più di 200 le famiglie copte ad abbandonare il nord Sinai tra il rischio di morte e la forzata evacuazione per accorrere alla città di Ismailia, secondo recenti dati forniti dalla chiesa copto-ortodossa. Nonostante non si sappia esattamente quanti copti risiedono in nord Sinai, a detta di alcuni ricercatori, la popolazione cristiana nell’area si aggirerebbe attorno a quasi 4mila persone, prima dell’improvvisa fuga di intere famiglie in reazione all’impennata negli attacchi di matrice ISIS.
Dalla cacciata del presidente islamista Morsi nel 2013, il nord Sinai è spesso teatro di scontri a fuoco tra l’esercito e i militanti armati operanti nella penisola. Per la maggior parte, è il gruppo Wilayat Sinai (ovvero Ansar Beit Al-Maqdis) a sferrare attacchi diretti alle forze di sicurezza e della polizia. Nel frattempo Al-Sisi rinnova ogni tre mesi uno stato di emergenza attivo dall’agosto 2013.
I copti continuano ad affluire in quattro governatorati: Ismailia, Qalybiya, Assiout e il Cairo. Chi è originario di El-Arish ha problemi a trovare un alloggio, chi ha familiari negli altri governatorati va a stare da loro.
I cristiani d’Egitto non sono però estranei a violenza. Nel luglio dello scorso anno, padre Rafael Moussa della chiesa di Mar Girgis a El-Arish è stato ucciso a colpi di pistola da estremisti. Stando a un rapporto pubblicato dall’organizzazione locale per i diritti EIPR ad agosto dell’anno scorso, nei primi otto mesi del 2016 si sono verificati dieci episodi di violenza settari nel governatorato di Minya, nell’Alto Egitto, un’area con un’alta concentrazione di cristiani.
Per Ishaq Ibrahim, uccidere e terrorizzare copti sarebbe per i militanti una sorta di conquista agli occhi dello stato egiziano che, con le sue forze armate in prima linea, sta combattendo da anni un’insurrezione nel Sinai. Il ricercatore adduce anche al possibile intento da parte dei jihadisti di radicalizzare il nord del Sinai e farne una zona senza cristiani in un contesto di crescente ostilità verso le minoranze.
Per quanto le vite dei copti del Sinai siano in pericolo, le autorità però non hanno un piano per proteggerli, osserva l’attivista George Ishak dopo essersi recato ad Ismailia dove è sfollato un alto numero di cristiani. Qui, sono tre chiese – anglicana, copto-ortodossa, evangelica – che forniscono alloggio e assistenza alle numerose famiglie sfollate. Molti cittadini stanno dando aiuto offrendo cibo, coperte e vestiti.
Questa gente è molto avvilita, ferita psicologicamente, commenta Nadine Saudi incaricata di trovare alloggio alle famiglie copte in ostelli della gioventù. Ricorda alcuni orribili racconti di alcuni di loro, che hanno visto i loro vicini a Al-Arish uccisi brutalmente e derubati, proprietari di immobili freddati con armi da fuoco o bruciati vivi con le loro case date a fiamme.
Ishak, che è anche membro del Consiglio nazionale egiziano per i diritti umani (NCHR), parla di croci sulle porte di case di cristiani a Al-Arish come monito dei militanti ad andare via o morire, secondo quanto gli è stato riferito da famiglie che hanno trovato rifugio ad Alessandria.
Oltre ad essere eliminati in pieno giorno, i residenti copti oggi vengono seguiti e ammazzati nelle loro case, riferisce Ibrahim dopo la sua visita ad Ismailia. Ha ricevuto molte lamentele riguardo l’assenza di sicurezza in Sinai e l’incapacità dello stato di garantire sicurezza. Molti si sentono abbandonati dallo stato, stanchi di sentire rassicurazioni e vedere le loro richieste ignorate. Queste famiglie hanno paura di tornare a casa e sono preoccupate per il loro futuro. Hanno dovuto lasciare le loro proprietà e attività, e adesso chiedono semplicemente un posto sicuro dove poter vivere e lavorare, aggiunge lo studioso dell’EIPR. Padri preoccupati a come sfamare i loro figli, e madri che faticano a trovare un modo per far tornare i loro bambini a scuola.
A fine febbraio, diversi partiti di sinistra (Partito della Costituzione, Coalizione Socialista Popolare, Partito Sociale Egiziano, Partito Egitto Forte, Partito Pane e Libertà) e gruppi di difesa dei diritti egiziani tra cui il Cairo Institute for Human Rights e il centro di studi femministi Nazra, si sono appellati al governo affinché provveda alla sicurezza dei cristiani del Sinai, denunciando la ‘’totale assenza di sicurezza’’ nella penisola.
Nonostante il presidente Sisi abbia ordinato al governo di adottare ‘’tutte le misure necessarie’’ per aiutare gli sfollati copti, non è tuttavia chiaro come le istituzioni statali contribuiranno concretamente. Così come non è chiaro come gli apparati di sicurezza si adopereranno a proteggere i cristiani che non hanno lasciato il Sinai.