All’avvento di un’importante consultazione referendaria in cui i cittadini saranno chiamati alle urne per decidere circa l’approvazione delle modifiche costituzionali proposte dal governo Renzi e già approvate dal parlamento, appare tanto più importante ripercorrere il cammino della democrazia italiana e cercare di interpretare quale sentiero una democrazia ormai matura abbia intrapreso nella contemporaneità nonché tentare di prevedere su quali strategie si giocherà il futuro della nostra democrazia in tempi di crisi, purtroppo generalizzata sull’intero scacchiere internazionale.
Un libro importante può aiutarci in quest’impresa, che a prima vista sembrerebbe titanica, ovverosia nel tentativo di lasciare sullo sfondo l’intera architrave istituzionale e costituzionale del nostro sistema politico e partitico al fine di comprendere quali fenomeni storici, sociali, quali mutamenti ed evoluzioni e quali retaggi abbiano animato nella storia quella che Mortati avrebbe definito la “costituzione materiale” che ha regolamentato nei fatti la vita pubblica del Belpaese almeno sin dai tempi dell’unificazione. Parliamo di Una democrazia possibile. Politica e territorio nell’Italia contemporanea appena pubblicato per Carocci da Marco Almagisti, politologo e ricercatore dell’Università di Padova.
Il libro, lo si anticipava, è di grande interesse ed il suo rilievo si tocca con mano tanto per la stessa produzione scientifica e pubblicistica di Almagisti quanto nel panorama nazionale della letteratura specialistica contemporanea in ambito politico e storico politico. Da questo punto di vista il libro – ancorché molto ricco in quanto appunto esso arriva sino all’oggi pur traendo le mosse dall’unificazione dei molteplici regimi politici diversi da cui ha poi preso vita l’Italia di fine Ottocento – è senz’altro approcciabile anche dai non addetti ai lavori ma che siano bramosi di una lettura puntuale e al contempo riepilogativa sulle molteplici traiettorie che incarnano il nostro assetto di policy-making. Il principale punto di forza si rivela l’endiadi indissolubile così cara all’Almagisti ricercatore tra due discipline tenute artificiosamente parallele negli stessi corsi di scienze politiche, ovverosia la scienza politica (nella sua tradizione più nobile di matrice americana che si espleta lungo una linea Easton-Dahl) e la storia politica con numerose incursioni nella storia del pensiero politico. È una prospettiva, questa, che aveva già ispirato altri lavori di Almagisti come La qualità della democrazia in Italia (2008 e 2011 in nuova edizione) e La transizione della politica italiana (con L. Lanzalaco e L. Verzichelli, 2014) e da cui trae le mosse lo stesso Standing group di “Politica e storia” che lo stesso Marco Almagisti coordina per la Società Italia di Scienza Politica (SISP) insieme a Carlo Baccetti. Il libro assume senz’altro anche una piena valenza didattica in cui intervengono proprio i padri più rinomati della scienza politica come lo stesso David Easton, Norberto Bobbio, Arend Lijphart, Martin Lipset, Ralf Dahrendorf, Robert Dahl, il cui pensiero e la cui teoresi vengono studiate ‘sul campo’ ovverosia in quanto ‘applicati’ al contesto italiano ed al suo peculiare assetto politico-sociale.
Una prima differenziazione cui Almagisti si applica sin dalle prime pagine è quella tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, l’una che il ricercatore bresciano ascrive al Contratto sociale rousseauviano, l’altra nel cui alveo si sviluppa necessariamente la storia della politica democratica dell’Italia quale “grande paese” (secondo lo stesso Rousseau, dopotutto, una democrazia pienamente diretta e in senso stretto partecipativa avrebbe potuto caratterizzare soltanto il governo di un paese “piccolo” e d’economia agricola). Orbene, la democrazia rappresentativa – come ben sottolinea Almagisti – è quella che si muove alla ricerca di una difficile intersezione tra procedure e valori democratici, ovverosia lungo la celebre linea Schumpeter-Dahl, in nome della quale in democrazia la ‘forma’, e quindi le regole, sono alla fine dei conti anche ‘sostanza’ da cui sorgono i valori precipuamente democratici quali l’eguaglianza, la giustizia, l’educazione universale, il government by discussion ed anche valori considerati più recenti quali la qualità della democrazia stessa e la necessità che gli eletti rendicontino circa il proprio operato.
Se pure Almagisti interviene circa la qualità della democrazia italiana da studiarsi, come messo in evidenza da Leonardo Morlino, secondo le cinque linee direttrici della rule of law, dell’accountability, della responsiveness, dei diritti umani (o meglio civili, politici e sociali) e dell’eguaglianza tra i cittadini, è forse l’evoluzione diacronica dei soggetti politici (e precipuamente i partiti intesi tradizionalmente come “corpi intermedi”) e dei territori del nostro paese ad apparire quale principale sostrato del libro. In questo senso la storia dei partiti politici è studiata a partire da quell’Occidente europeo in cui essi affondano le proprie radici attraverso una progressiva sottrazione di quote di potere prima ai re e poi all’intero sistema feudale e attraverso un graduale rafforzamento del sistema borghese come contraltare al sistema dei privilegi nobiliari ed ecclesiastici: ecco, quindi, la nascita dei partiti di notabili, l’affermazione del modello Westmister, la rivendicazione successiva di quel proletariato che in Europa occidentale incarna la base dei partiti politici di massa.
In Italia, in particolare, ad alcuni esponenti della Destra storica d’età monarchica quali Sidney Sonnino e Marco Minghetti viene ascritto l’imprescindibile merito di aver prima degli altri quasi profetizzato l’evoluzione della trama politico-sociale italiana nel senso di una piena e funzionante democrazia rappresentativa che contemplasse tutti i cittadini tra i suoi maggiorenti (proposta del suffragio universale da parte di Sonnino nel 1881) e che sancisse un’azione propriamente «sociale» in capo ai partiti politici intesi quali elemento di strutturazione e integrazione della società (in questo senso l’opera di Minghetti I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione di quello stesso anno).
Non può mancare il ricordo di un vizio originario della democrazia anche partecipativa, ovverosia quel plebiscitarismo, che sfocerà nel primo trentennio del Novecento ad ispirare le esperienze totalitarie in quanto, come ricorda Almagisti «negli anni Venti e Trenta del Novecento, la democrazia v[enne] cancellata dall’Europa continentale attraverso gli stessi istituti democratici» (p. 19). Ecco poi emergere nella più stretta attualità una diffusa tendenza alla cosiddetta disintermediazione, un fenomeno inasprito dalla mediatizzazione televisiva e dalla personalizzazione delle leadership ma in cui gli obiettivi partitici sembrano ormai svincolati dai grandi ideali dell’età delle ideologie così come da obiettivi più lungimiranti e di ampio respiro tanto sul piano nazionale quanto ai diversi livelli locali e sovranazionali (si pensi allo stato comatoso dell’Unione Europea).
Le relazioni tra capitale sociale e sistema politico vengono studiate in maniera significativa da Almagisti secondo la lezione cara a Robert Putnam circa la tradizione civica delle regioni italiane e l’evoluzione delle diverse subculture politiche che animano il tessuto dei territori, una chiave di lettura di estremo interesse in tempi in cui i messaggi politici che passano per la maggiore sembrano dimenticare i territori. Anche qui la storia politica torna alla ribalta, analizzata principalmente in relazione ai due contesti veneto e toscano (forse un esempio meridionale sarebbe stato apprezzabile proprio in nome della dicotomia elaborata da Putnam tra Centro-Nord e Sud del paese): è avvincente, per esempio, capire perché la storia veneta si sia contraddistinta nel rapporto tra «acque salse e terraferma» e quindi tra la laguna veneta ed i possedimenti di terra, un elemento che Almagisti giudica specifico del Nord-Est ma che in vero è rintracciabile ceteris paribus anche in altre storie locali, basti pensare a quelle delle altre Repubbliche marinare. In senso differente, la Toscana di oggi è il risultato di un policentrismo comunale in cui i diversi territori rivendicano una propria specificità dal potere centripeto di Firenze (si pensi alla specificità di Pisa rispetto a Firenze e della Valdelsa rispetto al suo capoluogo) e la frattura centro-periferia assume di conseguenza caratteristiche estremamente rilevanti insieme ad un tessuto in cui la ricchezza è principalmente lavoro di mercatura e quindi arricchimento borghese (nascita delle banche). Naturalmente le specificità territoriali valgono anche per altre regioni italiane come l’Emilia caratterizzata da una mezzadria operante su un latifondo particolarmente frammentato (in seguito il carattere principale della Regione sarebbe stato un mix sui generis tra riformismo e sovietismo), mentre altri problemi come la criminalità organizzata e il più risalente brigantaggio appaiono invero piuttosto diffusi su tutto il tessuto nazionale.
La visione “centrifuga” (la politica italiana non è solo a Roma) e l’attenzione costante ai problemi e alle specificità territoriali sono strumenti utilizzati da Almagisti ancor più nella descrizione dell’eterna transizione del sistema politico italiano del Dopoguerra, a partire dal tentativo di Aldo Moro di “sbloccare” gli ingranaggi di una democrazia sovente eterodiretta (o quanto meno “controllata” dal partner statunitense in ambito NATO) e sempre incapace di alternanza e sino ad arrivare alla svolta della Bolognina propugnata da Achille Occhetto in cui si annacquano giocoforza i valori comunisti e, per mezzo di un partito di massa dalla struttura adeguatamente alleggerita, si ambisce per la prima volta a trasformare il soggetto PCI-PDS non solo in partito rappresentante di interessi e rivendicazioni ma in pieno soggetto di governo.
Dire “non solo Roma” è un concetto accompagnato – nel momento in cui Almagisti passa a trattare della seconda Repubblica – da un’altra idea, ovverosia quella del “non c’è solo Berlusconi” (cfr. p. 195) e qui il volume prende a soffermarsi su un vero e proprio caleidoscopio di nomi, tipi umani e caratterizzazioni personali di diversi leader, ognuno dei quali all’affannata conquista dei propri spazi politici da sottrarre a Berlusconi, comunque lo si voglia leggere l’uomo simbolo del ciclo politico che si è appena concluso. Li conosciamo: Romano Prodi, Fausto Bertinotti, Antonio Di Pietro, Nichi Vendola, Umberto Bossi, Beppe Grillo, Pier Luigi Bersani, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi insieme ad altri caratteristi minori del teatro della politica italiana di oggi.
Tre questioni, mi pare, caratterizzano la chiusura del libro: la personalizzazione della leadership, le prospettive per la Lega Nord e il nodo della democrazia “diretta” propugnata dai Cinque Stelle. In merito alla prima questione, la tendenza che Almagisti nota è quella del disancoramento degli uomini politici alle proprie famiglie politiche: la politica italiana si fa, infatti, sempre più nazionale (e – non lo si legge e quindi lo si deduce “per assenza” – sempre meno di respiro internazionale) ma sembra obliare i territori, mentre i valori forti e le appartenenze si indeboliscono e giocoforza i programmi stemperano e sfumano i propri obiettivi per conquistare fette sempre più consistenti dell’elettorato. Accanto a questo fenomeno si assiste ad una messa in disparte del racconto dei territori sul piano pubblico, in un tempo in cui i sindaci e gli amministratori locali vengono percepiti e lasciati più soli e questo inibisce non solo l’informazione circa i problemi più specifici dei diversi contesti che solo di rado assurgono alla ribalta delle cronache, ma anche la possibilità di far leva su specificità e punti di forza da cui potrebbe intuirsi un’uscita dalla crisi (o almeno un tamponamento della crisi stessa). Ci sono infine, i soggetti eredi della protesta che si contendono lo scettro delle ali estreme dell’arco partitico rappresentativo, ovverosia la Lega Nord e il Movimento Cinque Stelle in cui un redde rationem su “chi sarà la Le Pen in salsa italica Grillo o Salvini?” non viene preconizzato da Almagisti.
I problemi più contingenti appaiono invece altri due al politologo dell’Università di Padova. Per quel che riguarda la Lega, in effetti, la domanda concerne quale leader raccoglierà l’eredità politica lasciata da Umberto Bossi, vero fondatore e vera anima del partito del Nord: la rosa è composta da tre nomi, l’abile Matteo Salvini capace di sdoganare il mito del Nord e di favorire un certo radicamento in molti territori diversi tra loro dal Nord al Sud del paese e alle isole, il cofondatore Roberto Maroni, più “istituzionalista” ma oggi tenuto più in disparte e Luca Zaia, dal volto più diplomatico rispetto agli estremismi del Senatur e più incline alla politica del “fare” e del “governare” piuttosto che agli slogan di pancia dell’attuale Segretario politico Salvini. Quanto ai Cinque Stelle, se mentre Almagisti scriveva il libro ancora non poteva essersi affacciato il problema del toto-assessori romano, la questione più spinosa sembra riguardare quella che Rousseau avrebbe chiamato il “rispetto della volontà generale” che arriva a prevedere la fisionomia di una vera e propria revoca del mandato imperativo sinora istituto ritenuto tra le tutele più significative del rappresentante politico sin dall’Ottocento, ovverosia la possibilità di esercitare la propria azione politica non in nome di interessi di parte o di territori ma dell’intera nazione. È un problema che potremmo definire di rapporto tra “democrazia dentro” il Movimento e “democrazia fuori” da esso e tocca il modo in cui si concilia una decisione presa a maggioranza all’interno di un movimento con l’interesse di tutta la collettività. È una questione che rimane insoluta per un soggetto politico che rivendica la sua aleatoria base sulla rete e per cui le vecchie appartenenze di “far parte di un gruppo” si allentano.
L’unico avvertimento che Almagisti rivolge ai diversi soggetti in campo nella politica italiana di oggi riguarda l’impegno a lavorare saggiamente secondo il celebre dettato di Wilde secondo cui «non esiste una seconda possibilità per fare una buona prima impressione» (p. 256) in quanto i margini di tolleranza che l’elettorato ha sviluppato per gli errori dei politici si sono fatti sempre più risicati e il pericolo dell’astensionismo e di una protesta che prenda forme diverse rispetto alla rappresentanza politica consolidata si fa sempre più pressante.
Titolo: Una democrazia possibile. Politica e territorio nell'Italia contemporanea
Autore: Marco Almagisti
Editore: Carocci
Pagine: 388
Prezzo: 30 €
Anno di pubblicazione: 2016