Da Reset-Dialogues on Civilizations
Da anni, ovvero almeno dal 2011, data di ascesa al potere per la prima volta nella storia del Marocco di un partito di ispirazione islamista (Il Partito della Giustizia e Libertà o Hizb al-‘adala wa at-tanmia, conosciuto con l’acronimo francese PJD), il Governo discute di una riforma dell’istruzione che dovrebbe combattere i mali strutturali del Paese: l’alto tasso di analfabetismo e la spaccatura interna al sistema educativo, tradizionalmente diviso tra un canale francese, destinato alla media e alta borghesia, ed un canale arabofono, riservato alle classi popolari più disagiate ed un’educazione universitaria a maggioranza francofona. Rispetto a riforme pressanti e richieste dalla UE, come quella del mercato del lavoro e dall’insoddisfazione diffusa della popolazione, evidente nelle manifestazioni di piazza del 2011 (parte delle Primavere arabe), quello dell’Istruzione sembra essere un intervento meno prioritario, tuttavia reso urgente dalla questione identitaria, che si è aperta proprio a seguito dell’ascesa per la prima volta al potere di un partito islamista.
Il PJD di Abdel-llah Benkirane – leader popolare del partito, che ancora oggi incassa circa il 48% dei consensi – ha fatto dell’ “arabizzazione della società marocchina” uno slogan chiave nella campagna politica del 2011, che lo portò al potere: un’arabizzazione che avrebbe dovuto idealmente riportare il Marocco alle sue origini e alla sua identità profonda di Paese arabo ed islamico, snaturato dal colonialismo. Un elemento sempre sottolineato dal Premier Benkirane nel suo famoso slogan: “Il francese non è una fatalità per il Paese”, con il quale intende sottolineare come lo sganciamento dell’eredità coloniale del Paese si debba operare in maniera netta e lineare abbandonando lo studio di questa lingua nelle scuole di ogni ordine e grado, in alcuni casi anche a profitto dell’inglese, accettato in quanto lingua delle scienze esatte e dell’economia.
Tuttavia, oltre alla questione linguistica, il PJD si appoggia anche al consenso che una riforma dell’istruzione porterebbe andando a beneficiare i ceti sociali più deboli attualmente esclusi dall’istruzione superiore tout court, perché impossibilitati ad acquisire i requisiti minimi di conoscenza del francese per continuare gli studi. Si tratta, quindi, di un punto nevralgico per il Paese, che vorrebbe dotarsi di un sistema di istruzione moderno capace di rispondere alle attese del mondo del lavoro del 21° secolo, ma che deve anche operare questa transizione con la preoccupazione di non lasciare indietro intere aree del Paese e milioni di giovani economicamente svantaggiati.
La riforma dell’Istruzione superiore si inserisce, dunque, in un contesto già fortemente problematico, che è quello di un sistema educativo complessivo che in Marocco non riesce ancora ad assicurare “l’égalité des chances” a tutti i suoi cittadini e che si scontra ancora con un analfabetismo diffuso, soprattutto nelle aree rurali. Vi sono numerosi fattori all’origine di questo ritardo: in primis, il budget limitato attualmente utilizzato per l’istruzione, che si aggira intorno al 4,5%. Oltre al problema delle risorse pubbliche, però, in Marocco si registrano strutturali problemi sociali di dispersione scolastica di cui nessun Governo finora ha voluto farsi carico: dalle statistiche della Banca Mondiale del 2015, si evince che ogni anno circa 340.000 studenti abbandonano la scuola e 172.000 bambini al di sotto dei 15 anni sono costretti a lavorare come manodopera a basso costo per mantenere le famiglie o per contribuire al troppo esiguo reddito familiare.
Secondo la World Bank, che pure considera globalmente positive le riforme economiche e sociali intraprese dal Paese, il 49% dei giovani marocchini compresi tra i 15 e i 24 anni sono “neet”, ovvero giovani che non studiano né lavorano – simili ai loro giovani vicini, gli hittistes algerini, così chiamati perché trascorrono le loro giornate appoggiati ai muretti delle strade, e i “bevitori di sole” tunisini. Si profila così una questione sociale che è comune a tutti e tre i Paesi arabi del Maghreb, ovvero una scelta dicotomica tra emigrare in Europa o arruolarsi in gruppi islamisti. In Marocco i giovani costituiscono quasi un terzo della popolazione e creare posti di lavoro per assorbire la pesante disoccupazione giovanile appare a tutta la classe politica una priorità evidente, ma in particolare lo è per il PJD, che si è imposto alla guida del Paese dopo la massiccia ondata di manifestazioni di piazza del 2011, alle quali intendeva dare una risposta, anche e soprattutto dal punto di vista sociale.
Inoltre vi sono altri due problemi strutturali relativi all’Istruzione che attanagliano il Paese: la spaccatura di genere e quella tra città e campagna. L’analfabetismo costituisce ancora una caratteristica importante della società, fenomeno che colpisce in particolar modo le donne (40%), ma specialmente quelle residenti nelle aree rurali (65%), una condizione che sembra contrassegnare un elemento marcante le zone di campagna. Se si compara, infatti, il tasso di analfabetismo delle aree di Casablanca (14%) alle campagne intorno a Essaouira (96%), il dato appare quantomeno allarmante, tanto è forte la dicotomia interna al Paese (dati HCP 2015, Haut Commissariat au Plan). La risposta del Governo per affrontare il problema fino ad oggi è stata quella di costruire più scuole elementari nelle aree rurali all’interno di progetti INDH (Iniziativa nazionale per lo sviluppo umano), un ente autonomo di sviluppo voluto dal Re, e altri finanziamenti para-pubblici contingenti e non strutturali, che non rispondono a bisogni ad esso legati, come la totale mancanza di insegnanti qualificati disponibili in queste aree.
Date le premesse, è difficile immaginare come il progetto “Vision pour l’éducation au Maroc 2015-2030” lanciato dal CSE (Consiglio Superiore dell’Educazione) possa riuscire a promuovere quella “scuola nuova, eccellente ed egalitaria, accessibile alla maggioranza dei cittadini marocchini” che nominalmente si prefigge. Il rapporto CSE identifica, infatti, tre sfide maggiori: rendere la scuola accessibile a tutti (inclusi i bambini provenienti dalle aree rurali), migliorare l’apprendimento lunguistico (arabo, inglese e francese) e la qualità dell’insegnamento. I principali inconvenienti alla riforma consistono, però, nella mancanza di risorse e nell’assenza di incentivi per trasferire insegnanti qualificati nelle aree rurali.
La volontà politica del Governo e della Monarchia di rilanciare l’Istruzione appare, inoltre, quantomeno contradditoria. Tra il 2008 e il 2013, 91 scuole primarie e secondarie concentrate nelle aree urbane di Casablanca e Rabat sono state chiuse a vantaggio della creazione di scuole private. Un trend che ben si spiega con la volontà governativa di sgravarsi dal pesante fardello finanziario rappresentato dall’educazione, ma che mal si concilia con le promesse di una scuola pubblica di qualità.
Al contempo, gli ultimi mesi hanno visto un dibattito accesso interno al Governo tra esponenti del PJD e di altri partiti -come l’attuale Ministro dell’istruzione Belmokhtar, sostenuto dal Re Mohammed VI- sulla proposta del partito islamista di ridurre progressivamente l’impiego del francese come principale lingua di insegnamento, a favore dell’arabo o dell’inglese. Il dibattito si è risolto a favore del Ministro dell’istruzione, che ha annunciato che dal prossimo settembre 2016 il francese verrà introdotto dalla prima elementare e l’inglese dalla quarta e che l’insegnamento delle materie scientifiche e quello universitario avverranno quasi esclusivamente in queste due lingue europee. Una soluzione fortemente auspicata dal Re Mohammed VI, che, sulla scia dell’eredità del francofilo padre Hassan II, non vuole rinunciare alla formazione di una classe di tecnici e professionisti orientata verso il mercato internazionale del lavoro e l’UE.
Infine, se la questione delle lingue è davvero il fulcro della riforma dell’istruzione in Marocco, la grande assente resta la lingua Amazigh, che, come prescritto nella nuova Costituzione del 2011, avrebbe dovuto essere gradualmente introdotta ad ogni ordine e grado nelle scuole pubbliche del Regno, ma che rimane completamente oscurata tanto nel dibattito sulla scuola che in quello che concerne l’università, nonché completamente priva di fondi e risorse.
Tuttavia occorre chiedersi se questo dibattito polarizzante ed identitario sull’uso e la scelta delle lingue non nasconda, piuttosto, l’assenza di una vera volontà politica di riformare il sistema dell’Istruzione in un momento in cui l’ondata protestataria è venuta scemando e la “controriforma” è ormai in vigore in tutti i Paesi della regione, spazzando via la giovane e controversa eredità delle Primavere arabe.
Il rapporto sull’Istruzione e la Formazione dei giovani nel Mediterraneo del Segretariato UfM del 2015 rivela che in Marocco più del 52% dei giovani continua a non terminare le scuole superiori, che poco più del 10% riesce a laurearsi e che comunque il mercato del lavoro marocchino è tuttora incline a premiare giovani senza qualifiche piuttosto che titolari d’istruzione superiore (il 43% dei disoccupati in Marocco è costituito da diplomati). Inoltre la qualità dell’insegnamento è in costante peggioramento: un collasso testimoniato dall’alto tasso di rigetto delle domande di laureati marocchini alle università francesi nel 2015-2016.
Sommato alla cronica mancanza di risorse, è possibile prevedere che gli standard educativi in Marocco continueranno a crollare e questo di fronte ad una popolazione a maggioranza giovane (28 anni in media), che non trova lavoro in patria e incontra crescenti difficoltà ad emigrare in Europa ed altrove. Sembra, quindi, che il dibattito sull’istruzione non sia più rimandabile e che possa rappresentare un problema non soltanto nazionale, ma una questione sociale profonda, specchio di un malessere tipicamente mediterraneo e pronta a scoppiare in qualsiasi momento. Un disagio sociale che un partito islamista, limitato nei suoi poteri di governo e intrappolato in battaglie ideologiche, ed una monarchia decisamente predatoria non riescono o non vogliono affrontare, con il rischio di alienare una generazione di giovani marocchini, ma anche di causare potenzialmente una nuova crisi sociale alle porte dell’Europa.
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