Il Corriere della Sera ha in apertura una foto che ritrae poliziotti brasiliani a cavallo intenti a disperdere manifestanti: “Il ritorno di Lula infiamma il Brasile. Sospesa la nomina”, “Scontri e intervento del giudice”.
A centro pagina: “Verdini, lite sulla condanna”, “Due anni in primo grado al senatore: corruzione per l’appalto alla Scuola Marescialli”, “Sinistra dem all’attacco con 5 Stelle e Lega. Il Pd: non governa con noi”.
Più in basso, sulla “frattura di Roma” nel centrodestra: “E Berlusconi torna in tv: ‘IO combatto’”.
Sul Pd e il referendum sulle trivellazioni: “I democratici verso l’astensione sulle trivelle”.
In prima i titoli dal vertice Ue: “Renzi e i migranti: ora non siamo soli”.
Sull’elezione del prossimo presidente di Confindustria: “Gli imprenditori (a sorpresa) ripartono dalle persone”, scrive Dario Di Vico.
L’editoriale firmato da Michele Salvati è dedicato agli squilibri macroeconomici mondiali: “Le scelte da pensare per l’Italia”.
La Repubblica apre con le parole del segretario di Stato Usa John Kerry: “’Fermiamo il genocidio Is’”, “Kerry: impediremo nuove stragi. Pinotti sulla missione in Libia: non sarà un altro Iraq. Vertice Ue sugli immigrati, ultima offerta alla Turchia: accordo a rischio con Erdogan”.
Con il “retroscena” di Gianluca Di Feo: “Operazione Tripoli, i generali frenano”. E l’analisi di Tymothy Garton Ash: “La sfida della Merkel tra Mosca e Ankara”.
A centro pagina, con foto di manifestazioni di protesta in Brasile: “Lula superministro, rivolta in Brasile”.
A sinistra i titoli sulla politica italiana: “Verdini, due anni per corruzione. La sinistra pd: basta con questi alleati pericolosi”.
E la rubrica “il Punto” di Stefano Folli, sul caso Verdini: “Il prezzo da pagare”.
A fondo pagina, “L’intrigo di Vatileaks”: “Il monsignore a Dubai con i falsi test del Papa”. Ci si riferisce ad un misterioso viaggio a Dubai di Vallejo Balda in compagnia dell’ex colonnello del Ros Giuseppe De Donno.
Di fianco: “I rettori contro i papà: non scegliete per i figli”. In occasione degli Open Day, è questo l’appello lanciato dal rettore del Politecnico di Milano.
Sulla colonna a destra, l’inchiesta: “Cinquecento giorni per un esame. L’attesa infinita dei pazienti d’Italia”, “Indagine di Repubblica in 10 città. E a Roma ci sono ospedali dove non si può neppure prenotare”. Inchiesta di Michele Bocci. Associata ad un commento di Umberto Veronesi: “La partita della prevenzione”.
La Stampa: “Europa, ultima offerta alla Turchia”, “’Ankara riprenda i migranti illegali in cambio di finanziamenti’. Londra: allarme profughi dalla Libia”, “Bruxelles, Draghi spiega la sua politica monetaria al vertice dei leader: ‘Ho fatto la mia parte, voi fate le riforme’”.
In prima un colloquio di Marta Dassù con l’economista Jeffrey Sachs: “L’Italia proponga un piano per il Mediterraneo’”.
A centro pagina, foto dello striscione di Greenpeace “Stop trivelle”, in una spettacolare ansa di mare: “’Asteniamoci’, il Pd si spacca anche sulle trivelle”, “Nuova sfida nel partito. La segreteria: consultazione inutile. La minoranza: chi l’ha deciso?”.
Più in basso, le elezioni amministrative, con un’intervista al leader della Lega Nord Salvini: “’Berlusconi è mal consigliato. Ncd a Milano diverso da Roma’”.
Di fianco: “Verdini condannato a 2 anni. Lega e 5Stelle, attacco a Renzi”.
In apertura a sinistra un commento di Andrea Montanino sulle primarie Usa: “Trump-Hillary e quella forbice da ridurre”.
Poi “il caso” raccontato da Paolo Mastrolilli: “’Cybersecurity, Italia debole senza una sola authority’”, “L’ex capo dell’Fbi a Roma: ‘Il vostro Paese è esposto al pericolo di attacchi’”.
Sulla colonna a destra, Rocco Moliterni interviene sul caso Politecnico: “La mia storia di fuori corso da 43 anni”.
A fondo pagina il “Buongiorno” di Massimo Gramellini: “Denis e Lula hop” (mentre in Brasile Dilma Roussef è arrivata a nominare Lula ministro pur di evitargli l’arresto, in Italia nessuno pensa di offrire un posto di governo a Verdini, “ci si limita a tenerlo dentro la maggioranza: a portata di mano, pulita o sporca che sia”).
Il Fatto, con due diverse foto che ritraggono Renzi con Verdini e poi Renzi con Confalonieri: “I condannati del Nazareno”, “Sentenze. Verdini, Confalonieri e Pier Silvio, tifosi berlusconiani del patto con Renzi”, “1. A Verdini, architrave della maggioranza al Senato e coautore del ddl Boschi, 2 anni per corruzione in primo grado nello scandalo dell’appalto truccato per la Scuola dei Marescialli di Firenze”; “2. A Confalonieri e Pier Silvio B., capifila dell’ala dialogante di Mediaset col governo, 14 mesi in appello per forde fiscale. Pena ridotta grazie ai nuovi tetti della legge Renzi”.
Alle vicende giudiziarie di Verdini e al suo ruolo di “architrave” per il governo Renzi e per il disegno di legge di riforma costituzionale è dedicato l’editoriale del direttore Marco Travaglio: “Il Ricostituente”.
A centro pagina: “Trivelle, Pd come Craxi e Ruini: ‘Non votate, andate al mare’”, “Referendum, l’astensione comunicata all’Agcom: ‘La consultazione è inutile’”, “Minoranza all’attacco. Nomine e decreti: ecco come hanno smontato quello sull’acqua del 2011’”.
In prima l’intervista a Carlo Verdone: “’Un sacco brutta: Roma è in rianimazione’”, “’La città è tornata al Medioevo, chiunque vinca le elezioni -in lizza sono così tanti che sembrano una squadra di calcio- deve sapere che siamo all’ultima spiaggia’”.
A fondo pagina: “Mani Pulite carioca”, “Brasile, il giudice stoppa il gioco sporco di Lula & Roussef”, di Giuseppe Bizzarri.
Il Giornale: “Banche, Renzi deve pagare”, “I furbetti di Etruria & C”, “La Ue gela il governo: i clienti truffati vanno subito risarciti. Un altro colpo in arrivo per i già fragili conti dell’Italia”.
In apertura a sinistra: “Politica nel caos”, “Verdini condannato ora imbarazza mezzo Pd. E nell’ex centrodestra volano parole grosse”.
Il commento di Adalberto Signore: “Ma Salvini è tutta la Lega?”.
Più in basso, sul referendum sulle trivellazioni: “La fronda attacca sul referendum. E I Dem si ‘trivellano’ a vicenda”.
A centro pagina: “Brasile sull’orlo della rivoluzione”, Dilma nomina Lula ministro per salvarlo dal carcere. Tumulti di piazza”.
Sulla “emergenza immigrazione”: “Obama & Merkel, i big ammettono: ‘Sulla Libia Berlusconi aveva ragione’”.
A fondo pagina: “L’islam ombelico del mondo. E anche l’arte vola a Dubai”.
Verdini e i senatori del suo gruppo Ala
Il Tribunale di Roma ha condannato ieri Denis Verdini a due anni per concorso in corruzione nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per la ristrutturazione della scuola Marescialli a Firenze.. Sul Corriere: “Verdini condannato. M5S e sinistra all’attacco”, “Due anni per concorso in corruzione per la Scuola Marescialli. E lui: amareggiato, finirà in prescrizione. I 5 Stelle: Renzi governa con un pregiudicato. Accuse dalla Lega. La minoranza pd: situazione imbarazzante”. Ne scrive Alessandro Trocino, precisando che c’è la sospensione della pena. Secondo l’accusa, il senatore di Ala si sarebbe attivato per aiutare il costruttore Riccardo Fusi, segnalando il nome di Fabio De Santis come provveditore alle opere pubbliche in Toscana all’allora ministro Altero Matteoli (per i suoi difensori avvenne “in una sola circostanza”).
Su La Repubblica: “Verdini, 2 anni per corruzione. Riparte lo scontro tra i dem”, “La minoranza pd attacca: basta l’asse con lui. I renziani: non governa con noi, si applicherà la Severino. Accuse dal M5S. L’ex forzista condannato per l’appalto alla scuola dei Marescialli”. E a pagina 11 Franca Selvatici descrive il personaggio: “Banche, immobili e P3, record di processi per Denis uomo d’affari”, “Dalla bancarotta alla truffa fino al condizionamento di organi costituzionali attraverso il sodalizio con dell’Utri. Ecco il Verdini in versione imputato”. E di fianco la rubrica “il Punto” di Stefano Folli: “per il premier non cambia nulla ma c’è un prezzo da pagare”, “Renzi ora è più debole di fronte ai dissidenti del suo partito”, “sul piano del realismo politico i verdiniani non modificheranno la loro strategia”, “ma il nuovo risvolto giudiziario dà un altro vantaggio ai 5Stelle”.
Il Fatto, pagina 2: “Pressioni sull’amico Matteoli. Prima condanna per Verdini”. L’inchiesta sulla scuola dei Marescialli a Firenze, scrive Davide Vecchi, “è uno dei capitoli della maxi indagine sulla Cricca delle Grandi Opere e risale al 2008. A febbraio la Cassazione ha confermato le condanne per corruzione aggravata a carico di tutti gli attori coinvolti: due ex dirigenti ministeriali (Angelo Balducci e Fabio De Santis), i costruttori Riccardo Fusi della Btp e Francesco Maria Piscicelli, l’imprenditore che è stato intercettato mentre rideva della tragedia del terremoto a L’Aquila. Verdini era imputato con loro ma la sua posizione è stata stralciata in attesa dell’autorizzazione da parte del Parlamento. Il suo ruolo nella vicenda è legato alla nomina di De Santis a provveditore dei lavori pubblici per la Toscana. Nomina decisa nel 2008 dal ministro Matteoli su sollecitazione di verdini. De Santis sarebbe poi intervenuto, con l’intermediazione di Piscicelli, a fare assegnare l’appalto della scuola Marescialli alla Btp di Fusi che aveva perso la gara”; “il fatto che Verdini abbia fatto pressioni su Matteoli inquadra il reato di corruzione”.
A pagina 3: “Voti, favori e poltrone. Il patto Matteo-Denis che vuole dire ‘fiducia’”, “Il Partito della Nazione tra ex renziani ed ex berlusconiani è nato al Seanto con i numeri determinanti del gruppo Ala”, scrive Fabrizio D’esposito.
Descrive “il personaggio” Denis Verdini Mario Ajello u Il Messaggero: “Denis, da indispensabile al Senato a tallone d’Achille della maggioranza”, “A Palazzo Madama il suo gruppo decisivo per i numeri. E’ l’incarnazione del politico che è anche businessman”. E “un animale di sottobosco di potere e pratico all’ombra del governo, i cui pesi e le cui misure sa valutare benissimo -tanto è vero che i report che confezionava per Berlusconi ora li confeziona per i nuovi titolari- al punto che esiste un Manuale verdini che è la forma riveduta e corretta del proverbiale Manuale Cencelli. Avere la presidenza della Camera vale 100 punti:; un ministero 60; un incarico da sottosegretario 20”.
Su Il Giornale: “Tensione in maggioranza per la condanna di Verdini”, “Due anni per corruzione al leader Ala. La fronda Pd ne approfitta per attaccare Renzi: noi te l’avevamo detto. Gotor: fra il premier e l’ex di Forza Italia c’è un sodalizio antico”, scrive Laura Cesaretti.
Referendum trivelle
La Stampa: “Renzi si astiene sulle trivelle. Il referendum spacca il Pd”, “I vicesegretari Guerini e Serracchiani: quesito inutile, dette tante bugie. La minoranza: ‘Chi ha deciso?’ Anche il governatore Emiliano insorge”. Spiega Roberto Giovannini che è esploso lo scontro nel Pd in vista del referendum del 17 aprile: nel corso di una giornata -attraverso una comunicazione del Pd all’Agcom sulla gestione degli spazi elettorali tv- finalmente è stata certificata l’intenzione del presidente del Consiglio di lavorare per il sabotaggio del referendum. Che è stato promosso da dieci Regioni: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Presiedute in molti casi da esponenti Pd, le cui strutture locali sono aspramente contrarie alle trivelle. Il primo ad alzare la voce è stato il Presidente della Puglia, Michele Emiliano: “Non mi risulta che il Partito Democratico abbia assunto nell’assemblea, che si è svolta pochi giorni fa, alcuna decisione su questo punto così nevralgico per la politica energetica del Paese. Credo che si tratti di un refuso burocratico ma se non fosse così deve essere cambiato lo Statuto” del Pd.
A pagina 9 l’analisi di Luigi Grassia: “In gioco 64 piattaforme. La paura è il disastro in mare”, “Ma fino a 12 miglia dalla costa le perforazioni sono già bloccate”. Con le opinioni a confronto di Enzo Di Salvatore, cofondatore del Coordinamento No-triv: “Se noi No triv perdiamo, la corsa al greggio riparte”; e di Alberto Clò, già ministro dell’Industria, ex consigliere di amministrazione Eni (“Questo è l’unico Paese che rinuncia all’oro nero”).
Su Il Fatto: “Trivelle, il Pd si astiene. E’ contro le sue Regioni”, “Serracchiani e Guerini: ‘E’ inutile’. Minoranza dem e ambientalisti in rivolta”, “Botta e risposta. ‘Il voto costa 300 milioni’. La replica di Emiliano: bastava accorparlo alle amministrative’”.
La Repubblica: “Trivelle, lite nel Pd. ‘No al diktat dell’astensione’”, “La sinistra protesta: ‘Scopriamo dalla Agcom la posizione del partito, chi l’ha decisa?’. Guerini: voto inutile, in direzione vedremo chi ha i numeri”.
Centrodestra, Lega, Fdi
Su La Stampa, intervista di Alberto Mattioli al leader della Lega Nord: “Salvini: rispetto Berlusconi ma con lui gente di vent’anni fa”, “Noi con l’Ncd? A Milano è un partito diverso che a Roma”; “Bossi voterebbe Bertolaso? Mi insegnò ad ascoltare la gente: chieda ai romani di Bertolaso”.
E sulla stessa pagina: “E il Matteo padano sta rottamando anche i vecchi Maroni e Calderoli”, “Il leader leghista fa spallate anche dentro casa”, scrive Amedeo La Mattina.
“L’offensiva di Salvini farà resuscitare il Nazareno”, scrive su Libero il direttore Maurizio Belpietro: “Fdi e Laga puntano a liberarsi di Berlusconi e conquistare il centrodestra. Così spingeranno il Cav a lasciare l’opposizione per unirsi al centro che sostiene l’esecutivo”. Parlando della sfida di Roma, Belpietro sottolinea che la posta in gioco non è il Campidoglio, ma chi in futuro guiderà il centrodestra: “Bertolaso è il mezzo, non il fine. Matteo Salvini e Giorgia Meloni lo usano, ma il fine resta Silvio Berlusconi”, “Salvini e Meloni si vogliono liberare di lui” per prepararsi alla sfida elettorale del 2018. Stanno facendo “un favore a Renzi”. Cosa accadrebbe se Berlusconi uscisse dal voto di Roma “suonato?”. Non gli resterebbe che “unirsi al blocco di centro” che oggi sostiene il governo: così avremmo un blocco antisistema costituito da M5S, un centrodestra dimagrito con Fratelli d’Italia e Lega, un grande schieramento di Centrosinistra e probabilmente, un raggruppamento di sinistra.
Ue, migranti
Su La Repubblica, pagina 2: “Migranti, braccio di ferro tra Ankara e l’Europa, l’ultima offerta della Ue”, “Stop a Davutoglu su visti, rifugiati e finanziamenti. Londra: ora l’Italia rischia nuovi flussi dalla Libia”. Ne scrive Andrea Bonanni da Bruxelles. In basso il “retroscena” di Alberto D’Argenio, che riferisce le parole del presidente del Consiglio Mattero Renzi così: “Va bene l’accordo con la Turchia, ma sia chiaro che farà da precedente, le regole per Ankara dovranno essere valide anche per gli altri Paesi da cui ci attendiamo flussi”. Il premier -scrive D’Argenio- punta a ottenere che il sostegno alla Turchia per chiudere i flussi verso la Grecia in futuro valga anche per le rotte che dovessero sostituire quella dell’Egeo. E a tutti è chiaro che Renzi intende l’Albania: “Se domani i rifugiati bloccati in Grecia dovessero affacciarsi sull’Adriatico -avrebbe detto ai suoi, l’Unione dovrà impegnarsi ad aiutare Tirana a fermare i flussi”.
A pagina 3 un lungo articolo di Marco Ansaldo dedicato alla Turchia: “profughi, guerra e terrorismo, il Paese dove si gioca la partita finale”, “La trattativa è diventata l’ultimo banco di prova per Erdogan che affronta una forte crisi diplomatica ed economica. Con il rischio di rivolte di piazza”. E’ un Paese in guerra: con operazioni dell’esercito contro il Pkk in molti centri del Sud est e le città più importanti dell’ovest a rischio attentati. Un Paese che ora ha pessimi rapporti con Russia e Israele, con il turismo bloccato dalla paura e con il rischio di diventare il prossimo problema internazionale. E Ansaldo spiega i quattro fronti caldi: i migranti (ospita 2 milioni e mezzo di profughi; ai 3 miliardi richiesti alla Ue se ne sono aggiunti altri 3); la Siria, dove l’ex amico Assad ha respinto “le mire espansionistiche”; gli attentati, con il fronte aperto con i curdi e “i diritti”, con le forti pressioni esercitate da Erdogan su stampa libera e intellettuali.
Su La Stampa, pagina 3, Marco Zatterin, da Bruxelles, dà conto del vertice Ue e della posizione comune che sarebbe stata adottata intorno alla mezzanotte: rimane salvo il principio del respingimento degli irregolari, e quello dell’accoglienza di un siriano dai centri dell’Anatolia per ogni illegale allontanato dalla Grecia. Poche le concessioni finanziarie, sulla liberalizzazione dei visti chiesta dalla Turchia e sui capitoli del negoziato di adesione (Cipro tiene una riserva), il che bastava a far registrare un clima di ottimismo. Con un’incognita: come la prenderà il premier turco Davutoglu?
Sul Corriere, intervista allo storico Tzvetan Todorov di Stefano Montefiori: “Il problema non va posto un termini solo morali. L’accoglienza ci conviene”, Merkel “si è semplicemente dimostrata più lucida. Ha pensato all’avvenire del suo Paese a lungo termine e ha potuto permetterselo perché era un leader popolare, forte. Ha capito che alla distanza queste persone -spesso istruite, dinamiche, vogliose di recuperare delle condizioni di vita decenti-faranno del bene alle nostre economie e alle nostre società. La diversità è un fattore positivo”; “Oggi i leader europei sono paralizzati dalla paura di un voto xenofobo, le scadenze elettorali fanno sì che i governi abbiano paura di prendere le decisioni più giuste. Ma io confido che arriveranno delle congiunture più favorevoli, dei leader capaci di pensare al futuro dei loro Paesi e non alla prospettiva di qualche mese”,
Su La Stampa, a pagina 3, il colloquio di Marta Dassù con l’economista Jeffrey Sachs, consigliere del segretario generale Onu Ban Ki Moon per i problemi dello sviluppo sostenibile, che dice: “’Bruxelles guarda a Nord. L’Italia promuova un piano per il Mediterraneo’”, “L’attuale crisi dei rifugiati causata dagli errori degli Usa in Libia e Siria”. L’Italia -dice Sachs- “ha l’occasione di lanciare un grande piano per il Mediterraneo. Può farlo e deve farlo. Anche perché Bruxelles guarda costantemente troppo a Nord”. Per Sachs le priorità di un Piano per il Mediterraneo sono tre: l’aumento della sicurezza alimentare in Maghreb e in Africa (e Dassù ricorda come le rivolte arabe dal 2010 in poi siano nate da fame e siccità); l’accesso all’educazione per una popolazione in rapidissima crescita e la sostenibilità energetica.
Isis, Libia
Su La Repubblica gli articoli di Vincenzo Nigro e Federico Rampini focalizzano l’attenzione sulle parole del segretario di Stato Usa John Kerry e sulla posizione dell’Italia su un possibile intervento in Libia. Più precisamente, si dà conto della reazione del ministro degli Esteri Gentiloni all’intervista che ieri il quotidiano ha pubblicato al presidente egiziano Al Sisi, che sconsigliava un intervento in Libia e suggeriva il sostegno al generale Haftar, uomo forte del governo di Tobruk, e al suo Esercito nazionale libico. “Kerry: ‘Genocidio dell’Is’. Gentiloni ad Al Sisi: ‘In Libia governo di unità’”. Le parole di Gentiloni: in Libia “c’è bisogno di una soluzione unitaria che riconcili le diverse componenti e anime del Paese, e la soluzione di riconciliazione non può essere messa nelle mani di Haftar”. Ieri, poi, sul fronte della lotta all’Isis, è stata molto importante -sottolinea Nigro- la dichiarazione del segretario di Stato Usa John Kerry: “L’Is sta compiendo un genocidio di cristiani, yazidi, e della minoranza sciite in Siria e in Iraq. L’Is uccide i cristiani perché sono cristiani, gli yazidi perché sono yazidi, gli sciiti perché sono sciiti. Faremo il possibile per fare in modo che gli autori ne rispondano”. A questo tema è dedicata l’analisi di Renzo Guolo: “la resistenza della fede e la violenza dei jihadisti”.
Più in basso, Federico Rampini da New York spiega “la nuova strategia Usa” e il piano “per mandare i terroristi a un tribunale internazionale”: “Più raid, forze speciali e pressioni sull’Onu, la nuova strategia Usa”. Rampini ricorda che sull’uso del termine “genocidio” c’è un solo precedente: il Darfur nel 2004. Non è in vista l’invio di truppe terrestri americane ma, per l’appunto, il rafforzamento delle azioni militari citate. Il portavoce del Dipartimento di Stato Toner ha precisato che l’accusa di genocidio “ha prima di tutto un valore morale”, non comporta un obbligo di intervento umanitario che vada oltre quello che gli Usa stanno già facendo.
A pagina 7 Gianluca Di Feo scrive di una teleconferenza sulla Libia tra ministri della Difesa Ue di tre giorni fa: “Caos e scontri tra milizie, i ministri della Difesa frenano sull’intervento”, “mentre i leader politici dei Paesi europei spingono per un’accelerazione, i vertici militari hanno avvertito: ora la situazione è troppo confusa per una missione in terra libica”.
Brasile
Sul Corriere, a pagina 2: “Da Rio a San Paolo, il Brasile è in piazza”, “Lula si insedia come ministro, un giudice lo sospende. Ancora proteste. E il Parlamento nomina la commissione per l’impeachment di Roussef”. Scrive Roberto Cotroneo che la nomina a ministro dell’ex presidente Lula ha scatenato una guerra giuridica e ha spaccato il Brasile in due: pochi minuti dopo la cerimonia di giuramento, un giudice ha annullato il decreto di nomina. Il governo ha fatto a sua volta ricorso e ora si aspetta la decisione della Corte Suprema. Il giudice Sergio Moro, coordinatore della “Mani Pulite” brasiliana, con una mossa spericolata e polemica, ha messo in circolazione una serie di intercettazioni che proverebbero episodi di corruzione ed una telefonata della Roussef allo stesso Lula: parlano del decreto di nomina e dell’urgenza di far pervenire al neoministro un pezzo di carta “in caso di necessità”. Cotroneo riferisce anche delle azioni dei sostenitori del governo che, su Facebook, hanno fatto sapere che il giudice che ha sospeso la nomina di Lula a ministro, Itagiba Preta Neto, aveva partecipato alle marce per l’allontanamento della Roussef, con tanto di selfie. A pagina 3, intervista a Diogo Mainardi, critico letterario e giornalista italo-brasiliano, creatore del sito di notizie “O Antagonista”, che è diventato in breve il catalizzatore della protesta (150 milioni di pagine viste al mese, 5 milioni di utenti unici). Dice: “non ho dubbi, siamo all’atto finale. La Roussef cadrà per impeachment nei prossimi 30-40 giorni e Lula sarà processato”. Di fianco, intervista a Frei Betto, teologo della liberazione, che difende Lula: “E’ un leader storico e le masse lo amano. Temo un golpe bianco”. Dice che “Lula è il più importante leader di massa del Brasile”, “Accettando l’incarico di ministro, però, ha preso una decisione rischiosa”, se la Roussef finisce il suo mandato nel 2018 con un consenso inferiore al 10%, Lula non potrà candidarsi alla successione. E se venisse costretto a dimettersi? “E’ come se si licenziasse il Partito dei Lavoratori dal governo”. Lula, dice Betto, “ha tirato fuori dalla miseria 40 milioni di persone, ha reso indipendente e sovrana la politica estera del Brasile e ha terminato due mandati presidenziali con un’approvazione superiore all’80%”. Che opinione ha dell’inchiesta? “E’ molto buona, necessaria, importante, ma il giudice Sergio Moro penalizza quasi esclusivamente il Pt e la gente legata al Pt, non ha mai messo in carcere politici di altri partiti importanti o imprenditori legati ad esso”.
La Repubblica: “Un giudice blocca la nomina di Lula a superministro. Roussef: ‘Questo è un golpe’”. Daniele Mastrogiacomo sottolinea come la diffusione dell’intercettazione al limite della legalità, tra la Roussef e Lula, stia trascinando il Paese in un clima denso di incognite. A pagina 17, l’articolo di Omero Ciai: “I due presidenti e il magistrato che sogna un altro Watergate”, “Sergio Moro, fan del ppol di Mani Pulite, è lo spregiudicato titolare dell’inchiesta ‘LavaJato’ che sta mettendo in crisi i leader della sinistra al potere dal 2003”.
Su Il Fatto l’articolo da San Paolo di Giuseppe Bizzarri: “Intercettazioni e ricatti: in Brasile si gioca sporco”, “La giustizia blocca la nomina di Lula. Roussef ricorre e accusa: ‘Iniziato il golpe’”.
Kurdistan
Su La Stampa un articolo di Giordano Stabile a pagina 15: “Proclamata la nascita del Kurdistan siriano. Assad: incostituzionale”, “Decisivi i successi militari e gli aiuti di Usa e Russia. E’ il primo passo per la creazione di uno Stato federale”. Una “Federazione della Siria del Nord” è stata proclamata ieri dalle principali forze politiche locali, guidate dall’Unione democratica curda, il Pyd. Centocinquanta delegati curdi e alleati arabi hanno quindi deciso di rompere gli indugi e creare una regione autonoma unificata, sul modello del Kurdistan iracheno. E’ il primo passo verso una Siria divisa fra curdi, alawiti e sunniti. Difficilmente per i crudi si ripresenterà un momento così propizio. Hanno il controllo militare del territorio. Ricevono aiuti sia dai russi sia dagli americani. Il principale nemico in Siria, l’Isis, è in ritirata. Il governo centrale di Assad non ha la forza né l’interesse, in questo momento, di contrastarli. Il principale avversario esterno, la Turchia, è frenata dagli americani, che vedono nei curdi la forza più efficace contro l’Is, e dalla presenza militare russa.
E poi
Su Il Fatto, intervista a Marcello Maddalena, fino a due mesi fa Procuratore generale a Torino: “’Stop ai veti e agli interessi’. Davigo deve guidare l’Anm’”, “L’ex procuratore di Torino sostiene l’ex pm di Mani Pulite oggi candidato alla presidenza dell’Assomagistrati”.
Su Il Fatto Andrea Giambartolomei racconta da Torino il debutto dell’ex ministro delle Finanze greco Varoufakis, durante una lectio magistralis all’International University College del capoluogo piemontese: “Varoufakis: ‘L’Europa non si cambia, va rifatta’”, “Ieri a Torino, mercoledì l’assemblea del movimento” DiEM25 (ovvero Democracy in Europe Movement).