Da Reset-Dialogues on Civilizations
Contrariamente a ciò che molti potrebbero pensare, in un Paese illiberale come l’Iran le elezioni rappresentano ben più di una mera manifestazione esteriore della politica. Gli esiti delle consultazioni costituiscono infatti una prova di forza per i centri del potere iraniani in concorrenza tra loro. L’ultimo weekend di febbraio, gli iraniani si sono recati in massa alle urne per eleggere i membri dell’Assemblea Consultiva Islamica, il parlamento del Paese, e gli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, l’organo che avrà il compito di scegliere la prossima Guida suprema che prenderà il posto dell’Ayatollah Ali Khamenei. Era la prima volta che le elezioni per la nomina dei due organi politici si svolgevano in contemporanea.
L’esito delle elezioni – le prime dall’inizio del mandato presidenziale di Hassan Rohani, nel 2013, e le prime dopo l’epocale accordo sul nucleare stipulato con gli Stati Uniti e altre cinque potenze mondiali, a luglio del 2015, che ha determinato una riduzione delle sanzioni contro l’Iran – ha favorito in misura significativa moderati e riformisti, portando a una marginalizzazione degli esponenti della linea dura. La massiccia affluenza alle urne – secondo il ministro degli Interni Abdolreza Rahmani Fazli, su circa 55 milioni di persone aventi diritto di voto il 26 febbraio avrebbero effettivamente votato più o meno 34 milioni di elettori – è un dato importantissimo. Senza alcun dubbio, il risultato espresso corrisponde a una manifestazione di grande appoggio popolare alla politica di “costruttivo e dignitoso impegno nei confronti del mondo” promossa da Rohani.
Ben consapevole delle resistenze conservatoriste con cui avrebbe avuto a che fare, Rohani ha scelto l’unica via praticabile sposando l’arte di un fondato compromesso e alleandosi con le forze pragmatiste di centro per far fronte comune contro la base di potere sostenitrice della linea dura in seno al parlamento iraniano e all’Assemblea degli Esperti.
Nel periodo precedente le elezioni è emerso un significativo allineamento tra le tre figure chiave della Rivoluzione Iraniana – nello specifico Hassan Rohani, Akbar Hashemi Rafsanjani e Hassan Khomeyni, nipote dell’Ayatollah Khomeyni – che, puntando sull’Assemblea degli Esperti, hanno cercato di mettere in ombra figure ultraconservatrici come Ahmad Jannati e Mohammad Taqi Mesbah Yazdi, aggiudicandosi la vittoria su coloro che erano stati al potere fin dall’elezione dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad nel 2005. L’obiettivo più straordinario raggiunto da questa loro efficace strategia è stata la sconfitta a Teheran dell’Ayatollah Mohammad Taqi Mesbah Yazdi, esponente della linea dura dell’Assemblea degli Esperti.
Malgrado il Consiglio dei Guardiani, l’influente organo di supervisione che ha il compito di passare al proprio vaglio le leggi approvate dal Parlamento e vietare l’accesso alle elezioni di eventuali candidati, avesse squalificato un alto numero di nominativi – su un totale di 12123 aspiranti candidati che si erano registrati per concorrere alle elezioni solo 4720 sono stati dichiarati autorizzati a partecipare, stando a quanto diramato dall’agenzia di notizie Tasnim – i riformisti sono arrivati primi alle elezioni parlamentari nella lista di Teheran. Tenuto conto della massiccia portata delle squalifiche, la schiacciante vittoria nelle due consultazioni elettorali risulta quanto meno sorprendente. È un’ottima notizia.
Dopo l’inatteso successo dei riformisti al parlamento iraniano, il governo di Rohani si ritrova con un corpo legislativo capeggiato da una maggioranza di moderati e semiconservatori invece che solo da ultraconservatori. E nonostante la squalifica di Hassan Khomeyni, la vittoria a sorpresa di Rohani e Rafsanjani come primi della lista di candidati in lizza per la partecipazione all’influente Assemblea degli Esperti sicuramente indirizzerà l’organismo all’adozione di una nuova strategia per la scelta della prossima Guida Suprema dell’Iran. Senza dubbio, quest’esito delle elezioni per l’Assemblea degli Esperti avrà conseguenze significative sulla politica iraniana sia interna che estera.
La lotta, fondamentalmente, sarà tra quelli come Rafsanjani, che chiedono l’istituzione di un consiglio di leadership permanente in sostituzione del ruolo finora svolto dalla Guida Suprema, e i sostenitori della linea dura che invece propendono per la scelta di una nuova Guida Suprema da parte dell’Assemblea. Vista l’importanza cruciale del ruolo svolto dalla Guida Suprema nella politica iraniana, la scelta che l’Assemblea degli Esperti farà nei prossimi anni costituirà una svolta per la Rivoluzione Iraniana, foriera di implicazioni enormi.
Non c’è bisogno di essere chiaroveggenti per intuire la forma che la politica iraniana assumerà in futuro. Sappiamo tutti che le elezioni iraniane non cambieranno nulla nell’immediato, ma sappiamo anche che esse sono il massimo a cui per il momento l’opinione pubblica iraniana può arrivare per plasmare il futuro del proprio Paese. Gli effetti concreti delle elezioni di febbraio in Iran si faranno sentire nei prossimi anni, quando inizierà la battaglia per la nuova Guida Suprema dell’Iran. È per questo che ciò che è accaduto nelle ultime elezioni, quel finesettimana di febbraio, assume ancora più importanza della vittoria di Hassan Rohani alle elezioni presidenziali del 2013.
Traduzione di Chiara Rizzo
Nella foto: L’ex presidente della Repubblica Islamica Akbar Hashemi Rafsanjani
L’articolo originale è pubblicato da The World Post