Da Reset-Dialogues on Civilizations
Quel 28 febbraio 1986, un venerdì, trent’anni fa, a Stoccolma il premier Olof Palme, storico leader della socialdemocrazia svedese, al potere (salvo l'”intermezzo” 1976- 1982) dal 1969, inizia la giornata positivamente. Unici impegni di rilievo? Un colloquio con l’ambasciatore iracheno, a metà mattina; poi, nel pomeriggio, un’intervista…
A Palme, infatti, uomo politico e premier fortemente impegnato – come i colleghi socialdemocratici, tedesco e austriaco, Willy Brandt e Bruno Kreisky – sul piano internazionale, le Nazioni Unite hanno affidato il delicato incarico di mediatore nella sporca, “orwelliana” guerra che da sei anni si protrae tra Iran e Iraq. Un conflitto carico di retroscena vergognosi: con gli USA, ufficialmente alleati dell’ allora filoccidentale Saddam, che dietro le quinte, grazie al faccendiere colonnello North, fanno affari d’oro col nemico iraniano, garantendogli forniture d’armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa, i cui proventi servono anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua. Fatto ancor più grave, la rete che fornisce armi all’Iran sembra aver strutture operative all’interno di vari Paesi dell’Europa Occidentale, Scandinavia compresa. Di questo, probabilmente, parlano il premier e l’ambasciatore iracheno.
Alle 16.00, Palme incontra un giornalista d’ una rivista sindacale, per un’ intervista programmata da tempo: centrata appunto sul suo incarico ONU per il conflitto Iran-Iraq, e sul “piano Meidner”, il nuovo modello di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili delle imprese, lanciato anni prima dal Governo (per inciso: elaborato nel ’71 dall’economista Rudolf Meidner, vicino alla LO, principale sindacato svedese, e più volte modificato, questo progetto – particolare esperimento di socializzazione – prevedeva il graduale trasferimento, a fondi gestiti dai sindacati, di sempre maggiori quote del capitale azionario delle grandi imprese. Un piano che, se realizzato evitando eccessive concentrazioni di potere nei sindacati, sarebbe entrato nella storia come una delle più grandi prove del socialismo riformista). Palme risponde cordialmente, ma il giornalista riferirà poi d’aver avvertito in lui una forte inquietudine, quasi la consapevolezza dei gravi pericoli in agguato. Purtroppo quest’intervista passerà alla storia come l’ equivalente scandinavo di quella (dal significativo titolo “Siamo tutti in pericolo”) rilasciata, il pomeriggio del 1 novembre 1975 a Furio Colombo, da un Pasolini quasi presago della sua prossima fine; e il premier svedese, pur non sapendo che quello sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita, preavvertiva probabilmente, intorno a sé, una grave minaccia.
La vita
Ma chi è esattamente Olof Palme, e che ruolo ha ricoperto nella socialdemocrazia svedese?
Sven Olof (pr.: “Ulof”) Joachim Palme nasce a Stoccolma nel 1927, da una classica famiglia svedese di origini baltiche e di condizione medio-alta, dall’ideologia conservatrice e un poco perbenista. Ragazzo dalle forti doti intellettuali, frequentando l’Università di Stoccolma aderisce all’associazione degli studenti socialdemocratici: incontro che in lui fa scattare la passione politica. Laureatosi nel ’51, Palme diviene presto, grazie alla personalità carismatica unita a un’ indubbia carica umana, presidente dell’Unione degli Studenti Svedesi, associazione che riunisce varie realtà, legate in gran parte al Partito socialdemocratico svedese.
Mentre Olof nasceva, i socialdemocratici della SAP, il Partito Socialdemocratico Svedese dei Lavoratori (nato nel 1889), erano già parte del Governo svedese da dieci anni, dopo aver conquistato, alle elezioni del 1914 e 1917 ( in quest’ultime, alleati dei liberali), una grande maggioranza alla seconda Camera (posizione, questa, che manterranno sostanzialmente sino ai nostri giorni).Nel 1932, la grande vittoria alle elezioni, con un programma ispirato all’imminente, negli USA, “New Deal” rooseveltiano, e alle idee keynesiane, introdotte in Svezia dalla celebre Scuola economica di Stoccolma (forte di economisti come Niels Karleby e Gunnar Myrdal, poi Nobel per l’Economia nel ’74), porta la SAP alla guida del Governo. Che i socialdemocratici manterranno , salvo brevi periodi d’interruzione, per quasi 65 anni.
A metà anni Trenta la SAP, alla testa d’un governo di coalizione appoggiato anche dal Partito agrario, rappresentante dei lavoratori rurali, lancia un grande programma di lavori pubblici, migliora il sistema di pensionamento, i servizi d’ assistenza sociale per i cittadini inabili al lavoro e l’assistenza sanitaria; rinnova la scuola e il parco abitativo. Dopo gli anni della guerra mondiale, trascorsi in rigorosa neutralità (pur mantenendo i buoni rapporti con la Germania), nel ’46 la pensione d’anzianità creata nel 1914 viene portata a un adeguato livello, e nasce un sistema generale di assicurazione contro le malattie; nel ’47 sono introdotti sussidi per la prole svincolati dal controllo del reddito delle famiglie (cosa che, però, sarà doverosamente adottata solo anni più tardi), e, nel ’48, la legge per la sicurezza sul lavoro. Lo stesso anno, la SAP, privata, alle elezioni, della maggioranza assoluta (che manteneva, alla seconda Camera, sin dal 1940), è costretta a mettere in secondo piano i progetti, di stampo britannico, di nazionalizzazioni ampie; ma nel 1960, la netta sconfitta elettorale dei partiti conservatori permetterà ai socialdemocratici – favoriti anche dal boom economico europeo – d’avviare una seconda fase di grandi riforme.
Il tripudio della socialdemocrazia svedese
Gli anni Sessanta, così, sono veramente il “siglo de oro” della socialdemocrazia svedese: il giovane Olof Palme, notato dall’allora primo ministro Tage Erlander, diviene suo segretario, e in seguito, nel 1961, capo della divisione di gabinetto del Premier. Col rafforzarsi dell’intesa, Palme è, nel 62, ministro delle Comunicazioni; e, nel ’65, per l’ Educazione e gli Affari culturali.
È in questi anni – tra i Sessanta e i Settanta – che si precisa meglio il particolare modello socio-economico svedese: basato, com’è noto, su un Welfare assai generoso, capillare, ma al tempo stesso macchina onnipresente e quasi puntigliosa, che segue veramente il cittadino “dalla culla alla tomba”. Al di là dei significativi risultati – ma anche dei limiti e ritardi – della sua politica, la socialdemocrazia svedese, comunque, sin dall’immediato Dopoguerra ha dato prova di grande abilità politica: riuscendo a fissare l’asse del dibattito nazionale, e il discrimine fra gli stessi partiti, sulla questione socialismo sì-socialismo no. Tant’è vero che quando nel ’76 la SAP, dopo 44 anni ininterrotti di governo, sarà sconfitta alle elezioni, con conseguenti dimissioni del primo governo Palme, il nuovo esecutivo centrista di Thorbjorn Faelldin, pur accingendosi a tagliare fortemente la spesa pubblica, non s’ azzarderà minimamente a rimettere in discussione il radicato carattere socialdemocratico dello Stato.
Infine, sempre negli anni ’60-’70, con unanime accordo tra i partiti, si completa il profilo etico-culturale della Svezia. Paese rigorosamente neutrale, di cultura libertaria – specie sul piano etico-sessuale – ma senza eccessivi permissivismi, e centrata sul rispetto dei diritti civili (vedi l’ Onbudsman, il Difensore Civico, nato proprio in Svezia nel 1809) e umani in genere; e sull’accoglienza degli stranieri. In molte di queste scelte, determinante è l’iniziativa proprio di Olof Palme: che nel ’69 è eletto presidente del Partito socialdemocratico, divenendo poi Premier. In quegli anni, l’ospitalità che egli – nel solco della tradizionale politica d’accoglienza svedese – concede a tanti giovani americani renitenti alla leva, in quanto contrari alla guerra in Vietnam, rende più difficili le relazioni con gli USA (dove pure esiste, sin dall’ Ottocento, una forte comunità di immigrati svedesi): alienandogli le simpatie dell'”establishment” americano.
Il primo governo Palme, comunque (1969-’76) si caratterizza per l’accentuazione (eccessiva, secondo molti) del carattere già egualitario della politica fiscale. La pressione fiscale complessiva, già da decenni tra le più alte al mondo, a metà anni ’80, col secondo esecutivo Palme e i suoi successori, per il lavoratore medio svedese arriverà a incidere addirittura sul 64% del suo reddito. Va detto, però, che in Svezia l’imposizione fiscale è realmente progressiva (non solo in teoria, come in Italia): i redditi più alti, cioè, pagano una percentuale di imposte più che proporzionale rispetto ai redditi più bassi, anche a fini di ridistribuzione del reddito (questo, però, senza le esagerazioni di vari governi socialisti mediterranei degli anni ’80, Francia e Spagna in testa). Mentre la rete di servizi pubblici di cui gli svedesi in cambio possono usufruire, a livello centrale e locale, è a tutt’oggi – nonostante, cioè, le inevitabili riduzioni degli ultimi decenni – estesissima; e i livelli di corruzione, come certificato dai principali osservatori internazionali, sono davvero molto bassi.
Intorno alla metà degli anni Settanta, col primo periodo di governo di Olof Palme, dopo una fase in cui lo shock petrolifero del 1973 non sembra aver particolari ripercussioni sulla Svezia, con inflazione sotto controllo e ulteriore crescita di profitti e salari, il gonfiarsi della spesa pubblica e per i contributi dei datori di lavoro privati ai fondi pensione produce un forte aumento dell’inflazione; e alcuni settori tradizionalmente forti dell’economia – come la cantieristica navale – sono colpiti dalle conseguenze a catena della crisi petrolifera. Da qui, la vittoria dei conservatori alle elezioni del 1976. Ma, come ricordavamo, il nuovo governo conservatore non porta avanti una politica propriamente antisocialdemocratica: anche se una delle prime decisioni, ovviamente, è rimandare alle calende greche l’attuazione del “Piano Meidner”. Alla lunga, però, proprio la debole identità culturale di questa destra, e la mancanza di proposte innovative in economia (proprio negli anni che, al di qua e al di là dell’ Atlantico, vedono all’assalto la nuova destra, ultraliberista, di Margaret Thatcher, Ronald Reagan, Helmut Kohl), oltre alle forti divisioni interne, fan sì che l’elettorato svedese torni a preferire i socialdemocratici: siamo nell’autunno 1982, quasi in contemporanea al trionfo di Felipe Gonzales in Spagna, e un anno dopo le storiche vittorie di Mitterrand in Francia e del PASOK di Papandreu in Grecia. Riconfermata nel 1985, nel quadro generale di ritorno al potere delle socialdemocrazie europee degli anni Ottanta, la SAP comunque è consapevole che il vecchio “modello svedese”, ideale in tempi d’espansione economica, viene ad incepparsi, invece, in tempi di crisi ricorrenti, “stagflazione” e, soprattutto, incipiente globalizzazione.
A tutte queste cose, probabilmente, ripensa Olof Palme, nel tardo pomeriggio di quel 28 febbraio 1986: mentre è al culmine della sua carriera politica, come premier svedese, mediatore per l’ONU (e anzi candidato a succedere a Pérez de Cuéllar alla carica di Segretario Generale), vicepresidente dell’ Internazionale Socialista, pacifista in senso autentico, impegnato nella distensione fra i blocchi; e leader assertore del non allineamento del suo paese, in un senso che diremmo più “terzomondista”, nello stile dei capi storici di questo movimento (Nehru, Nasser, Tito). Verso le 18,30, tornato a casa conferma, con la moglie, la decisione d’andare al cinema, insieme al figlio Marten e alla sua fidanzata; congedando così (con gesto tipicamente “scandinavo-anglosassone”, impensabile dalle nostre parti) la scorta, che , insieme ai servizi di sicurezza, sa bene che il “cliente”, sino al lunedì, rimarrà senza alcuna copertura.
L’uccisione
Alle 23,15, fuori dal cinema, le due coppie si congedano, e i coniugi Palme si incamminano lungo Sveavagen, il grande viale nel centro di Stoccolma, diretti a casa. La coppia prosegue avvicinandosi alle vetrine d’ un colorificio, all’angolo con Tunnelgatan, stradina pedonale al termine della quale una lunga scalinata conduce a Luntmakargatan, nella parte superiore della città: proprio lì, nell’ombra, un uomo con un soprabito scuro, immobile, sembra attendere qualcuno (lo nota un’ insegnante di musica seduta nella sua auto). Sono le 23.21, Olof e Lisbet Palme superano il colorificio; l’ombra nel buio s’avvicina alla coppia, estrae una Smith & Wesson 357 “Magnum” e spara due colpi alla schiena del primo ministro, che crolla in una pozza di sangue. Lisbet – rimasta anche lei leggermente ferita – urla e chiede aiuto; l’ombra si dilegua per sempre, correndo verso Tunnelgatan.
Il premier, gravemente ferito, morirà poco dopo. Nel caos di quei momenti, l’allarme generale, con l’ordine di bloccare completamente le vie d’uscita e d’ accesso alla città, viene dato, tuttavia, solo più di venti minuti dopo (come, incredibilmente, a Washington la sera del 15 aprile 1865, dopo l’assassinio di Lincoln). L’istruttoria per l’ omicidio di Palme è stata la più lunga e costosa mai portata avanti in Svezia, e non è ancora chiusa, dal momento che il suo assassino non ha ancora un nome; l’arma del delitto non è stata mai ritrovata.
L’inchiesta sulla morte
Le piste più diverse son state battute dagli inquirenti. Il criminologo e scrittore svedese Leif G. W. Persson, nel suo romanzo del 2007 In caduta libera come in un sogno (Marsilio, 2008: romanzo che, però, si basa ampiamente su documenti della polizia normalmente non accessibili), ipotizza che la responsabilità dell’omicidio sia da ascriversi a schegge impazzite (elementi neo-nazisti) dei servizi segreti svedesi, che addirittura ritenevano Palme, per i suoi progetti di socializzazione dell’economia e il suo neutralismo terzomondista, al soldo dei sovietici. Un altro scrittore, il portoghese Luís Miguel Rocha, nel libro The last Pope (2006) ipotizza invece che Palme sia stato ucciso per volere della P2. Varie fonti, tra cui, più recentemente, il giornalista Enrico Fedrighini su “Il fatto quotidiano” del 27 febbraio 2013 (2), ricordano del resto che martedì 25 febbraio 1986, 3 giorni prima dell’omicidio di Palme, a Washington Philip Guarino, esponente del Partito Repubblicano molto vicino a George Bush Sr., aveva ricevuto un telegramma dal Sud America, in una sorta di codice cifrato: «Tell our friends the Swedish palm will be felled», «Informa i nostri amici che la palma svedese sarà abbattuta». La firma era d’un italiano, Licio Gelli, vecchia conoscenza di Guarino (alcuni anni prima, avevano entrambi sottoscritto un “affidavit” a favore d’ un certo Michele Sindona…): ed evidente il “gioco” di parole, “palma- Palme”…
Nello stesso 1986, comunque, per l’omicidio del premier svedese viene incriminato un pregiudicato con inclinazioni neonaziste, tale Christler Pettersson, militante d’un sedicente “Partito Operaio Europeo” : solito Oswald di turno, strumento di oscuri mandanti. Riconosciuto in tribunale dalla vedova di Palme, è condannato all’ ergastolo: sarà comunque, prosciolto, per insufficienza di prove, dalla Corte Suprema Svedese nel 1998. Il 15 settembre 2004, ricorda ancora Fedrighini nel suo articolo su “Il fatto”, Pettersson contatta Marten Palme, figlio del premier assassinato, avendo qualcosa d’importante da confidargli sulla morte del padre. Il giorno dopo – secondo un copione più volte recitato sul palcoscenico della storia – Pettersson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital di Stoccolma, con gravi ematomi alla testa. Morirà il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza. Nell’aprile 1990 il quotidiano svedese “Dagens Nyheter” rivela la notizia del telegramma di Licio Gelli a Guarino del 25 febbraio 1986. Contattando i colleghi svedesi, il giornalista del TG1 Ennio Remondino rintraccia e intervista le fonti, due agenti della CIA che confermano la notizia del telegramma: rivelando, per la prima volta ufficialmente, anche l’esistenza di quella struttura segreta, operante in vari Paesi dell’Europa occidentale sin dal Secondo Dopoguerra, chiamata “Stay Behind” (organizzazione “Gladio”, nella versione italiana ), e coinvolta da decenni in traffici d’armi e azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare” ( o al contrario, a seconda delle necessità)…
Remondino confermerà il tutto dieci anni dopo, deponendo, il 4 luglio 2000, presso la Commissione parlamentare d’Inchiesta sul terrorismo e le stragi, presieduta dal Sen. Giovanni Pellegrino. Due anni fa, infine, a fine febbraio 2014, l’altro quotidiano svedese “Svenska Dagbladet” rivela l’interesse dello scrittore Stieg Larsson , autore della celebre trilogia “Millennium”, per il caso Palme. Larsson (stroncato poi da un infarto nel 2004), tra i migliori giornalisti investigativi scandinavi, studioso degli ambienti neonazisti (dai quali, infatti, era stato più volte minacciato) e consulente per Scoltand Yard, riteneva che alcuni mercenari, negli anni ’80, fossero stati in contatto coi servizi segreti sudafricani appunto per eliminare Palme (che era stato protagonista di varie battaglie antiapartheid). Al centro dei sospetti di Larsson, lo svedese Bertil Wedin, uomo noto negli ambienti dell’estremismo di destra, ma mai interrogato (nonostante i suoi stessi inviti) dalla polizia: partendo da lui, i giornalisti dello “Svenska Dagbladet” sono arrivati a Gio Petre, attrice ed ex compagna di Alf Enerström, medico ed estremista di destra legato a doppio filo con Wedin.
Al quotidiano svedese – ricorda, il 27 febbraio 2014, Monica Perosino su “La Stampa” (3) – la Petre racconta che, proprio quella sera del 28 febbraio 1986, Enerström, all’epoca suo compagno, uscì da casa dicendo «di dover mettere dei soldi nel parcometro» (peccato che fosse un venerdì sera, e che il parcheggio fosse gratuito). «Ritornò tardi», racconta ancora la Petre, aggiungendo d’aver trovato la cosa quantomeno bizzarra, senza però dire nulla per paura dell’uomo, notoriamente violento. La polizia svedese non commenta, ma «non esclude di aprire una nuova pista», e considera «interessanti» le nuove rivelazioni.
Fare i conti con la perdita della verginità politica
Trent’anni dopo, insomma, l’assassinio di Palme – un po’ come accaduto in seguito, mutatis mutandis, in Israele con quello di Ytzhak Rabin (1995) – continua a pesare fortemente sulla società svedese, sia per il vuoto lasciato da un leader energico e carismatico, che non ha avuto degni successori, sia come complesso di colpa d’una società mostratasi incapace (o nolente) di trovare i responsabili. Nel caso specifico della Svezia, questo trauma s’è rivelato particolarmente forte, assumendo anche i connotati (profondi quanto, in parte, ipocriti) della perdita della “verginità politica”, dell'”innocenza” da parte d’un Paese che, forse più delle altre nazioni scandinave, sino ai primi anni ’80 era vissuto autoalimentando il proprio mito d’una terra civilissima e felice, aliena dai fenomeni d’odio e d’intolleranza tipici dei Paesi del Sud.
Nel 1988, ad ogni modo, la SAP, per la prima volta dal 1970, ottiene in Parlamento un numero di seggi di poco superiore addirittura a quello di tutti e tre i partiti moderati: anche come logica conseguenza dell'”effetto Palme” . Ma in una situazione profondamente cambiata rispetto non solo agli anni ’70, ma anche a pochi anni prima, i socialdemocratici non riusciran più a ripetere le politiche di sviluppo economico e perfezionamento del Welfare tipiche dei tempi d’oro: nel 1991, la grande vittoria del 1988 si trasformerà nella peggior sconfitta mai subita dagli anni ’30, con la discesa della SAP (come accaduto, l’anno prima alla SPD tedesca nelle prime elezioni del dopo caduta del Muro) addirittura sotto al 40% dei voti. Tornati al governo nel 1994, i socialdemocratici, coi premier Carlsson (già successore di Palme nel 1986) e , dal ’96, Persson, riusciranno ancora a mantenere lo Stato sociale a livelli accettabili (la spesa per sanità e istruzione tuttora è significativamente più alta in Svezia, Danimarca e Norvegia rispetto alla media dei Paesi OCSE), pur con forti riduzioni della spesa pubblica e con le limitazioni nella sovranità monetaria e nelle stesse politiche di bilancio seguìte all’entrata del Paese nell’Unione Europea (gennaio 1999).
Nel 2006, infine, la SAP scende ulteriormente al 35% dei voti, pur restando partito di maggioranza relativa, e il Governo torna ai conservatori. Ma se i socialdemocratici accusano fortemente la mancanza d’un leader come Palme, anche i conservatori non hanno affatto vita facile, con la persistente disoccupazione, specie giovanile, e le crescenti tensioni – secondo l’ OCSE, addirittura le più alte al mondo – tra occupati svedesi e immigrati extracomunitari. Nella tarda primavera del 2013, le rivolte degli immigrati a Stoccolma, Oebrio, Linkoping, stile Los Angeles 1992, o banlieues parigine dell’era Sarkozy, fungono amaramente da termometro della situazione. A settembre 2014, le nuove elezioni pongono fine a quello che, dai lontani anni Venti, e’ stato il piu’ lungo periodo di governo conservatore in Svezia (8 anni): e la guida del Governo torna alla SAP, diretta dal leader sindacale Stefan Lofven. Che, però, è alla testa d’un governo di coalizione (socialdemocratici e verdi): il quale, peraltro, rappresenta solo il 38% degli elettori, e, per la prima volta nella storia del Paese, si regge, “all’italiana”, grazie alle astensioni della Sinistra radicale, forte del 5,7%, e della stessa, sconfitta, Alleanza dei quattro partiti di centrodestra.
Questo è il governo che guida oggi una Svezia decisamente incerta e confusa, oscillante tra le tradizionali politiche di accoglienza e le forti tensioni interne (da gennaio a ottobre 2015, la Svezia aveva già dato asilo ad almeno cinquantamila rifugiati, e solo fra il 2 e l’8 novembre arrivavano altri diecimila richiedenti asilo). Ma, osserviamo, se il “modello svedese”, e più in generale scandinavo, in un mondo come quello d’oggi è in evidente crisi, ciò non significa che un socialismo democratico e riformista come quello svedese, depurato dei suoi limiti e dei lati anche negativi di tanti anni di governo, non possa (discorso, questo, valido un po’ per tutte le forze socialdemocratiche) rigenerarsi, per affrontare in modo diverso le tante sfide del Duemila.
Note:
1) D. SASSOON, in AA. VV., Cento anni di socialismo. La sinistra nell’ Europa Occidentale del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 556.
(2) E. FEDRIGHINI, Olof Palme, un caso ancora aperto, in “Il fatto quotidiano”, Roma, 27 febbraio 2013, op. cit.
(3) M. PEROSINO, Svezia, a 27 anni dall’omicidio Palme crolla l’alibi di un sospettato chiave, “La Stampa”, Torino, 27 febbraio 2014, op. cit.
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io sono nato negli anni ’50 ed i modelli socialdemocratici dei paesi scandinavi erano il mio sogno per fare compiere al nostro paese un salto di qualità.
La morte di Palme fu per me un grande dispiacere e la fine di un sogno.