Da Reset-Dialogues on Civilizations
Si è parlato poco di India alla sedicesima edizione di Asiatica Film Mediale, che si è tenuta al Maxxi di Roma dal 20 al 28 novembre scorso. La rassegna, curata dal regista Italo Spinelli, ha visto infatti il suo focus sulla Corea del Sud, e quindi ha presentato solo due lungometraggi indiani. Il primo, Fig Fruit and the Wasps, di M. S. Prakash Babu, del 2014, vede Goury, una documentarista, in viaggio, con la sua guida, aspettare in un villaggio del materiale per un documentario sulla musica strumentale: non vedrà arrivare il musicista che avrebbe dovuto fornirglielo, e il film si focalizza tutto su quest’attesa. Il secondo, un documentario del 2015, Life in Metaphors, di O. P. Srivastava, ripercorre la vita e la carriera del regista indiano Girish Kasaravalli, pioniere del Cinema Parallelo, famoso per le sue analisi della cultura e della società locale.
A margine della manifestazione ResetDoc ha intervistato Italo Spinelli su queste due opere e su altri aspetti legati alla società indiana. Il regista, oltre che curatore di Asiatica Film Mediale, è noto anche per aver esplorato nella sua filmografia aspetti della società indiana: in Gangor, suo film del 2010, coproduzione italo – indiana, si parla infatti di un reportage finito male sui gruppi tribali del Bengala occidentale: una foto che ritrae una ragazza, Gangor appunto, a seno nudo, le rovinerà la vita.
Perché quest’anno avete scelto solo due film?
I due film presentati – Fig Fruit and the Wasps e Life in Metaphors – provengono entrambi dal Karnataka e sono in lingua Kannada, erano un modo, un assaggio o un profumo della cinematografia del Sud dell’India.
Fig Fruit and the Wasps è un film pieno di ellissi, circolare, realizzato da un pittore, Prakash Babu, con i suoi silenzi e atmosfere sospese nei suoni.
Il documentario Life in Metaphors è un ritratto del maggior regista di quello stato, con lui è anche giunta la lingua Kannada. Ecco, avrei voluto introdurre di più il cinema del Sud dell’India, mi riprometto di farlo nella prossima edizione. Il nostro progetto futuro è quello di presentare insieme al Karnataka il cinema Tamil e del Kerala.
Come si presenta il cinema indipendente, che a stento arriva tra i NRI (Non Resident Indians)?
La distribuzione del cinema indipendente d’autore del Sud dell’India è molto difficile. Senza lo Star System è complicato raggiungere il grande pubblico legato al cinema popolare commerciale soprattutto hindi.
Alla luce della sua esperienza di regista (mi riferisco a Gangor) cosa ci può dire a proposito dell’attuale società rurale? È così diversa da quella urbana?
La diversità tra la realtà urbana e quella rurale e le diseguaglianze tra le due sembrano essere ancora molto forti. La società rurale conserva i valori identitari spesso patriarcali, impoverita e ghettizzata dalla crescita economica della classe media urbana. L’India è ancora al 70% rurale pur essendo nella globalizzazione uno dei paesi con tasso di sviluppo più alto.
Quanto ha influito la liberalizzazione nel cinema indipendente?
La liberalizzazione negli ultimi vent’anni ha sicuramente aperto degli spazi al cinema indipendente e, più recentemente, con la fruizione dei film dei giovani autori nelle sale multiplex all’interno dei centri commerciali.
Attualmente quanto conta la politica nella produzione cinematografica indiana? E cosa si può dire dell’era Modi?
La politica è presente in tutta la filiera produttiva cinematografica indiana dalla scelta dei contenuti alla vendita e distribuzione del film.
Per quanto riguarda Modi, ex governatore del Gujarat, occorre dire che fu a capo del Pogrom contro i musulmani, e che ora come premier guida l’ideologia nazionalista con caratteri fondamentalisti Hindutva.
Nel 2007 per il Roma Fiction Fest lei è stato responsabile per la fiction asiatica e africana. Da che parte sta andando la fiction indiana? È sempre così, per così dire, depoliticizzata o vede affiorare nuovi temi?
Da molti anni seguo principalmente le news, la letteratura e il cinema e non le fiction provenienti dall’India.
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