Il Corriere della Sera: “A Istanbul strage di turisti tedeschi”, “L’esplosione vicino alla Moschea Blu, nell’area frequentata dai visitatori. Dieci vittime, otto dalla Germania”, “Il premier: ‘Kamikaze dell’Isis’. Merkel affronta una nuova prova: la nostra libertà vincerà”.
A questo tema è dedicata l’analisi di Franco Venturini: “L’equilibrio perduto di un Paese”.
In prima anche l’intervista al regista Ferzan Ozpetek: “‘Colpito un ponte di civiltà'”.
La foto è per Barack Obama, che ieri ha tenuto il suo ultimo discorso alla Nazione: “Il discorso e l’orgoglio di Obama, ‘Lascio un’America più sicura’”, di Giuseppe Sarcina.
La politica italiana a centro pagina: “Le trattative dei 5 Stelle. Cento ore sul caso Quarto”, “La sindaca non si dimette: espulsa dal partito”.
Di spalla a destra l’intervista con il segretario della Cei Nunzio Galantino, di Luigi Accattoli: “‘Sì a una legge sulle unioni civili ma non si parli di adozioni'”.
Su “criminalità e politica”: “Le ferite del Sud sempre aperte”, di Goffredo Buccini.
A fondo pagina: “Mail in ufficio, l’azienda può controllare”, “La Corte Ue dei diritti umani: licenziamento legittimo se è provato l’uso per fini personali”.
A fondo pagina anche “Il dibattito”: tesi a confronto sul tema del multiculturalismo. Protagonisti il fisico Marco Rovelli e lo storico Ernesto Galli Della Loggia.
Infine un articolo di Michelangelo Borrillo: “Petrolio mai così in basso da 12 anni. L’Opec si spacca e nelle compagnie partono i tagli”.
La Repubblica: “Istanbul, la strage di turisti”, “Terrorista si fa esplodere nella piazza della Moschea Blu: dieci vittime, otto sono tedesche”, “Tensione nel Golfo tra Usa e Iran: Teheran blocca due navi americane, fermati 10 marinai”.
E l’analisi di Paolo Garimberti: “Berlino e Ankara nel mirino”.
In prima anche l’intervista a Federica Mogherini, Alto rappresentante della politica estera dell’Ue: “Mogherini: ‘Califfo più debole per questo manda i suoi kamikaze'”, “Corsa contro il tempo per fermare il Terrore. Gli jihadisti reagiscono all’assedio del mondo che fino a ieri era impensabile'”, “‘Presto il primo vertice tra Damasco e i ribelli. In Libia pronti ad aiutare ma un intervento militare sarebbe un regalo a Daesh'”.
Più in basso: “Caso Marò, la mossa del governo: ‘Latorre non tornerà più in India’”.
E l’intervista del presidente del Consiglio a Repubblica tv: “‘Se perdo sulle riforme addio politica. Bankitalia e Consob, chi sbaglia paga’”.
A fondo pagina: “Quarto: scontro finale tra i 5Stelle. Grillo espelle il sindaco, lei resiste”.
E un commento di Filippo Ceccarelli sul video con cui i membri del direttorio M5S Di Maio, Fico e Di Battista hanno commentato la vicenda di Quarto: “L’autogol del trio in tv”.
A fondo pagina anche une vicenda di cronaca che coinvolge l’ospedale Cardarelli di Napoli: “Ancora una tragedia in ospedale, muore a 19 anni per un aborto”.
Con un commento di Michela Marzano: “Il passato in corsia”.
Di spalla un intervento di Tony Blair dedicato alla scomparsa di David Bowie: “Noi, ragazzi di Oxford conquistati dal Duca”, “L’ex premier ricorda gli incontri con Bowie: ‘Sapeva farci riflettere'”.
La Stampa: “Istanbul, la strage dei turisti tedeschi”, “Kamikaze Isis si fa esplodere vicino a Santa Sofia. Stranieri in fuga sotto choc”, “In azione un siriano di origini saudite. Germania ‘punita’ per le bombe dei Tornado. Merkel: terroristi nemici dell’umanità”.
“Il Califfo contro il Sultano” è il titolo del commento di Domenico Quirico.
Poi, sulla politica estera della Turchia: “Un patto scellerato giunto al capolinea”, di Lorenzo Vidino.
E sulla Germania un articolo di Francesca Paci: “A Colonia adesso è scontro fra profughi”.
A centro pagina, foto di Wang Jianlin, 61 anni, l’uomo più ricco della Cina: “il magnate cinese che si compra Holliwood”, “Il gruppo Wanda di Wang Jianlin acquista la società Legendary che ha prodotto Batman e Godzilla”.
Sulla colonna a destra: “Quarto, la sindaca espulsa da Grillo non si dimette. Renzi la difende”, “L’ombra della camorra”.
Più in basso “la storia” raccontata da Niccolò Zancan: “Terra dei fuochi. Quel veleno uccide i neonati”.
E una lettera aperta di una lettrice che si firma “Simona” sulle unioni civili: “Cari senatori, la mia famiglia ha due mamme”.
Il Sole 24 Ore: “Petrolio sotto i 30 dollari. Mini-recupero per le Borse”, “Il Brent crolla ai minimi dal 2003. verso una riunione straordinaria dei Pesi Opec”, “Francoforte e Parigi guidano il rimbalzo: Milano +1,1%”.
Sotto la testata, foto da Istanbul: “Kamikaze dell’isis fa strage di turisti a Istanbul”, “Un terrorista siriano si fa esplodere in piazza Sultanahmet tra la Moschea Blu e Santa Sofia: 10 morti (tra cui otto tedeschi) e 15 feriti”.
“Ora Erdogan deve scegliere”, scrive Alberto Negri, che sottolinea “le ambiguità turche tra Europa e jihad”.
Sulla Libia: “Pronto lo ‘scudo aereo’ di Francia e Stati Uniti per il nuovo Governo libico”, “Raid contro le basi Isis”. Ne scrive Gerardo Pelosi.
In prima attenzione anche per l’ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama: “Per Obama l’ultimo discorso sullo stato dell’Unione: ‘L’America è ancora il Paese più forte al mondo'”. E l’analisi di Mario Platero: “I limiti dell’ottimismo della ragione”.
A fondo pagina l’intervista di Beda Romano alla commissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager: “‘Bad bank, ora l’Italia decida’”, “La commissaria Ue: le sofferenze sono un problema, allontanano la ripresa”, “Sì ai fondi pubblici ma nel rispetto delle banche concorrenti”.
Sulla politica italiana: “Renzi: se perdo sulle riforme, lascio la politica. Giachetti a Roma”.
E sul M5S: “Politica2.0”: “Quarto ovvero la ragione sociale dei 5 Stelle”, di Lina Palmerini e “I vertici del M5S su Quarto: ‘Non sapevamo’”, di Nicola Barone.
L’editoriale è firmato da Domenico Lombardi: “perché la Cina vuole evitare la ‘guerra’ con il dollaro”.
Il Manifesto: “Al cuore di Istanbul”, “Kamikaze nell’area più turistica, tra Santa Sofia e la Moschea Blu. Erdogan senza dubbi: ‘E’ opera dell’Isis’. Demirtas, del partito filo kurdo Hdp: ‘Lotteremo fino all’ultimo respiro finché i responsabili non verranno resi noti’. Dieci i morti, otto sono tedeschi. Merkel ‘triste’, Berlino vuole i ‘colpevoli'”.
Sotto la testata: “Grillo caccia la sindaca ma la giunta è con lei”.
E a questo tema è dedicato il commento di Andrea Fabozzi: “Il doppio errore dei 5 Stelle”.
A fondo pagina un intervento di Aldo Bonomi sulle elezioni a Milano: “Passaggio a Nordovest nella città laboratorio”.
Di fianco, scrive Lorenzo Guadagnacci: “Torture Genova 2001, perché non accetterò risarcimenti indecenti da uno Stato fuori dalla legalità richiesta dall’Europa”.
E un articolo di Andrea Baranes su Ue e banche: “Il gioco delle banche senza regole”.
Infine, sul lavoro: “Contratti impossibili. Il no delle imprese a Cgil, Cisl e Uil”.
Istanbul
Sul Corriere, a pagina 2, Lorenzo Cremonesi, inviato a Istanbul: “Un kamikaze alla Moschea Blu”, “Il premier: attentatore membro dell’Isis. Erdogan: ‘Siamo il primo obiettivo dei terroristi. Li sconfiggeremo tutti'”. È difficile – scrive Cremonesi – pensare a un luogo più rilevante e simbolico nella millenaria e travagliata relazione tra Oriente e Occidente che Sultanahmet, Agia Sofia e la Moschea Blu. Viene automatico inserire il nuovo attentato nella serie che sempre più insistentemente ha colpito gli stranieri (dal Bardo di Tunisi agli attacchi alle Pramidi): le prime ricostruzioni dei media turchi raccontano che nella piazza c’era poca gente, dunque chi ha colpito i turisti li ha cercati e attesi. Il primo ministro Davutoglu ha puntato con decisione il dito sull’Isis: nell’ultimo anno – scrive Cremonesi – la Turchia è sembrata propensa a porre fine a quell’atteggiamento di relativa passività nei confronti di Isis e dell’estremismo sunnita che le aveva attirato forti critiche anche tra gli alleati Nato.
E a pagina 3 in grande evidenza una raffigurazione dettagliata della Moschea Blu, cui è dedicato l’articolo di Roberto Tottoli: “Il simbolo imperiale dei Sultani ottomani nel centro dell’antica Costantinopoli”.
Su La Repubblica è Silvia Ronchey a scrivere dei luoghi colpiti: “La piazza dei cavalli, il simbolo insanguinato, qui i massacri hanno segnato la storia”, “Nell’antico Ippodromo di Costantinopoli, l’11 gennaio del 532, la rivolta ‘Nika’ provocò una strage. Nel 1826 quella dei Giannizzeri. E nel 1909, un’altra sollevazione”.
Su La Repubblica l’articolo di Marco Ansaldo dà conto delle accuse lanciate dal presidente Erdogan “all’esterno”: “L’altro ieri lo faceva contro i militari, contro i curdi, poi gli alleati islamisti. Oggi allunga la lista al terrorismo e agli ‘intellettuali stupidi’. Ma per molti osservatori indipendenti è proprio l’ambiguità mostrata dal suo governo con il Califfato nero, durata quasi tre anni e giocata sul filo di un’acquiescenza criticata da molti, a essere considerata come la causa reale dell’attentato nel centro di Istanbul”.
Su La Stampa, a pagina 3, l’articolo di Giordano Stabile: “Il killer saudita sfuggito ai raid e la rete dei kamikaze del Califfo”, “Altri quattro terroristi pronti a colpire : la cellula regina ad Adiyaman”. Secondo gli inquirenti turchi l’autore dell’attacco era un saudita di 28 anni, arrivato da pochi giorni dalla Siria. Il vicepremier Kurtulmus ha detto che era un affiliato dell’Isis, ma “non era nella lista dei nomi da fermare”. Stabile sottolinea che la Turchia è stata la principale retrovia dell’isis, ma ora le cose stanno cambiando e questo potrebbe aver portato al primo attacco diretto contro gli interessi turchi: la svolta è arrivata alla fine di giugno, quando i guerriglieri curdi hanno strappato all’Isis la città sul confine turco-siriano di Tall Abyad. Da allora è cominciata una serie di attentati suicidi che hanno preso di mira i curdi e poi, a partire dagli ultimi due mesi, la Turchia. Il primo è avvenuto a Suruc il 21 luglio: ha causato oltre 30 morti. Il più grave, quello di Ankara, il 10 ottobre, con oltre 100 vittime. L’inchiesta seguita a quell’attentato ha portato allo smantellamento di una rete: la cellula Isia aveva come base Adyaman, città del Sud di 200mila abitanti, molto conservatrice.
Alberto Negri, nella sua analisi sul Sole 24 Ore, scrive che “l’Isis, rivendicando l’attentato ha consegnato la sua dichiarazione di guerra alla Turchia. Finora il Califfato aveva attaccato soprattutto i curdi puntando a espandere il divario tra la maggioranza sunnita e le minoranze curde alevite. Ma ora sta perdendo terreno in Iraq e Siria, cerca una nuova area di influenza e si assume il rischio di scontrarsi con la Turchia, storico membro della Nato che con Erdogan ha coltivato ambizioni di espansionismo neo-ottomane corteggiando i Fratelli musulmani ma anche i jihadisti utili alla sua causa”; “il jihadismo, pur affondando le radici in correnti come il wahabismo saudita o il salafismo, ha elaborato una sua sub-cultura diretta sia contro i Paesi musulmani che quelli occidentali” e punta a “eliminare contatti tra occidentali e musulmani, colpendo ovviamente anche il turismo, una fonte importante di occupazione e valuta. La colpa non è soltanto dei jhadisti ma anche di coloro che ne hanno favorito l’espansione. Gli stessi stati che hanno favorito in varie forme l’applicazione della sharia, la legge islamica, hanno contribuito al legame sempre più stretto tra stato e religione”; “rischiano grosso gli apprendisti stregoni del fronte sunnita, dalla Turchia all’Arabia saudita. La Turchia del presidente Tayyp Erdogan per quattro lunghi anni ha dato corda ai jihadisti che voleva usare per abbattere il regime di Assad: la frontiera con la Siria era diventata l’autostrada della jihad’ con il passaggio di migliaia di combattenti, molti dei quali si sono arruolati prima nel gruppo qaedista di Jabat al Nusra e poi nel Califfato”.
Sul Corriere in prima l’analisi di Franco Venturini: “La Turchia delle troppe parti in commedia, ancora. Il turismo che non deve portare più sollievo economico, ancora. Gli obiettivi del terrorismo inseguono ormai la logica della disgregazione globale”; “la Turchia di Recep Tayyp Erdogan resta pilastro della Nato ma è diventata un tempio dell’ambiguità e non stupisce che venga colpita a ripetizione lungo due binari che continuamente si intersecano: la Siria e i curdi”. La Turchia -sottolinea Venturini- “è un campione sunnita, come l’Arabia saudita ha le ‘sue’ milizie che combattono Assad e talvolta anche l’Isis, odia l’Iran sciita e con la Russia, che sta da quella parte, ha creduto di regolare i conti abbattendo un cacciabombardiere di Mosca. In un simile groviglio gli attentati più recenti erano stati spesso anticurdi e perpetrati dall’Isis, fino alla strage di Ankara”; “può darsi che la nazionalità delle vittime, quasi tutte tedesche, abbia un significato. Ma va per lo meno notato che questo, per la prima volta da un certo tempo, non è stato un attacco contro i curdi locali legati a quelli di Siria”.
Su La Repubblica ne scrive anche Paolo Garimberti: “Ankara e Berlino nel mirino”, “La politica di Erdogan sta diventando una spina nel fianco di Nato ed Europa”.
Sul Manifesto, a pagina 2, la corrispondenza di Fazila Mat da Istanbul dà conto anche delle reazioni delle altre forze politiche. Il Chp, Partito repubblicano del popolo, principale forza di opposizione: “Vi abbiamo esortato più volte a non trascinare la Turchia nella palude del Medioriente”; l’Mhp, Partito di azione nazionalista, con Bahceli, ha invitato Ankara a “reagire pesantemente” punendo “i mandanti, gli esecutori e i collaborazionisti che operano contro l’umanità e che si annidano nelle case-celle (così chiamate le case dove i membri dell’Isis abiterebbero in gruppi di 12, ndr)”. Un’altra condanna è arrivata da Demirtas, co-leader del partito filo-curdo democratico dei Popoli (Hdp): “Vogliamo che sappiate che lotteremo fino all’ultimo respiro finché i responsabili non verranno resi noti”. E Fazila Mat sottolinea che la lotta del governo turco contro l’Isis è sempre proseguita parallelamente alle operazioni effettuate contro due organizzazioni considerate da Ankara terroristiche: il Pkk e il Dhkp-C (Fronte rivoluzionario per la liberazione del popolo), “con un bilancio finale di detenzioni a carico dell’Isis in netta minoranza”.
Su La Stampa un articolo di Domenico Quirico: “Il Sultano contro il Califfo, scontro per l’egemonia nell’Islam”, “La Turchia ha permesso all’isis di sopravvivere, ma per Al Baghdadi è corrotta e apostata”.
Obama
Commentano l’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione di Barack Obama Marco Valsania e Mario Platero su Il Sole 24 Ore. L’articolo di Valsania: “‘Lascio un’America forte e senza paura’”, “Barack Obama rivendica i successi del suo mandato e rilancia il suo ‘Yes we can'””. “È stato un discorso non tradizionale per un presidente diverso”, scrive Valsania: “il primo afroamericano eletto alla Casa Bianca” ha cercato “di spezzare i tabù anche in uno dei più classici riti della presidenza americana” e “anticipando l’intervento per non scontrarsi con le primarie che decreteranno i candidati alla sua successione, Obama, invece di lanciarsi in elenchi di piccoli e grandi progetti, ha provato a lanciare un messaggio di ampio respiro”. Ha rivendicato che l’America ha compiuto progressi durante la sua presidenza e che l’economia si è ripresa da una gravissima crisi, con un tasso di disoccupazione oggi dimezzato al 5% , con 2,7 milioni di posti di lavoro creati solo nell’ultimo anno. Gli ospiti d’onore erano stati scelti come simbolo di un’America aperta e impegnata: un rifugiato siriano (Refai Hamo, che oggi vive a Detroit con la famiglia), un veterano dell’esercito nato in Arabia saudita, il chief executive di Microsoft Satya Nadella per le sue iniziative sull’informatica per le scuole, attivisti per il matrimonio omosessuale, ufficiali di polizia dediti ai legami con le comunità, il partner di una delle vittime della strage di San Bernardino per mano di terroristi islamici che si batte per la tolleranza e la non discriminazione dei musulmani. Poi, una sedia vuota, per ricordare una delle sue priorità: le vittime della violenza delle armi.
Di fianco, il commento di Mario Platero: “Quella voglia eccessiva di apparire ‘buono'”. “Emotivo nel privato, intellettuale in pubblico. Barack Obama -scrive Platero- potrebbe essere un WASP (White Anglosaxon Protestant) per l’ossessione con cui privilegia l’understatement alla sensazione. Peccato che nell’era del tempo reale, dei social media e di un partito repubblicano dominato da due candidati scatenati come Donald Trump e Ted Cruz la reazione ‘fredda’, forse apprezzabile nei circoli sociali, non funzioni nella politica”; “Obama è convinto -forse perché lo hanno convinto i suoi consiglieri più fidati- che la guerra contro i terroristi sia già stata vinta” ed è quindi come se dicesse agli americani di stare tranquilli. Ma gli americani non lo sono, “non sopportano l’idea dell’aggressione. Non tollerano che ‘il cattivo’ possa agire impunito senza che si provi a fare il possibile e l’impossibile per contrastarlo. Ma Obama il freddo, sceglie coscientemente di ignorare questo sentimento per privilegiare invece l’aspetto razionale: non si parla di terrorismo, di estremisti islamici perché si tratta di una minoranza, perché non si possono offendere centinaia di milioni di musulmani che la pensano diversamente, perché è inutile scatenare una guerra o alzare il tono: si cadrebbe nella trappola preparata ad arte dall’Isis”. Tutto questo “potrebbe essere legittimo e funzionare se non fossimo nel mezzo di un’arena politica e di un anno elettorale difficile”, scrive Platero raccontando di una sua cena in questi giorni con scrittori e politologi orientati a sinistra e con una certa influenza sulla scena nazionale: “la critica comune al Presidente era quella di aver legittimato con il suo distacco l’estremismo di Trump”.
Sul Corriere a pagina 6 la corrispondenza di Giuseppe Sarcina: “Obama, orgoglioso (e solo): ‘Vi lascio un Paese sicuro'”, “Ultimo discorso alla Nazione: lui minimizza, l’America teme attacchi”. Scrive Sarcina: “C’è qualcosa che non torna se si mettono a confronto le priorità di politica interna indicate dal presidente e quelle vissute, più o meno emotivamente, dall’opinione pubblica americana. Per Barack Obama le urgenze sono ancora l’economia o il controllo del commercio delle armi. Per il 51% dei cittadini, secondo un sondaggio della Gallup, l’emergenza numero uno è il terrorismo di matrice islamica”. Probabilmente, scrive più avanti Sarcina, “Obama e i suoi esperti hanno ragione quando valutano gli elementi finora a disposizione. Sul territorio degli Stati Uniti non sembrano essersi radicate organizzazioni pericolose. L’insidia arriva da ‘lupi solitari’, mini-cellule, come i due apprendisti della Jihad, marito e moglie, che il 2 dicembre hanno ucciso 14 persone a San Bernardino, in California”.
Su La Stampa, Paolo Mastrolilli da New York: “L’eredità di Obama: ‘L’America è forte, non abbia paura’”. Scrive Mastrolilli: “‘Lo Stato dell’Unione è forte’. Su questa tradizionale frase, che quasi ogni presidente ha ripetuto durante il discorso annuale davanti al Congresso e al Paese, Barack Obama ieri sera ha cercato di costruire la propria eredità storica. Negare il pessimismo che spargono i repubblicani rivali, ma che domina anche la percezione dell’americano medio, e rivendicare i risultati ottenuti durante i quasi otto anni alla Casa Bianca, a cominciare dalla ripresa economica. Questo per influenzare il dibattito già in corso nella campagna presidenziale, indicare l’agenda delle priorità del prossimo futuro e magari riuscire a garantirsi un successore che almeno in parte prosegua il suo cammino”.
Multiculturalismo
Alle pagine 30 e 31 del Corriere della Sera le opinioni a confronto sul tema “Multiculturalismo” di Carlo Rovelli ed Ernesto Galli della Loggia. Rovelli: “Le leggi (non i valori) regolino l’accoglienza”, “Che l’integrazione sia possibile lo dimostrano città di Paesi e continenti diversi fra loro. La convivenza non deve essere legata a sistemi di giudizi individuali sui comportamenti socialmente ammessi”, “l’impero romano ci insegna che le identità si mescolano, contaminano e si stratificano”. Della Loggia: “Tra le leggi e i valori esiste una corrispondenza nelle società democratiche”, “il rischio è credere che sia reale il mondo levigato e confortevole dove regna la morale del politicamente corretto. In India essere cattolico è un’impresa che può costare anche la vita”, “New York, Shangai o Mumbai possono apparire l’eden di una tolleranza serena delle diversità a chi non frequenta le periferie”.