Da Reset-Dialogues on Civilizations
Per anni hanno attaccato la retorica “politically correct” e si sono scagliati contro l’intellighenzia organica alla sinistra, gli intellettuali francesi Michel Onfray, Jacques Sapir, Pascal Bruckner ed Alain Finkielkraut. Certo, di qui a immaginarli quinte colonne del Front National, il passo pareva decisamente lungo.
Non è così secondo il quotidiano Le Monde che nella sua edizione domenicale dello scorso 20 settembre ha acceso il dibattito sugli intellettuali francesi giudicati “alla deriva”, accusando in particolare lo scrittore Bruckner ed i filosofi Finkielkraut e Onfray di far da sponda al populismo propugnato da Marine Le Pen, nel momento in cui questi – in vero sempre più numerosi – intellettuali “eretici” si manifestano grandemente titubanti quando si confrontano con il messaggio di accoglienza verso i rifugiati annunciato dal Presidente Hollande e dichiarano piuttosto d’esser pronti a battersi per un ritorno alla Francia sciovinista, davvero autonoma tanto in politica monetaria quanto sul fronte economico, ma soprattutto si appellano ad un prepotente ritorno alle radici di un dibattito identitario il cui nuovo refrain sia “prima i francesi”.
Che cosa sia effettivamente in ballo in Francia, lo ricostruisce lo storico corrispondente da Parigi de La Repubblica Bernardo Valli, nel suo meticoloso Se la destra seduce i filosofi francesi, del 25 settembre scorso (p. 59 nell’edizione cartacea): «La breccia aperta di fatto da alcuni [intellettuali], sia pur fermi nel rifiuto di servirsene, fa intravedere a molti il futuro abbattimento delle barriere tra il movimento di estrema destra [Il Front National, ndr], con vecchie tendenze razziste, e l’arco costituzionale, come chiamavano in Italia lo spazio dei partiti democratici dal quale era escluso l’Msi neofascista. […] Negli ultimi anni si è precisata una corrente intellettuale che difende la coesione nazionale, che vede nelle minoranze culturali (in particolare quella musulmana) una minaccia a quell’integrità che considera essenziale l’identità francese ed è animata dal sentimento che essa sia una nozione fissa e immutabile».
Certo, se sull’onda lunga dell’Illuminismo e della teorizzazione del cosiddetto “potere della penna” di Immanuel Kant, all’intellettuale, grazie all’arma della cultura, spettava il preciso compito di spingere la politica a meglio corrispondere ai bisogni della comunità (si pensi in Francia alla lunga tradizione di intellettuali engagés che parte da Voltaire e dal J’accuse di Zola, sino ad arrivare a Sartre, Camus e Foucault in tempi più recenti), oggi sembra sia piuttosto la politica (e in particolare quella di destra) a beneficiare della nuova ondata sovranista di intellettuali che rifiutano la tradizionale figura del letterato quale emblema della Francia repubblicana che si oppone ai pregiudizi razziali o di matrice religiosa.
A sorprendere sono soprattutto coloro che palesemente stanno abbandonando il tradizionale schieramento della sinistra in cui le loro prime idee sono germogliate, ma che oramai non ritengono più tale schieramento quello capace di corrispondere adeguatamente alle esigenze di giustizia sociale che il popolo francese rivendica: tra i primi, si ricorda il geografo Christophe Guilluy autore dell’Atlas des nouvelles fractures sociales (2004), un libro in cui l’aumento del numero degli immigrati veniva messo in rapporto diretto con la crescente perdita di posti di lavoro per i cittadini francesi, divenuti a dire di Guilluy ormai invisibili agli occhi dei politici. “Facile dirsi per l’apertura culturale quando si è ricchi, perché si percepisce in modo più propenso all’empatia il tema dell’identità rispetto a chi vive nei distretti popolari”, questo il paradossale messaggio di Guilluy, recuperato a più riprese dalla figlia del fondatore del Front National. Un altro caso è quello della demografa Michèle Tribalat, ricercatrice dell’Istituto nazionale di studi demografici di Parigi, che nel suo libro Les yeaux grand fermés: l’Immigration en France (2010) ha diffuso numerose statistiche che dimostrerebbero quanto gli immigrati siano più propensi a delinquere rispetto ai francesi d’origine autoctona.
Più complesso è il caso dell’economista Jacques Sapir, già direttore dell’École des Haute Études en Sciences Sociales di Parigi, che oggi afferma di sentirsi ancora ancorato alla galassia della sinistra, ma al contempo imbarazzato dinanzi a un’Europa fondata sull’austerity e su una parità del tasso di cambio insostenibile tra paesi dalle economie così diverse come quelli dell’Eurozona. Per questo egli ha recentemente proposto di fondare un “Fronte di liberazione nazionale” cui dovrebbero prendere parte tutti i partiti e i movimenti contrari all’austerity, tra cui, neanche a dirlo, anche il Front National. Eppure, come osserva ancora Bernardo Valli, se può essere accettato che anche a sinistra possano avere cittadinanza le idee sovraniste in politica economica, non si può invece comprendere come una sinistra moderna tradizionalmente inclusiva verso gli immigrati possa accogliere legittimamente la lezione di chiusura verso l’immigrazione propugnata da autori come Sapir.
La polemica si è rinfocolata davanti all’immagine di Aylan, il bimbo curdo morto sulla spiaggia turca di Bodrum, non riuscendo a scampare alla traversata verso l’Europa, sogno di riscatto per la sua famiglia. Un’immagine che ha certamente smosso le coscienze dell’opinione pubblica mondiale e, insieme, quelle dei governanti, a partire da Angela Merkel che ha deliberato la riapertura delle frontiere tedesche per accogliere circa ottocentomila migranti siriani.
Già il 3 settembre, in un’intervista a Le Figaro dal titolo «L’Europe se flagelle, s’accuse des tous les maux a défaut d’agir», lo scrittore Pascal Bruckner – recentemente rientrato da una missione in Iraq alla scoperta della reale condizione di vita delle minoranze più perseguitate quali i Cristiani, gli Sciiti ed i Curdi – pensatore già dagli anni Settanta in rotta con il marxismo tradizionale e membro della corrente dei nouveau philosophes, accusava l’opinione pubblica europea di farsi sopraffare dall’“ondata emotiva” innescata dall’uso di un’immagine (eloquentemente paragonata alle immagini della Guerra in Vietnam), anziché agire partendo da uno studio approfondito circa la vera situazione sul campo in Siria e dalla presa di coscienza circa gli squilibri tra le diverse formazioni che si contendono il paese, sostenute ora dalla Turchia (Daech) ora dalla Russia (Assad), con i Curdi tanto per cambiare lasciati al loro destino.
L’11 settembre è stata poi la volta del filosofo Michel Onfray a rincarare la dose, sempre su Le Figaro, nell’intervista dal titolo «On criminalise la moindre interrogation sur les migrants», in cui il filosofo libertario francese, teorico della “politica del ribelle” e pensatore tra i più conosciuti d’Oltralpe, è giunto ad azzardare che la foto del piccolo Aylan riverso sulla spiaggia, scalzato dalle onde di un grigio mare impietoso, potesse essere stata manipolata proprio al fine di rimpiazzare con l’“emozione”, una politica fondata intorno alla “ragione: «Per quanto sia venuta bene, una foto rimane sempre un’idea. Nell’era digitale una foto può essere manipolata dal primo che passa, non si sa mai – di conseguenza – se la foto dica davvero quello che la leggenda che le si affida le fa dire. […] Con parole infiorettate, con semplici slogan è più facile intrattenere il nostro pubblico che attraverso un’analisi saggia, ben argomentata e precisa» ha affermato Onfray. Anzi, a dire del filosofo di Chambois, nel momento in cui un accademico prenda in esame questioni quali i tassi di immigrazione e quelli di natalità, immediatamente verrebbe tacciato da parte della pubblica opinione di essere portatore di un messaggio razzista che fa il gioco delle destre: «Ormai è divenuto impossibile farsi troppe domande: e allora come pensiamo di risolvere i problemi? Il fatto stesso di proibire una domanda significa non avere la possibilità di dare risposte. Ormai si è trasformato in colpevole chiunque si faccia una domanda» aggiungeva Onfray a Le Figaro.
Di qui è divampata sui giornali e in tv (Onfray ha infatti partecipato nei giorni successivi all’intervista per il quotidiano conservatore al seguitissimo talk show “On n’est pas couché” in diretta su France2 in cui ha sostanzialmente ribadito le sue posizioni), una polemica molto accesa tesa a stigmatizzare le parole e le illazioni dell’autore della Controstoria della filosofia (collana in italiano pubblicata da Fazi e Ponte alle Grazie), accusato di fare il gioco della Le Pen, cui Onfray ha prontamente risposto dalle colonne di Le Monde il 20 settembre nel suo intervento Marine si tu m’entends…, in cui Onfray non si è detto scosso da una controversia intellettuale che anzi egli aveva ampiamente preventivato sin dalla sua intervista a Le Figaro e si è invece soffermato nel ribadire la sua storica appartenenza al campo politico libertario “della sinistra”, interessato soprattutto al contrasto della pena di morte ed alla legalizzazione dell’eutanasia e del matrimonio omosessuale; un campo politico – di conseguenza – a dire di Onfray del tutto lontano dalle idee di Marine Le Pen. Nondimeno, l’intellettuale ha poi messo in evidenza come ormai anche la stampa più raffinata debba pienamente legittimare le opinioni di Marine Le Pen, ormai distanti rispetto all’antisemitismo che caratterizzava quelle del padre Jean-Marie, e capaci invece di misurarsi ormai pienamente sull’arena del confronto liberaldemocratico. È la sinistra intellettuale che censura e stigmatizza le voci fuori dal coro (guarda caso quelle più affini, a suo dire, al sentimento dei francesi), asserisce Onfray, a fare il gioco della Le Pen: «Quella falsa sinistra, quei giornalisti, quegli intellettuali organici, quella classe politica bisognosa di essere eletta e rieletta ha rinunciato davvero alla sinistra, non io!» conclude polemicamente Michel Onfray.
Al governo – come ben rammenta Stefano Montefiori sul Corriere del 21 settembre nel suo articolo Francia, il “Fronte” degli intellettuali – aveva del resto già fatto tremare i polsi quel “l’Europa non esiste a differenza della Francia. Io non mi sento affatto Europeo, mi sento francese…” pronunciato dallo scrittore Michel Houellebecq, l’autore del controverso Sottomissione (2015) e de Le particelle elementari (1998), il romanziere oggi più letto fuori dai confini francesi. Leggendo Houellebecq sembra di rileggere uno dei saggi americani dei teorici della cosiddetta Virtue-inculcating come William Bennett o Allan Bloom, preoccupati dal declino delle società occidentali colpevoli d’aver perduto ogni riferimento al valore e quindi pronte – se non s’invertirà la tendenza – a lasciarsi dominare da uomini più forti, com’è il caso dei musulmani e della loro matrice culturale, a dire di questi autori, ineffabile agli occhi del sempre più pigro uomo occidentale.
Adesso le fila degli intellettuali che hanno preso a schierarsi contro la cosiddetta “pensée unique” si stanno ingrossando e appaiono sempre più trasversali, tanto che un giornale irriverente come Marianne (giornale nato anch’esso nella galassia della gauche) sta organizzando una serata sciovinista per il prossimo 20 ottobre cui prenderanno parte tutti i protagonisti intellettuali del dibattito sovranista di questi giorni. La cosa più eloquente di tutte riguarda il luogo che ospiterà la grande convention, ovverosia la Maison de La Mutualité di Parigi, un edificio simbolo della cultura di sinistra francese, nata per ospitare il Trentesimo congresso della SFIO (1933) e dotata di assai eloquenti 1.789 poltrone a sedere proprio in omaggio alla Révolution.
Il direttore di Libération Laurent Joffrin in un articolo al vetriolo, En réponse à Michel Onfray, se la prende con il filosofo di Chambois, sottolineando quanto le sue posizioni intellettuali ormai ampiamente moniste rappresentino piuttosto una ripicca nei confronti del vecchio campo socialista, da cui Onfray in prima persona proviene, e non già una reale evoluzione del pensiero di un intellettuale stimabile ancorché “eretico”. Scrive, per esempio Joffrin: «Viene tristezza a leggere le parole del filosofo, caratterizzate da un semplicismo argomentativo inquietante, che sembra confermare uno strano risentimento verso le idee di sinistra, un ritorno alle ormai arrugginite idee sull’identità, un disprezzo dei fatti e una malvagità brutale che riprova piuttosto la voglia di resa dei conti nei confronti della propria famiglia di provenienza e non un’evoluzione intellettuale interessante».
Anche il giornale Le Monde, attraverso un articolo firmato dal caporedattore delle pagine culturali Nicholas Truong, non esita a definirsi esterrefatto dal nuovo vigore intellettuale assunto negli ultimi tempi dai novelli sovranisti. Se in agosto, per il maggiore quotidiano francese, s’era già aperto un fuoco di fila con Houellebecq che, in seguito ad alcune recensioni estive della giornalista di Le Monde Ariane Chemin tese a stroncare i suoi più recenti lavori, si era limitato a mandare una mail alla redazione dal tono particolarmente perentorio che minacciava querele giudiziarie nei confronti del giornale per una ricostruzione ritenuta denigratoria del proprio pensiero, oggi con la paginata Des intellectuelles à la dérive (pp. 16-17 dell’edizione cartacea del 20 settembre), Nicholas Truong muove contro tutto e contro tutti. A dire di Truong, infatti, Libération sarebbe colpevole di voler censurare il dibattito sovranista, ma allo stesso tempo, il “nuovo populismo” di Onfray sarebbe spudoratamente ammiccante verso il fronte Lepenista: una virata intellettuale, quella di Onfray e dei suoi nuovi compagni, giudicata da Truong “reale e incontrovertibile” al netto dei tiepidi tentativi di difesa del filosofo, consegnati alle stesse pagine di Le Monde. Secondo Truong, ancora, il mondo della cultura francese apparirebbe sempre più in difficoltà davanti alla frattura discorsiva che si sta cristallizzando in queste settimane, quasi che la scelta di campo di aderire al fronte sovranista o piuttosto alla squadra dei democratici-pluralisti (ultimamente dalla voce più flebile?) sia ormai una scelta obbligata. Il rischio Weimar, argomenta Truong, è sempre più in agguato in un tale clima di accuse reciproche a mezzo stampa, un clima in cui le idee che soccombono prima sono senz’altro quelle più pluraliste e aperte, capaci di concepire l’alterità come foriera di ricchezza, lasciando il campo libero a chi esiga la chiusura a riccio di una nazione dall’immagine vieppiù appannata, a dire di Truong, anche nell’arena delle istituzioni comunitarie.
Intanto, a riconfermare la vocazione della Francia quale patria della laicità (anche d’opinioni) e luogo per eccellenza in cui può trovare espressione il pensiero critico, ci pensa il giudice: il 22 settembre, infatti, il tribunale correzionale di Parigi, infatti, si è espresso per il non luogo a procedere nei confronti dell’editorialista di estrema destra Eric Zemmour (firma di Le Figaro) su un caso che lo riguardava per istigazione all’odio nei confronti degli immigrati, accusati via radio da Zemmour di essere i campioni di ogni nefandezza nelle città francesi, “membri di bande che vandalizzano, violentano e deturpano tutto quanto”. Si vocifera che anche l’assolto Zemmour, autore lo scorso anno di un polemicissimo pamphlet dal titolo Le suicide français tutto dedicato all’attacco nei confronti dell’immigrazione, parteciperà alla serata degli “intellettuali fuori dal coro” organizzata alla Mutualité. Per il momento il polemista di Montreuil si è limitato a scrivere un’eloquente lettera al suo “nuovo amico” Onfray per dargli il “benvenuto tra i populisti”.
Anche a seguito di questa pronuncia del giudice, percepita dalla stampa reazionaria come una vittoria del fronte della democrazia “eretica”, venerdì 25 settembre, la rivista Valeurs Actuelles, ha rilanciato l’ipotesi del proprio giornalista Geoffray Lejeune, pubblicata nel libro Une élection ordinaire (2015), per candidare lo stesso Eric Zemmour alle prossime presidenziali del 2017 a capo di una coalizione sovranista e irriverente rispetto alle cristallizzazioni del potere che si sono sedimentate in questi anni. Pur sostenendo che siano “sondaggi bidone”, anche Le NouvelObs, s’è detto preoccupato da un candidato giudicato addirittura “più pericoloso” della Le Pen” e il periodico parigino ha annunciato dalle sue pagine che sarebbe bene interrogarsi chiedendosi se Zemmour possa essere veramente un competitor valido, visto che il suo nome è dato già a oltre il 10% dei consensi in caso di discesa in campo… Anche il mondo di Twitter si è ovviamente lanciato nella mischia con una pioggia di cinguettii pro o contro l’eventuale candidatura dell’assolto polemista con i seguitissimi hashtag #Zemmour Président e #Zemmour à l’Elysée.
Mentre il fronte degli intellettuali già “non allineati” rinfoltisce le sue schiere e presta il fianco alla battaglia antieuropeista di Marine Le Pen, la polemica tra la Francia monista e sovranista e quella pluralista e accogliente non è che agli inizi. Il verdetto delle Regionali del dicembre prossimo (per cui ad oggi il Front National è dato in vantaggio) saprà senz’altro annunciare quanto il fuoco di una polemica sino ad ora solo intellettuale avrà penetrato le maglie della società francese nel suo complesso.
Nella foto: Michel Onfray
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