Da Reset-Dialogues on Civilizations
Per la Turchia si è chiusa una settimana che a lungo sarà ricordata nella storia recente del Paese. Nella tarda serata di domenica 6 settembre notizie di scontri dal confine costringono il premier Ahmet Davutoglu a partire d’urgenza per Ankara per un vertice straordinario sulla sicurezza nazionale. La sera stessa degli scontri, il presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdogan ospite della Cnn, commentava a caldo la notizie provenienti dal sud-est: “Se un partito avesse avuto 400 parlamentari e riformato la costituzione non saremmo in questa situazione”. Erdogan da presidente della Repubblica, figura imparziale, non cita il partito, ma di certo non si trattava dei filo curdi dell’Hdp, ritenuto da Erdogan l’ala politica del Pkk, il quale “con l’Hdp in parlamento è diventato più forte e ora è passato all’attacco”. Dei 16 soldati uccisi a Daglica, al confine iracheno, in seguito a un attacco del Pkk, la Turchia lo saprà solo il pomeriggio del giorno dopo.
Gli attacchi di Daglica, le parole di Erdogan, gettano il Paese in uno stato di tensione latente, che esplode con la notizia con cui la Turchia si sveglia martedì mattina: 14 poliziotti uccisi in un agguato del Pkk. 30 morti in 48 ore, 100 in un mese e mezzo e la tensione nel Paese ormai si taglia a fette.
La sede del quotidiano Hurriyet subisce due diversi attacchi in 48 ore. Ultranazionalisti, fascisti e sostenitori dell’Akp accusano il giornale di aver volutamente travisato le parole di Erdogan, di fare così campagna elettorale per l’Hdp.
Il 9 e 10 settembre un’ondata di violenza divampa nelle strade della Turchia : circa 130 sedi del partito filo curdo Hdp sono state attaccate da gruppi ultranazionalisti. La sede centrale di Ankara è stata la prima a essere messa a ferro e fuoco. Cortei di ultra destra, cui hanno partecipato anche esponenti politici del partito nazionalista Mhp e della galassia fascista turca, da sempre anti curda, o altre come l’associazione ottomana, vicina all’Akp, hanno imperversato nel Paese appiccando il fuoco, bersagliando con pietre e sostituendo la bandiera della Turchia alla bandiera del Hdp.
Il leader del partito Selattin Demirtas ha fatto presente che “la polizia era stata avvisata preventivamente dei cortei e del possibile pericolo”. Gli ha fatto eco il deputato Garo Paylan, il quale ha polemizzato sull’attacco di Ankara affermando :“è stato data a fuoco la nostra sede mentre la polizia guardava”. Nell’incendio in cui è andata distrutta la sede, ha fatto sapere l’emittente IMC, è andato perso l’archivio del partito.
Tensione e paura in un Paese che si è ritrovato all’improvviso nel clima buio degli anni 90, quando essere curdi era una colpa. L’impressione netta è che il conflitto dal piano militare abbia fatto un passo nel sociale, che gli scontri non riguardino più solo esercito e ribelli, ma arrivino fin nelle piazze, strade, case della gente comune. Che si tratti di qualcosa di più concreto di una percezione condivisa è confermato dal fatto che il governo ha imposto il coprifuoco a Cizre.
Cizre: spari, urla, silenzio
Cizre è una cittadina a pochissimi chilometri da due tormentati confini, quello siriano e quello iracheno, snodo quasi obbligato per il passaggio dei separatisti, cuore della provincia di Sirnak, roccaforte del Pkk, ha celebrato dopo otto giorni di coprifuoco i funerali di 16 cittadini. Lo scorso 10 settembre una delegazione dell’ Hdp, composta di 30 parlamentari,due ministri e capeggiata dallo stesso Demirtas, è stata fermata dall’esercito mentre cercava di raggiungere l’area, per giorni al centro di operazioni militari. Obiettivo della delegazione era quello di raccogliere informazioni sulle condizioni sanitarie dei civili, verificare eventuali violazioni di diritti umani e capire cosa è successo nei giorni precedenti, dopo che il coprifuoco ha precipitato la zona in una bolla di silenzio.
La decisione di respingere la delegazione, che ha poi tentato di raggiungere Cizre a piedi salvo essere fermata dalla polizia, è stata confermata nei giorni seguenti da Davutoglu, il quale ha detto che le misure prese “continueranno a rimanere in vigore per tutto il tempo che il governo e l’esercito riterranno necessario” invitando tutti i partiti a “rispettare le condizioni di sicurezza”.
Gli ha fatto eco il ministro degli Interni, Selami Altinok: “Consideriamo l’arrivo della delegazione come un fattore di provocazione tale da poter causare incidenti ecco perché, per questioni di ordine pubblico, alla delegazione non è stato permesso l’accesso a Cizre”.
Con la pressione dell’Ue e l’attenzione dei media internazionali la strada per Cizre è stata riaperta e Altinok ha rivendicato la necessità delle misure prese ricordando che “30 terroristi sono stati uccisi, altri 10 arrestati, 800 chili di esplosivo e un gran quantitativo di armi sequestrate”.
“Nessun civile è rimasto coinvolto” ha assicurato il premier Davutoglu.
Questa versione dei fatti si scontra con un’altra realtà, ben più tragica, raccontata dagli avvocati dell’Hdp, che denunciano la morte di almeno 20 civili e le condizioni di totale isolamento che il coprifuoco ha imposto alla popolazione; impossibilitata a reperire beni di prima necessità, irraggiungibile da ambulanze e medici. Emblematico il caso riportato dall’avvocato Ertugrul Kurkcu alla Bbc: un uomo colpito da 2 colpi d’arma da fuoco mentre andava a comprare il pane, per poi morire dissanguato perché alle ambulanze era precluso l’accesso all’area. Una donna, Zeynep Taskin, è stata colpita sulla soglia di casa con ancora il figlio in braccio. Anche per lei nessuna ambulanza e una morte lenta, con le foto del cadavere avvolto in teli sotto impacchi di ghiaccio per l’impossibilità di darvi sepoltura per 3 giorni, che hanno fatto il giro del web. Negli scontri è morto un bambino di appena 35 giorni.
L’intreccio con la politica
L’Hdp accusa il governo di aver punito Cizre per aver votato in massa (92%) l’Hdp alle scorse elezioni, quando con il superamento della soglia del 10% i filocurdi sono entrati in parlamento impedendo all’Akp di Erdogan di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento.
Ed è l’intreccio con la politica quello che più spaventa “Hanno voluto impartire una punizione esemplare a chi ci ha votati, hanno lanciato un messaggio a tutte le città in cui l’Hdp governa, ma le conseguenze potrebbero essere incontrollabili in tutto il sud est” ha fatto presente Demirtas.
Sono passati due mesi da quando Erdogan e Davutoglu giurarono all’unisono che avrebbero fatto di tutto per impedire la nascita di uno stato curdo. Una battaglia che la Turchia avrebbe prevedibilmente combattuto oltre il proprio confine sud. L’occupazione con gli Usa di un pezzo di territorio siriano, tale da frustrare le velleità dei curdi siriani di ricongiungere le enclave nelle quali sono maggioranza etnica, va sicuramente letta come una mossa in questo senso. Gli interrogativi erano però rivolti alle politiche di Ankara nei confronti dei curdi in Turchia.
Sepolto il processo di pace, a partire dal 23 di luglio scorso, più di 100 uomini delle forze di sicurezza turche sono rimasti uccisi negli attacchi del Pkk, sistematicamente seguiti dai bombardamenti effettuati dagli F16 turchi (1000 terroristi uccisi secondo l’esercito). La guerra nel sud est del Paese è ricominciata e l’intreccio con la politica è evidente nelle ripetute accuse da parte dell’Akp nei confronti dell’Hdp di essere l’ala politica del Pkk. I tentativi di esacerbare il conflitto da un lato, magnificando l’operato del governo dall’altro rispondono a chiare esigenze elettorali.
“Democrazia o terrore. Stabilità o guerra” questa è la strategia elettorale dell’Akp, più volte ripetuta dallo stesso Erdogan.
Con Cizre, con gli attacchi alle redazioni dei giornali critici contro il governo e alle sedi dell’Hdp si ha però l’impressione di essere sull’orlo del passaggio del conflitto dall’ambito militare all’ambito sociale. Ulteriore prova è l’indagine aperta a carico di Selattin Demirtas, accusato di “propaganda terroristica” e di aver alimentato nei curdi l’idea che il governo stia mettendo in atto delle azioni provocatorie per erodere il successo dell’Hdp. Tutto questo avviene mentre i media continuano a mandare immagini di funerali dei militari e poliziotti morti negli attacchi del Pkk e rabbia e tensione montano senza soluzione di continuità.
Se in un primo momento il tentativo dell’Akp era chiaramente indirizzato a conquistare voti ai nazionalisti cavalcando l’opzione interventista è assai probabile che, con la quasi immobilità delle percentuali mostrata dai sondaggi eseguiti in seguito alla ripresa dei raid aerei, anche le strategie politiche siano cambiate. La tensione sociale crescente, gli attacchi contro i curdi ed episodi come quelli di Cizre sollevano seri interrogativi sulle possibili reazioni da parte della popolazione curda a una siffatta situazione. La fine della pace sociale porterebbe alla dichiarazione dello stato di emergenza e spostamento delle elezioni. Una prospettiva che, in caso l’Hdp dovesse rimanere sopra la soglia del 10%, all’Akp non dispiacerebbe affatto.
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