Il Corriere della sera: “Libia, i gommoni della morte”. “Naufragio con decine di migranti dispersi. Il patto segreto tra Tripoli e gli scafisti”. E poi: “Chiesto il riscatto per i quattro italiani rapiti. Il governo: nessuno scambio”.
In alto: “Un maxi processo per l’Ilva di Taranto. Tra i 47 rinvii a giudizio il sindaco Stefàno, Vendola e Ferrante”. “Ma la Camera vota e difende gli altiforni”.
A centro pagina, con foto, la notizia della quotazione di Ferrari: “La Ferrari in Borsa, correrà a Wall Street”.
“Un conflitto che è durato troppo” è il titolo dell’editoriale di Dario Di Vico.
A fondo pagina la cronaca: “‘Ha ucciso per me, lo amerò lo stesso’. Le parole choc della ragazza dell’assassino di Ismaele: l’ha sgozzato e mi ha chiamata”.
La Repubblica: “Disastro all’Ilva, anche Vendola nel processo Ilva”, Taranto, 44 rinviati a giudizio per l’inquinamento. L’ex governatore della Puglia accusato di concussione. Lui si difende: ‘Mai a libro paga, sono tranquillo’”.
A centro pagina: “Strappo di Verdini, addio Berlusconi”, “Il fedelissimo forma un gruppo al Senato pronto al sì sulle riforme”.
A fondo pagina, dopo gli articoli del New York Times sul degrado di Roma: “La Grande Bruttezza di Roma, il degrado visto dall’America”, di Vittorio Zucconi.
In prima una grande foto del pianeta Kepler-452b e lo storico annuncio della Nasa: “Scoperta un’altra Terra, ‘Ecco il nostro gemello’”.
Sulla colonna a destra: “Se il Vaticano ‘sanziona’ Repubblica”. E un editoriale attribuibile alla direzione, in cui si dà conto della esclusione del vaticanista del quotidiano dall’aereo papale (Marco Ansaldo) che porterà il Pontefice a Cuba. La ragione ufficiale, si legge, è legata all’eccesso di richieste per il volo. Ma nella stessa giornata di ieri si è sovrapposta alla prima una spiegazione più politica: si tratta della pubblicazione dell’Enciclica in anticipo sul momento deciso dalla Santa Sede.
A fondo pagina: “La hit parade delle università: Siena in testa, il Nord batte il Sud”, “La classifica Repubblica-Censis”.
La Stampa, in apertura a sinistra: “Tasse, si allarga il fronte: ‘La casa? Prima il lavoro’”, “Dibattito dopo l’annuncio dell’abolizione della Tasi”, “Renzi: basta con l’Europa maestrina”.
Nella parte alta della pagina campeggia la foto del pianeta Kepler452b: “La Nasa scopre una nuova Terra”.
In prima anche il “caos trasporti” a Roma: “La vergogna dell’Atac di Roma”, di Stefano Lepri.
Sulla colonna a destra: “Anche Vendola a processo per il disastro dell’Ilva”.
E un articolo di Francesco Manacorda, che racconta l’acquisto da parte della Nikkei, il maggior gruppo editoriale giapponese, del Financial Times: “Financial Times. Il mito diventa giapponese”.
Il Sole 24 ore: “Fmi: negoziamo sulla Grecia solo se il debito viene ridotto”. “Dopo il sì del Parlamento a Tsipras”.
Il titolo grande: “Mini-riforma dei fallimenti, cosa cambia per le imprese”. “Nel concordato quota minima del 20 per cento sui pagamenti ai creditori”. “Alla Camera sì alla fiducia al decreto legge sulla giustizia. Oggi voto finale, poi il testo al Senato”.
Di spalla: “Caso Ilva, 47 rinvii a giudizio per disastro ambientale. A processo anche i Riva e Vendola”. “Distinguere processo e azienda” è il titolo di un commento sul quotidiano di Confindustria.
A centro pagina. “Ferrari pronta per Wall Street”. “La sede fiscale resta in Italia. Possibile anche lo sbarco a piazza Affari”. “Depositato alla Sec il prospetto per l’Ipo: sarà collocata una quota non superiore al 10 per cento”.
A fondo pagina: “Finisce un’epoca: Financial Times made in Japan”, sulla notizia dell’acquisto da parte di Nikkei dello storico quotidiano britannico. “Pearson cede la testata al gruppo Nikkei”.
Il Manifesto ha in prima una grande foto dell’Ilva di Taranto sotto il titolo: “Processo rovente”, “Quarantasette rinvii a giudizio per il disastro ambientale provocato dall’Ilva di Taranto. Alla sbarra i figli del patron Riva, accusati di associazione a delinquere con altri dirigenti. Sotto accusa per concussione anche l’ex governatore Vendola. Per la procura il polo siderurgico avrebbe provocato 368 morti”.
E il quotidiano intervista lo stesso Vendola, che dice: “Rifarei tutto. Io, solo contro il gigante”.
In prima anche il caso Crocetta. Il governatore della regione Sicilia ieri è intervenuto all’Assemblea regionale: “Sfida di Crocetta: ‘Contro me killeraggio e calunnie. Resto. No ai diktat di Roma’. Renzi: governi bene oppure a casa”.
E su Forza Italia e Denis Verdini: “Nel giorno del suo rinvio a giudizio per bancarotta, Verdini lascia l’amico Silvio e abbraccia l’amico Matteo”.
A fondo pagina anche le ultime tragedie dei migranti: “Nuova strage nel Canale di Sicilia: secondo i 283 sopravvissuti, almeno 40 i morti nel naufragio”.
Sulla crisi greca: “Ok al secondo round di riforme. C’è anche il sì di Varoufakis”.
Il Giornale: “La ricucitura è finita. Verdini molla Forza Italia e passa con Renzi”. “Altro strappo nel centrodestra”.
Il titolo più grande: “Patentini e controlli. Nuova tassa sul caldo”. “I condizionatori nel mirino di fisco e burocrazia: ecco chi dovrà pagare”. E poi: “Alitalia folle: uno sciopero manda in tilt le vacanze”. “Manca l’imposta sulle corna” è il titolo del commento di Vittorio Feltri.
A centro pagina: “L’Espresso non ha prove in mano, solo un audio sentito un anno fa”. “Crocetta rischia di salvarsi”.
A fondo pagina la notizia che “Chi” compie 20 anni, con intervista al direttore Signorini che anticipa e “svela” i gossip di agosto, “dalla Boschi alla De Filippi”.
Ilva
Su Il Manifesto, pagina 2: “Disastro Ilva, 47 rinviati a giudizio”, “Per la Procura un’associazione a delinquere: la famiglia Riva, i dirigenti dell’impianto, l’ex prefetto Ferrante. Ma in aula a ottobre imputati anche politici e amministratori”. Il quotidiano intervista l’ex governatore Nichi Vendola, che dice: “Sono sicuro dell’assoluzione piena”. Rifarebbe tutto quello che ha fatto in dieci anni di governo? Vendola: “Assolutamente sì. Anzi, speravo in un’assoluzione piena, visto che durante l’udienza preliminare sono stati smontati tutti i punti del teorema accusatorio sulla presunta concussione aggravata di cui mi sarei macchiato”. Vendola spiega: “se me ne fossi disinteressato come i miei predecessori al governo della Puglia o come tanti altri colleghi di altre Regioni e se non avessi messo al centro della mia azione di governo la lotta ambientale, probabilmente oggi non mi troverei invischiato in questa paradossale vicenda giudiziaria”. Vendola rivendica di essere riuscito, con la sua giunta, “a far aprire il primo centro Inail all’interno della fabbrica, per poi approdare sul terreno dell’inquinamento attraverso la prima legge in Italia sul campionamento della diossina nel 2008 e il rafforzamento dell’Arpa Puglia che all’epoca era soltanto una scatola vuota. E’ grazie a quella legge se sono iniziati i primi campionamenti sui camini dell’Ilva: nei primi 50 anni di vita di quell’azienda non si era mai visto nulla del genere”. Poi rivendica: “Abbiamo anche realizzato la prima legge regionale sul contenimento del benzoapirene nel febbraio 2100, dopo che, con il decreto di Ferragosto del 2010 il governo Berlusconi spostò in avanti di tre anni l’entrata in vigore della direttiva europea sulla qualità dell’aria. E infine la legge sulla valutazione del danno sanitario approvata nel 2012”. Eppure, obietta il cronista Gianmario Leone, la accusano di aver fatto pressioni sull’Arpa e di aver consentito in questo modo all’Ilva di proseguire impunita. Vendola: “E io, dunque, nonostante tutto questo lavoro avrei dovuto fermare l’Arpa Puglia facendo pressioni sul direttore Assennato? Tra l’altro, a sostegno di questa tesi viene portata una presunta delibera che io avrei fatto approvare nel giugno 2010, peccato che quella delibera non sia mai esistita”. E di Assennato dice: “Un uomo conosciuto come uno scienziato di fama internazionale, rigoroso, incorruttibile, che si è sempre rifiutato di lavorare per i privati ed ha servito con onore la pubblica amministrazione”.
Su La Repubblica, pagina 10: “Ilva, anche Vendola nel processo ai Riva per disastro ambientale”, “Taranto, 47 rinvii a giudizio e due condanne. Il leader di Sel accusato di concussione aggravata”. E anche qui troviamo un’intervista a Nichi Vendola: “Mi strappano la pelle di dosso ma io ero l’unico non a libro paga”. Delle carte dell’inchiesta, secondo cui avrebbe esercitato pressioni perché il capo dell’Agenzia regionale per l’Ambiente Assennato ammorbidisse la posizione della stessa Arpa nei confronti delle emissioni nocive prodotta dall’acciaieria, dice: “Neppure quelle carte possono smentire il lavoro straordinario che abbiamo fatto per battere l’onnipotenza dei Riva. Noi abbiamo ingaggiato un corpo a corpo con i veleni, per mettere in equilibrio lavoro e salute”. Il giornalista, Lello Parise, fa riferimento alla telefonata intercorsa tra Vendola e l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva Archinà, “è quella che l’ha messa alla gogna, battute e risate”. Vendola: “Quella telefonata non appartiene al processo penale,ma al processo politico-mediatico. Quella conversazione, privata del suo contesto, si presta ad ogni illazione. Ma il suo contesto era delicatissimo: ottenere dall’Ilva un passo indietro sul licenziamento di 804 lavoratori e contemporaneamente convincere i Riva a comprare di tasca loro le centraline (come avevano fatto Enel e Cementir) per il monitoraggio diagnostico degli impianti che servivano ad acclarare la fonte dello sforamento del benzoapirene”. Poi Vendola denuncia “la fumosità di un’accusa che è stramba: perché avrei dovuto agevolare i Riva? Bastava che non operassi per agevolarli. Invece, ho operato”.
Sul Manifesto, a pagina 2, attenzione anche al decreto del governo che ieri ha ottenuto la fiducia della Camera: “E il governo blocca la magistratura con un nuovo decreto legge”, “Allentate le regole sulla sicurezza contro il sequestro dell’altoforno”. Il decreto “fallimenti” in questione contiene, all’articolo 3, norme sulla continuità aziendale originariamente previsto nel decreto Ilva-Fincantieri che a questo punto decadrà. Nel testo approvato ieri dalla Camera “è previsto -scrive il quotidiano- che per le aziende di interesse strategico nazionale, come l’Ilva, il sequestro giudiziario relativo a ipotesi di reato riguardanti la sicurezza dei lavoratori non può impedire l’esercizio dell’attività d’impresa se entro 30 giorni viene predisposto un piano di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. Tale piano è trasmesso ai vigili del Fuoco, alla Asl e all’Inail per le rispettive attività di vigilanza e controllo, che devono garantire un monitoraggio costante degli impianti oggetto di sequestro anche tramite ispezioni dirette a verificarne l’attuazione. Una norma varata anche a seguito dello stop imposto dalla magistratura all’altoforno 2 dell’Ilva di Taranto, a cui invece governo e azienda si oppongono fermamente. Secondo la Procura ionica infatti, l’incidente che lo scorso 8 giugno causò la morte dell’operaio 35enne Alessandro Morricella è stato causato dal fatto che l’impianto in questione non disporrebbe dei requisiti minimi di sicurezza: da qui la decisione del pm De Luca, titolare dell’inchiesta di omicidio colposo che vede 10 indagati fra cui il direttore dello stabilimento Ruggero Cola, di sequestrare senza facoltà d’uso l’altoforno 2. Decisione poi confermata dal gip Rosati che ha disposto lo stop dell’impianto, appellandosi nei giorni scorsi alla Corte costituzionale, dopo aver evidenziato tratti di incostituzionalità nell’intervento del governo tramite decreto legge”. Secondo l’azienda, invece, “come confermato dai tre commissari straordinari in audizione davanti alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, l’incidente averebbe avuto origine da un’errata manovra umana”.
Su La Stampa, pagina 7, il reportage da Taranto di Paolo Baroni: “Tra paura e speranza Taranto aspetta di conoscere il suo futuro”, “Si allenta il braccio di ferro governo-procura”, ma Gnudi (il commissario straordinario Ilva) dice “il rischio di chiusura c’è”. E sulla stessa pagina si dà conto della preoccupazione del presidente della Confindustria di Taranto, Vincenzo Cesareo: “Siamo molto preoccupati dello scontro con i pm. L’Altoforno non va fermato”, “ci attendiamo che quel decreto venga applicato” (in riferimento al decreto governativo sulle aziende di interesse strategico nazionale come Ilva, ndr). C’è uno scontro di potere senza precedenti tra Procura e governo, fa notare il cronista che lo intervista. Cesareo: “Anche se la magistratura esclude che sia in atto uno scontro del genere, come ha spiegato lo stesso procuratore Sebastio, anche se i magistrati spiegano che non è questa la loro intenzione, questo scontro è nei fatti. E questo è tanto più grave se si considera che adesso l’Ilva è di fatto controllata dallo Stato, che attraverso i suoi commissari ne ha preso la piena gestione”.
Su La Repubblica anche un’analisi di Adriano Sofri: “Inquinamento, debiti e morti sul lavoro, l’acciaieria diventa la Grecia d’Italia”, “L’8 giugno è morto un altro lavoratore: l’azienda lo accusa di aver causato l’incidente”.
Dario di Vico sul Corriere scrive che “quello che partirà in ottobre a Taranto sarà di fatto un maxi-processo allo stabilimento siderurgico più grande d’Europa e che in passato è stato il vanto della città e dell’intero Sud. Accettando nella sostanza l’impianto accusatorio del procuratore Franco Sebastio il giudice dell’udienza preliminare Vilma Gilli ha ieri deciso il rinvio a giudizio di 44 persone e 3 società con l’accusa di disastro ambientale. Nel mazzo c’è di tutto: proprietari, dirigenti, amministratori pubblici, politici, funzionari e persino un sacerdote. Non è stata risparmiata nemmeno una figura come Nichi Vendola, segretario di un partito, Sel, che ha la parola ecologia nella ragione sociale”. Di Vico si sofferma su una dichiarazione del procuratore Sebastio: non essendoci precedenti il processo servirà a ‘interpretare il diritto in itinere’. È però evidente che in questo modo Taranto diventa il laboratorio dei rapporti futuri tra magistratura e imprese, almeno per ciò che concerne i reati ambientali. Si capisce così lo sconcerto della Confindustria che poche ore dopo il pronunciamento del gup Gilli ha fatto sapere che terrà il suo prossimo consiglio generale di settembre a Taranto, proprio per sottolineare come il caso Ilva contenga in sé un paradigma”. Di Vico aggiunge che “quello che a questo punto si chiede alla magistratura non è certo il venir meno ai propri doveri e alle proprie prerogative, bensì di farsi raccontare le cose che stanno avvenendo nel sistema delle imprese dalle voci più autorevoli dell’accademia e della ricerca e non, come pure accade, da formazioni sindacali estremiste o da qualche consulente inacidito”. E ancora: “un’Ilva progressivamente risanata e capace di confermarsi eccellenza in Europa va preservata o sacrificata per i peccati commessi in passato?”.
Sul Sole Paolo Bricco (“Distinguere processo e azienda”) ricorda le gravi accuse in discussione: “All’inquinamento provocato dalla fabbrica i magistrati attribuiscono nel periodo dal 2005 al 2012 la morte di 174 persone. Se soltanto una di loro fosse morta per i fumi dell’acciaieria è giusto che chi ha sbagliato sia punito. Allo stesso modo, dato che l’accusa ha una cifra infamante terribile, è bene che anche chi è accusato di aver compiuto un disastro ambientale (i Riva e i loro collaboratori)” o di non essersi opposto, come i responsabili politici e amministrativi, “abbiano modo di difendersi”. Ma questa è comunque la vicenda giudiziaria. “Altra cosa è la questione industriale, finanziaria, occupazionale e sistemica dell’Ilva commissariata che in questo passaggio rischia di diventare un corpo morto”. Dopo la morte di un operaio si è riaperto un conflitto tra magistratura e azienda che “ha portato l’Ilva a un passo dallo spegnimento”. Sarebbe “un disastro per il Paese che perderebbe uno degli architravi del suo sistema industriale”.
Il Sole ricorda anche che proprio ieri il commissario straordinario Gnudi è stato audito alla Camera ed ha ventilato la possibilità di un blocco dell’altoforno 2, proprio a causa della morte di un operaio nel giugno scorso. Secondo Gnudi, l’altoforno “‘corre il rischio di dover essere essere fermato, ci sono contatti per scongiurarlo, ma il problema c’è'”. Gnudi ha anche detto che l’azienda ha “accelerato l’attuazione dei provvedimenti previsti nell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia)”. “La scadenza del 31 luglio per il risanamento ambientale dell’azienda, è prossima, ‘ma siamo già largamente al di là dell’80%’, ed è quindi un obiettivo che può essere centrato”.
Verdini se ne va
La Repubblica dedica le pagine 2, 3 e 4 alla situazione in Forza Italia, alla possibile formazione di un gruppo parlamentare di verdiniani e alle ripercussioni sul Pd: “Fi, la scissione di Verdini: ‘Silvio, ti fai comandare da quelle tre ragazzine’”, “Berlusconi: ‘Vai pure, finirai male come gli altri’. Pronto il gruppo al Senato e l’appoggio alle riforme”. E in un’intervista Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, dice: “’Ma ‘ndo va Denis? E’ senza prospettive, una fortuna per Fassina”, “Restando con noi poteva spingere per il sì alle riforme. Così si fa partner di Renzi, che un po’ se ne vergognerà’”.
Sul tema, un “retroscena” di Goffredo De Marchis: “Renzi: ‘Per noi è un problema ma lo è pure il Pd diviso’”, “L’entourage del premier esclude un ingresso nella maggioranza della nuova formazione e avverte: ‘Se il Pd sta insieme il problema non esisterà’”.
A pagina 4: “Bersani: ‘Più rispetto, no a stampelle’”, “’Né disciplina di partito, né Verdini’. D’Alema: ‘Abbassare le imposte è giusto, ma non si parte dai ricchi’. Renzi: ‘Ridurrò la pressione fiscale pensando alle esigenze degli italiani, non a quelle della minoranza dem’”.
E in basso sulla stessa pagina un’intervista a Gianni Cuperlo, leade di sinistra dem, che dice: “Denis con noi è come Varoufakis vice della Merkel. Meno tasse? Sul lavoro”, “Credo in un partito che rispetta la disciplina, quello che non funziona è la disciplina senza partito”, fare la sinistra “vuol dire alleggerire la pressione fiscale sulle fasce deboli. Voglio sperare che il premier sia d’accorso su questo”, “Non conta quante volte riunisci la direzione ma se c’è un confronto vero. Tutto il resto è streaming”.
Sul tema anche la rubrica “Il punto” di Stefano Folli: “Tra Stalingrado e soccorso azzurro”: “quel che accade in queste ore serve a preparare il terreno per settembre, quando assisteremo alla resa dei conti fra il premier e i suoi oppositori”, “il terreno dello scontro resta la riforma costituzionale del Senato. Tutto ruota intorno a questa sfida parlamentare, la più delicata per il premier-segretario, nonché una sorta di Stalingrado per i suoi avversari”.
La Stampa, pagina 8: “Silvio e Verdini, pranzo d’addio. ‘Se te ne vai, sarà peggio per te’”, “Ma Denis ha già pronto un gruppo per sostenere Renzi”.
Su Il Manifesto: “Nel giorno del rinvio a giudizio, Verdini abbandona l’amico Silvio e va in soccorso dell’amico Matteo”. “Ancora una volta -scrive Andrea Colombo- i corridoi del Parlamento sono ridotti a sgargiante mercato orientale :negli angoli nemmeno troppo oscuri si promettono posti e poltrone, sottosegretariati e presidenze. ‘Ho già pronta la lettera che invierò al Presidente del Senato Grasso per formare un gruppo di 11 senatori’, avverte Verdini. E’ la stessa lista che 24 ore prima aveva consegnato a Luca Lotti, l’alter ego di Renzi incaricato di spicciare l’affare sporco”.
Sul Giornale: “Verdini lascia Forza Italia. ‘Fai un errore, Renzi è soltanto un bluff'”. “Non è bastato un pranzo con Silvio Berlusconi per trattenere Denis Verdini dentro Forza Italia. L’ex coordinatore ha infatti confermato l’addio: darà appoggio esterno a Renzi”. Sul quotidiano si legge che “si porta dietro dieci senatori” e che sarà “la stampella del premier. E’ stato rinviato a giudizio ieri per bancarotta”. Parole attribuite a Verdini: “Col patto del Nazareno potevamo contare qualcosa, ora non più. E così siamo a rimorchio della Lega. Scusami ma io lascio”. E Berlusconi: “Buona fortuna”.
Sul Corriere viene intervistato Altero Matteoli: “Insensato aiutare la sinistra ma qui non si fa più politica”. “Io sto con Silvio, ci starà sempre, ma sotto Salvini no, non ci voglio stare”. Dice che Verdini, suo amico, ha provato più volte a convincerlo ad uscire da Forza Italia, dice che Verdini non ha tutti i torti perché “in questo partito non si discute, non si fa politica”, “settimane fa c’erano nostri esponenti che gridavano viva Tsipras e altri che dicevano andiamo con Renzi”. Ma Verdini sbaglia perché “uno con la mia storia non può avallare l’analisi di chi va con la sinistra”.
Crocetta
Su La Repubblica, a pagina 6, la difesa del Governatore della Regione Sicilia Rosario Crocetta, ieri nell’aula dell’Assemblea regionale siciliana: “La trincea di Crocetta: ‘Lasciare? Irricevibile. Mi minaccia la mafia’”, “E nega la frase anti-Borsellino. L’Espresso conferma. Renzi: lui e Marino governino, oppure vadano a casa”.
Il Manifesto: “Crocetta: no diktat di Roma. Renzi gelido”, “’Contro di me un killeraggio politico, il delitto imperfetto’. Il presidente replica alle accuse e sfida il Nazareno: ‘Solo l’assemblea può decidere la fine del governo siciliano’”. Il quotidiano dà conto dell’intera ora di “pirotecnica autodifesa”, con citazioni varie, da Hemingway a Nietzsche: “Crocetta, che formalmente non è accusato di nulla, si difende da tutta la campagna contro di lui, punto per punto. L’intercettazione, ‘dopo la smentita di tutte le procure siciliane, non c’è, a tutti è evidente’ (l’Espresso, querelato per 10 milioni di euro, nel numero di oggi ribadisce l’esistenza di un ‘brano audio’ di cui però non è in possesso); Lucia Borsellino ‘si è dimessa dopo che qualcuno le ha mostrato il finto dossier e non per questioni amministrative’”.
Sul Giornale si dà conto di un articolo uscito ieri sul sito internet dell’Espresso che “racconta alcuni dettagli che confliggono con le tesi sostenute fino a ieri” a proposito della famosa presunta intercettazione di Crocetta con Tutino. “L’intercettazione sarebbe stata fatta ascoltare a maggio 2014 ai due cronisti da una fonte investigativa. A fine giugno di quest’anno, quando Tutino fu arrestato, la stessa fonte ricordò all’autore dell’articolo dell’intercettazione di cui un anno prima non si poteva rivelare l’esistenza (le indagini erano ancora in corso) confermandola testualmente. In ambienti giornalistici e politici siciliani si vociferava di rivelazioni scottanti su Crocetta e l’Espresso ne avrebbe chiesto conferma anche a fonti inquirenti che avrebbero risposto affermativamente. Ma questa narrazione non coincide con quanto affermato più volte dal direttore Luigi Vicinanza circa l’effettiva esistenza dell’intercettazione stessa. E, soprattutto, non coincide con le dichiarazioni rese da quattro Procure dell’Isola (Palermo, Caltanissetta, Messina e Catania) che hanno negato di avere agli atti la frase ‘incriminata’.”. Nel merito della vicenda della Regione Il Giornale scrive che “Crocetta sa benissimo che la propria esperienza da presidente della giunta regionale sta volgendo al termine”, tanto che ha chiesto “tempo per completare le riforme: ‘poi voi e solo voi, senza diktat romani o di forze parallele, deciderete se mettere fine alla legislatura’”.
Su La Repubblica: “E Lucia Borsellino scrisse ai Pm: ‘Diktat in nome del presidente’”, “Un anno fa doppia visita a sorpresa di un manager e due politici per le nomine”. Il quotidiano ricorda che il nuovo servizio di copertina de L’Espresso è dedicato ai potentati d’affari che in Sicilia hanno assediato il lavoro dell’ex Assessore alla Sanità Lucia Borsellino nella giunta Crocetta. Scrive Salvo Palazzolo: “C’è un momento preciso in cui Lucia Borsellino comprende di essere accerchiata. All’interno dell’assessorato alla Sanità. All’interno della Regione. E’ una mattina caldissima dell’estate scorsa. ‘La mattina dell’8 luglio’, rimarca lei in una lettera che decide di scrivere appena tornata a casa”, per non dimenticare due visite inaspettate. Scrive una lettera alla procura di Palermo: “ho incontrato, su sua richiesta, il dottore Giorgio Trizzino, direttore sanitario dell’azienda Civico di Palermo. Ha riferito di avere ricevuto dal neo direttore generale della medesima azienda, dottor Giovanni Migliore, la proposta di ricoprire il ruolo di direttore sanitario di Villa Sofia-cervello, a condizione che, così ha riportato, ‘avesse tutelato il dottore Matteo Tutino’. Tutino, il medico di Crocetta, su cui la Borsellino ha diversi sospetti, riferiti alla magistratura quattro mesi prima”. E qualche ora dopo, riferisce Palazzolo, il nome di Crocetta viene evocato da altre due persone che si presentano a sorpresa dalla Borsellino: sono “gli onorevoli Oddo e Di Giacinto” che, con tono determinato, avrebbero fatto il nome di Giacomo Sampieri come direttore sanitario.
Sul Messaggero viene intervistato il segretario regionale del Pd siciliano Fausto Raciti: “Chiedere le dimissioni un errore giustizialista”. “Ma il governo regionale non va. Se non fa chiarezza trarremo le conseguenze”. Dice che non critica Crocetta come persona ma per “il suo stile di governo estremamente frammentato e l’uso dell’antimafia come strumento di carriera e di promozione di alcune personalità”. Le dimissioni di Lucia Borsellino “hanno sollevato un tema grandissimo su come funziona il governo regionale”, “noi abbiamo provato tutto il necessario per farlo ripartire più volte”, “non è detto che il necessario sia anche sufficiente”.
Piazza della Loggia
Su La Stampa un’intervista a Maurizio Tramonte, condannato all’ergastolo due giorni fa per la strage di piazza della Loggia: “Non ero in piazza della Loggia. Il carcere sarà il mio ospizio”, “quello della foto non sono io”. Oggi ha 62 anni, fa il consulente per le agenzie immobiliari e vive a Brescia.
E sulla stessa pagina un’intervista a Manlio Milani, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage. Ha perso a piazza della Loggia la moglie Livia Bottardi. : “Una sentenza giusta, ci rende la verità su quegli anni terribili”.
Sulla colonna a destra un’intervista a Miguel Gotor, senatore Pd e storico: “Volevano destabilizzare la democrazia”.
Immigrati
Il Corriere racconta di altri 40 morti al largo della Libia: “Aggrappati al gommone che affondava in mare”, il titolo. “I racconti dei sopravvissuti. In 283 salvati e portati al porto di Augusta”. Erano partiti nella notte tra lunedì e martedì da Tripoli, racconta il quotidiano. Molti dei superstiti provengono da Eritrea, Somalia, Benin, Mali.
Ancora sul Corriere, sulle stesse pagine, Lorenzo Cremonesi racconta la storia di un migrante del Gambia che ha tentato di arrivare in Italia ed è stato riportato indietro dalla guardia costiera libica. Cremonesi lo ha incontrato al lavoro al mercato ortofrutticolo di un quartiere periferico di Tripoli. “Io prigioniero di miliziani e trafficanti. Quel patto segreto tra scafisti e autorità”. E’ stato prigioniero in un centro di detenzione, “sbarre alle finestre e alle porte, cibo cattivo, caldo torrido d’estate e umido d’inverno”. Solo pagando si esce, per tornare a tentare di raggranellare il denaro per la prossima traversata.
Sul Giornale viene intervistata Laura Ravetto, presidente della Commissione Schengen. Dice che è notevole il lavoro delle forze dell’ordine che hanno arrestato oltre settecento scafisti dall’inizio dell’anno ma che occorre “trovare la testa dell’organizzazione che non sta in Italia”.
Sullo stesso quotidiano Fausto Biloslavo analizza i numeri dei “trafficanti” arrestati in Italia. “Per tutti i reati relativi all’immigrazione clandestina risultano 1.142, i detenuti nel nostro paese fino ad oggi. Solo il 35%, però, ovvero 399 delinquenti, scontano una condanna definitiva. Secondo i dati forniti a il Giornale dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria gli stranieri sono il 91%. I libici dietro le sbarre risultano appena 66, lo 0,39%. I boss del traffico di uomini, che si annidano dall’altra sponda del Mediterraneo (dalla Libia partono il 95% dei barconi) preferiscono arruolare scafisti stranieri pagandoli fino a 5mila dollari per traghettare la merce umana verso l’Italia. Non a caso la prima nazionalità degli arrestati dal gennaio dello scorso anno è quella egiziana con 246 delinquenti finiti in manette. Molti sono pescatori e altri scafisti per caso, come gli africani della Guinea, Senegal, Siria, Senegal, Mali. Nell’ultimo anno e mezzo solo 6 libici sono finiti in manette”. Il quotidiano segnala anche “una dozzina di baby scafisti, fra i 13 e 15 anni, nel carcere minorile di Catania. I ragazzini venivano ingaggiati in Egitto promettendo 500 o 1.000 dollari, metà in contante ed il resto all’arrivo con pagamento via money transfer”.
Grecia, Europa
Sul Sole Adriana Cerretelli si sofferma sul “rischio default che l’Europa non vuole vedere” e scrive che “la Grecia di Alexis Tsipras sta espiando con metodo (per ora) i suoi peccati seguendo la lista di lunghe e pesanti penitenze che il vertice di metà luglio le ha imposto in cambio del terzo salvataggio da 86 miliardi. L’altra notte il parlamento ne ha approvato la seconda tappa. Secondo Bruxelles lo ha fatto ‘nei tempi previsti e in genere in modo soddisfacente'” e oggi ricominceranno ad Atene i colloqui per arrivare entro il 20 agosto ad un accordo. Ma resta il tema della “insostenibilità del debito greco cresciuta a dismisura nel quinquennio recessivo della cura europea e che crescerà ancora ma oggi è accompagnata dal netto rifiuto tedesco a una sua parziale remissione, come chiedono invece Fmi e Francia”, e la questione “pone interrogativi sulla effettiva saggezza dell’attuale politica europea impregnata di ‘fiscal compact’, di contabilità finanziar- riformista ma avulsa dalle ragioni dello sviluppo”.
Internazionale
“Perché il Nikkei ha acquistato il Financial Times” è il titolo di un articolo sul Sole 24 ore. “Qualcuno l’ha paragonata all’acquisizione del Rockefeller Center di New York da parte di Mitsubishi nel 1989. Ma il paragone con la conquista per 844 milioni di sterline del Financial Times da parte del Nikkei regge solo per lo stupore che ha suscitatore nel mondo. I contesti sono ben diversi, non solo perché allora si trattava di immobili e oggi lo yen è debole. Allora il Giappone della bolla e del superyen non sapeva nemmeno dove mettere i soldi. Oggi si tratta di una nuova tappa nella globalizzazione dei media tradizionali, un settore messo in difficoltà da Internet. Il Nikkei è il maggior quotidiano economico del mondo con 3,2 milioni di copie ma in formato elettronico vende meno (430mila copie) che il glorioso quotidiano della City (oltre mezzo milione, pari a circa il 70% del totale), con il quale ora cerca sinergie di sviluppo digitale e un ruolo importante nell’Anglosfera. Le complementarietà geografiche sono ovvie e con l’FT il gruppo editoriale nipponico intende rispondere meglio alle sfide comuni ai media, tra globalizzazione e transizione verso la Rete” “Nella serata di oggi una conferenza stampa a Tokyo sottolineerà che il Nikkei (controllato da dipendenti ed ex dipendenti) non intende minimamente intaccare l’autonomia del quotidiano della City”.
Sul Corriere Beppe Severgnini ricorda che a volere il FT fosse anche il gruppo tedesco Springer “desideroso di ‘piantare una bandiera nel panorama dei media in lingua inglese’ (lo stesso Ft , ieri). Una bandiera di carta color salmone, con cui la City di Londra si presenta ai governi, alle imprese, agli investitori . E continuerà a farlo, se il Regno Unito non farà la follia di lasciare l’Unione Europea”. In ogni caso “la cessione di una testata come il Financial Times (1888) dimostra come gli inglesi credano al mercato. Non conta la nazionalità degli acquirenti: basta che abbiano i soldi e rispettino le regole. Dopo aver ceduto le auto ai tedeschi, l’abbigliamento agli italiani, il calcio ai russi, Mayfair agli arabi e i taxi di Londra ai cinesi, lasciano l’informazione finanziaria ai giapponesi”.
Sul Sole Ugo Tramballi intervista il premier egiziano Ibrahim Mahlab che è in Italia in questi giorni. Il titolo è “L’Egitto rinasce, il terrorismo arretra”. Si parla di lotta al terrorismo, Mahlab difende il suo Paese e il suo sistema giudiziario che – dice – distingue tra terroristi e opposizione (“a volte anche l’opposizione è violenta”), assicura che “stiamo ripulendo il Paese, il Sinai è normalizzato al 95 per cento”.
Sul Corriere Massimo Gaggi racconta la prossima corsa alla Casa Bianca tra i Repubblicani negli Usa perché Jeb Bush “va in giro a fare comizi usando auto del servizio Uber anche a costo di sacrificare un po’ la sicurezza personale”, mentre Marco Rubio intitola un comizio “come rendere l’America più sicura con Uber”, e Ted Cruz, senatore ultraconservatore del Texas, va ancora oltre dichiarando “Io sono Uber”. “Sembra un paradosso: gli innovatori rivoluzionari della Silicon Valley testimonial dei candidati della destra conservatrice mentre i democratici, un tempo il loro partito, prendono le distanze”. “In realtà non di tecnologia ma di regole si discute”, e la sinistra che “protegge il lavoro ma rischia di frenare l’innovazione”
Su La Stampa: “Obama nel suo Kenya ma non tutti lo amano”, “Politici corrotti e mentalità tribale: ‘Viene per vendicare il padre’”. Di Paolo Mastrolilli.
Anche su La Repubblica: “Nel villaggio di Obama che non fa festa: ‘Barack, ci hai snobbato’”, “ventotto anni dopo il leader Usa torna in Kenya da presidente. Un viaggio ‘speciale’ nelle radici della sua identità. A Kogelo non ci sono striscioni di benvenuto. Il cittadino più illustre non allungherà la visita. Ma qualcuno spera nel miracolo”.
Su La Repubblica: “La grande retata degli avvocati di Pechino”, “Arrestati oltre 230 legali, quasi tutti difensori di attivisti impegnati nei diritti civili: ‘Avevano infangato la giustizia cinese’”, di Giampaolo Visetti.
Su Il Manifesto: “Ankara, guerra contro l’Isis”, “Erdogan autorizza l’uso delle basi contro lo Stato islamico al confine con la Siria”, di Giuseppe Acconcia.