La Grecia vota il piano, Syriza spaccata

La Repubblica: “Sì del Parlamento a Tsipras”, “Ad Atene drammatica votazione sul piano Ue. 229 deputati favorevoli ma Syriza si spacca. Tra i no anche quello di Varoufakis. Scontri in piazza Syntagma. L’Fmi: tagliate il debito”. Con foto degli scontri tra manifestanti ieri ad Atene.
A centro pagina, l’intervista di Thomas Friedman al presidente Usa: “Obama: abbiamo fermato la bomba, l’alternativa era una guerra con l’Iran”.
Sulla colonna a destra, la storia della “copertina”: “Da Damasco a Malmo, il mio diario di migrante”, “Haida, fuggito dalla Siria racconta il suo viaggio tra la paura e la speranza”.
A fondo pagina: “Marijuana libera, 218 parlamentari vogliono la legge. La Lega insorge”.
E la cronaca a Roma: “Shock a Roma, gioielliere rapinato e ucciso nel suo negozio”.

Il Corriere della sera: “Il sì a Tsipras tra le proteste”. “L’accordo approvato con 229 voti a favore e 64 contrari. Syriza si spacca, governo in bilico”. “Via libera del Parlamento al piano Ue. Anarchici contro i poliziotti nelle strade”.
In alto l’intervento del presidente Usa Obama sull’accordo nucleare con l’Iran: “‘Iran, senza l’accordo rischi di guerra’. Obama difende il compromesso. Dubbi anche tra i democratici”.
A centro pagina una “guida” sui rimborsi ai pensionati dopo il voto del provvedimento governativo da parte del Parlamento
A fondo pagina: “Cannabis, la spinta di 218 parlamentari”. “Proposta di legge per la vendita nei negozi e la coltivazione in casa”.

La Stampa: “Il ‘sì’ sofferto della Grecia alle riforme”, “nella notte il Parlamento approva le condizioni imposte dall’Ue. Scontri in piazza ad Atene”, “Syriza si spacca ma Tsipras ottiene 229 voti favorevoli e 64 contrari. Il Fondo monetario chiede il taglio del debito”.
A centro pagina: “Obama: senza intesa era guerra”, “La firma sul nucleare con l’Iran: festa a Teheran. Il presidente Usa: la Russia ci ha aiutato”.
A destra: “Roma, gioielliere ucciso dopo la rapina”, nel quartiere Prati.
E “la proposta”: “Cannabis, perché è ora di legalizzarla”, di Massimo Russo.

Il Fatto: “Tsipras, vittoria di Pirro. Ok al piano Ue, Syriza ko”, “Voto nella notte, premier salvato dalle opposizioni. Critiche in piazza”.
A centro pagina: “Expo, le carte che sbugiardano Sala. S’è inventato 1,8 milioni di ingressi”, “Per adesso la kermesse non è stata un successone al botteghino”.
In prima anche “I veleni di Vado ligure”: “Indagano sulla centrale: capitano Ultimo punito e procuratore pedinato”.
A fondo pagina: “Rai, una valletta chiamata Riotta”, “Parallelo Italia. Il vero conduttore del programma è Renzi”.

Il Giornale: “La Grecia si arrende nel caos. Piazza in fiamme. Il Parlamento greco vota le riforme circondato dalla furia dei manifestanti: scioperi, scontri e molotov scuotono Atene. Tsipras sempre più in bilico”.
“Il ricatto di questa Unione più sovietica che europea” è il titolo dell’editoriale firmato da Piero Ostellino.
A centro pagina il fatto di cronaca di ieri a Roma: “La Roma di Marino è un far west: gioielliere ucciso. Rapina nel cuore della capitale”. “Settantenne massacrato durante un furto nel centralissimo quartiere Prati.

Il Sole 24 ore: “La lunga notte della Grecia”. “Scontri ad Atene davanti al Parlamento. Ue al lavoro sul prestito ponte”. “Syriza spaccata, opposizione con Tsipras”. “Oggi teleconferenza dell’Eurogruppo e vertice Bce sugli aiuti alle banche”.
Di spalla: “Pensioni, sì al decreto sui rimborsi ‘parziali’. Pagamenti al via con gli assegni di agosto”. “Restituita una parte dell’inflazione”.
A centro pagina: “Fed, rialzo tassi Usa in autunno. Yellen ottimista sulla ripresa, stretta monetaria entro fine anno”.

Grecia, il voto del Parlamento

La Repubblica, pagina 2: “Il Parlamento vota sì ai sacrifici ma Syriza si spacca, tra i no Varoufakis”, “Ad Atene drammatica seduta dell’aula nella notte. Tsipras vince con 229 deputati a favore, 64 contrari e 6 astenuti. Anche il presidente dell’assemblea si schiera contro il piano Ue. Sale la tensione sociale, via ai primi scioperi”. L’inviato ad Atene Ettore Livini sottolinea come il voto abbia fotografato la drammatica divisione di Syriza, che ieri “è stata sul punto di andare in pezzi” e, per quel che riguarda Tsipras, “solo un tesissimo confronto prima del dibattito” è riuscito a tener insieme, per ora, i cocci d quel partito che sei mesi fa ha stravinto le elezioni con il 36,3%: “o state con me -ha detto il premier- o domani potrei non essere più primo ministro”. La sua “via crucis” è iniziata di prima mattina con le dimissioni del viceministro delle Finanze, Nadia Valavani: strappo doloroso non solo perché è la mente del programma fiscale dell’esecutivo, ma anche perché è sua amica da una vita. “E’ come il Trattato di Versailles”, ha detto l’ex ministro Varoufakis. Il dibattito in aula, secondo Livini, “è stato surreale”: “con mezza opposizione ad attaccare la maggioranza e mezza opposizione a difenderla e con tutti a prendere le distanze dalle riforme, salvo poi chiedere di votarle”. I leader di Nea Demokratia e di To Potami non hanno parlato per accorciare i tempi e provare a chiudere prima di mezzanotte. A sventolare la bandiera del “no” senza se e senza ma, solo Alba Dorata e i comunisti del Kke.
E alla pagina seguente Pietro Del Re, da Atene, racconta: “Lacrimogeni e molotov, la rabbia scende in piazza”, “Scontri nella capitale greca, protagonisti gli anarchici, città presidiata dalla polizia”.
La Stampa, pagina 2: “Atene vota sì all’accordo con l’Ue. Ma in piazza esplode la protesta”, “Tsipras in Parlamento: ‘Siamo riusciti a dare una lezione di dignità al mondo’. Syriza si spacca, il governo perde pezzi: lascia anche il viceministro delle Finanze”. L’inviato Alessandro barbera spiega in Syriza hanno votato sì 110 deputati su 149. Poco prima della riunione dell’aula, Tsipras era intervenuto alla riunione dei deputati per dire l’unica cosa per lui possibile: “Se qualcuno ha una soluzione alternativa, me lo dica. O votate il piano, o me ne vado”. Il nuovo ministro delle Finanze Euclid Tsakalotos era seduto tra i colleghi: ha ammesso che la notte di lunedì scorso, passata al tavolo con Angela Merkel, è stata “la più difficile” della sua vita: “se Varoufakis -scrive Barbera- era genio e sregolatezza, Tsakalotos è un vero togliattiano, realista e pragmatico, l’uomo che -col senno di poi- Tsipras avrebbe voluto avere al suo fianco sin dal primo giorno di premiership”. Sulla stessa pagina, in un “retroscena”, Tonia Mastrobuoni scrive che era pronto il “piano B” di Varoufakis in caso di naufragio delle trattative: prevedeva, tra l’altro, il sequestro delle riserve in euro della Banca centrale ellenica e il ritorno alla dracma. Lo ha confermato ieri il quotidiano Kathimerini.
Su Il Fatto: “Tsipras sacrifica il partito per dire sì al piano Ue”, “Dopo la maratona parlamentare solo l’opposizione ha permesso di far passare l’accordo”. Scrive l’inviato Cosimo Caridi che il piano è passato grazie ad una maggioranza “trasversale”, composta da una parte di Syriza, i conservatori di Nea Demokratia e Anel, i sociliasti del Pasok e i liberali di To Potami. Alla pagina seguente, l’inviata Roberta Zunini: “Syriza a pezzi: quaranta ribelli votano contro”, “Mezzo comitato centrale respinge l’accordo. Lasciano Valavani e Manousakis” (rispettivamente viceministro delle Finanze e segretario generale del ministero dell’Economia). Del “no” all’accordo espresso da Zoe Kostantopoulou, speaker del Parlamento, parla un articolo di Salvatore Cannavò: “La scelta di Zoe, presidente pasionaria”, “Robespierre della sinistra”. Si racconta “il personaggio”: rigorosa, autorevole, 39 anni, nasce fuori dalla politica, diventa avvocato dopo aver studiato ad Atene e alla Sorbona. Difende la famiglia di Alexis Grigoropoulos, giovane di 15 anni ucciso dalla polizia durante una manifestazione. Eletta nel 2009 con la lsita di Syriza, è l’estensore del rapporto della Commissione parlamentare di inchiesta sulla “lista Lagarde” degli evasori greci in Svizzera.
Sul Corriere: “Dopo alcune dichiarazioni di voto, Tsipras è entrato in Aula e ha più volte preso la parola. ‘A chi pensa che io sia stato ricattato, e come hanno scritto tanti media nel mondo, chiedo se pensano che sia vero o sia stata un’invenzione’. Il premier greco ha detto che ‘nelle 17 ore’ di Bruxelles aveva di fronte ‘tre alternative’: o l’accordo, o il fallimento con tutte le conseguenze, o ‘il piano Schaeuble per una moneta parallela’. E fra le tre alternative, ‘ho fatto la scelta di responsabilità’. ‘Sono convinto che firmerò la proposta dei nostri avversari, per poter aiutare il mio popolo ad avare un futuro migliore'”

Grecia, Europa
Sul Sole si torna a parlare della “unanimità abusiva che blocca l’Eurozona”. Un “intreccio barocco di regole che, tra pieghe e ghirigori, permette ad un solo Paese, grande o piccolo che sia, di mettersi di traverso e impedire qualsiasi passo avanti. È quello che da anni accade nei negoziati con la Grecia e che ieri è andato di nuovo in scena, quando i ministri delle Finanze hanno consegnato il documento scaturito dall’Eurogruppo ai rispettivi premier riuniti nell’EuroSummit. Era difficile immaginare che l’Unione monetaria potesse arrivare a un livello tale di confusione. Il nodo è (anche) nelle regole. Per prassi consolidata l’Eurogruppo decide ‘per consenso’, cioè all’unanimità. Se anche un solo ministro di qualsiasi Paese non è d’accordo, salta tutto. A sostegno di questa interpretazione si porta il fatto che l’Eurogruppo è una formazione ‘informale’ del Consiglio, come avevano imposto a suo tempo i Paesi non-Euro, preoccupati, a cominciare dal Regno Unito, di scongiurare il rischio che acquisisse una personalità istituzionale autonoma rispetto alle altre istituzioni europee. Ma la regola dell’unanimità non è scritta da nessuna parte. Anzi, il Trattato di Lisbona, all’articolo 16, prevede che il Consiglio europeo, in qualsiasi formazione, ‘delibera a maggioranza qualificata, salvo che i trattati dispongano diversamente'”. E più avanti: “A una lettura superficiale, la questione potrebbe sembrare una raffinata questione per giuristi. Ma nella pratica è quel granello di sabbia che, piazzato nell’ingranaggio da zelanti – questi sì – euroburocrati, è in grado di mandare in tilt un delicato meccanismo”.

Grecia, debito, Fmi

La Repubblica: “L’Fmi boccia l’accordo e minaccia di sfilarsi: debito insostenibile, va ridotto”, “Fulmine a ciel sereno per Bruxelles che teme il sabotaggio ‘americano’ all’intesa con Atene. Nel Fondo monetario cresce la fronda dei Paesi emergenti”. Scrive Federico Rampini: “Il Fondo monetario internazionale boccia l’intransigenza di Berlino e Bruxelles sulla Grecia. La pseudo-soluzione sulla crisi greca non lo convince. ‘Non funzionerà se non si cancella una parte dei debiti di Atene, è il verdetto che arriva da Washington”. E “il Fondo monetario non è un covo di no-global, non simpatizza con l’ala dura della coalizione Tsipras. Ma a Washington sanno fare i conti, soprattutto quando si tratta di default, bancarotte sovrane. E i conti del Fmi sono questi. Il debito greco era il 127% del Pil di quel Paese all’inizio della crisi. Oggi, grazie alla cura Merkel detta anche euro-austerity, è salito al 176%. L’accordo recente raggiunto fra i creditori europei e il governo Tsipras, poiché non prevede perdoni dei debiti pregressi, farà salire quel quoziente al 200% in soli due anni. Ma quando un Paese ha un debito pubblico che è due volte la sua produzione annua di ricchezza, in base alle regole (e all’esperienza passata) del Fmi, oltrepassa la soglia della ‘sostenibilità’”. La presa di posizione del Fmi, scrive Rampini, è stata accolta a Bruxelles come un fulmine a ciel sereno e a Berlino come un tentativo di sabotaggio ‘americano’ dell’intesa faticosamente raggiunta.
La Stampa, pagina 4: “’Il debito greco è fuori controllo’. L’Fmi boccia il piano dell’Europa”, “Washington preme per tagliare l’indebitamento. L’Ue snobba Londra: avanti sugli aiuti”.
Elena Polidori, su La Repubblica, spiega che l’economia greca è “avvitata” e che il 58% del prestito andrà a creditori e banche greche.
Sul Sole un intervento (l’editoriale) di Guido Tabellini, che si chiede se la cura per la Grecia sarà efficace. “Purtroppo la risposta è no. La Grecia resterà comunque più che mai con un piede dentro e uno fuori, e nella migliore delle ipotesi ci resterà a lungo”. Tabellini scrive che “L’austerità fiscale, per quanto inevitabile, ha contribuito ad affossare l’economia”, che “a fronte del crollo della domanda interna, non vi è mai stata una ripresa delle esportazioni” e che “quasi tutti questi problemi rimangono invariati, anzi la situazione economica è peggiorata”. “Dopo l’incomprensibile referendum greco, i Paesi creditori avrebbero dovuto scegliere tra due alternative: rinunciare a dare altri aiuti, assistendo la Grecia nell’uscita dall’euro; oppure tenerla dentro, per ragioni politiche e di solidarietà, ma risolvendo una volta per tutte l’incertezza sul suo futuro. Questo secondo risultato avrebbe richiesto ulteriori risorse, non solo per ricapitalizzare le banche, ma anche per ridurre in modo significativo lo stock di debito. La scelta era tutt’altro che facile, essendovi validi argomenti a favore e contro entrambe le alternative. Si è invece optato per una via di mezzo, che evita per ora il trauma dell’uscita, ma che non risolve i problemi”. Il risultato è che “”fino a che la questione della Grecia resterà aperta, sarà molto difficile avviare una discussione adeguata su come dare fondamenta più solide alla moneta unica. Eppure è questa, ben più della Grecia, la sfida più importante per il nostro futuro”.
Su Il Giornale Francesco Forte riepiloga i conti greci e ricorda che, a sei anni dalla crisi”il Fondo monetario dichiara che 80 miliardi di nuovi prestiti non basteranno a rimettere la Grecia in carreggiata, se l’Europa non accetterà di ‘ristrutturare’ il debito di Atene. Ma questo piano non serve, comunque, a invertire la spirale negativa in cui la Grecia si trova, perché è sbilanciato nelle misure e nei tempi. Le privatizzazioni creeranno ricchezza, ma ci vuole qualche anno. Frattanto, è assurdo aumentare dal 26 al 28% la tassazione delle imprese: bisognava ridurla per avere più dinamica economica e più gettito”.

Grecia, il ruolo della Germania

Il Corriere intervista Otmar Issing, che è stato capo economista e membro del Direttivo della Banca centrale europea. Oggi è presidente del Centro di studi finanziari della Goethe-Universität di Francoforte. “C’è una lunga strada da percorrere prima che i soldi arrivino ad Atene. Il tutto è stato reso più incerto dal fatto che Alexis Tsipras ha dichiarato che a quel programma non crede, anche se l’ha firmato”. Dice che in Germania “molti economisti sono critici. D’altra parte, però, programmi di aiuto in Irlanda, in Portogallo, in Spagna hanno funzionato. E aveva iniziato a funzionare anche quello greco: nella seconda metà dell’anno scorso la ripresa era iniziata”. Molti pensano che l’uscita di Atene dall’euro sarebbe stata una scelta migliore. “Ero e sono dell’opinione che si dovesse fare molto prima. Si sarebbe dovuto impiegare il denaro non per salvare le banche ma per sostenere direttamente la gente. Con aiuti concreti e riforme concrete, dal catasto alla ricostruzione di un sistema fiscale. Sono stati persi un sacco di soldi. E altri se ne perderanno: tutti sanno che il debito greco non è sostenibile. Quello è denaro che gli europei, anche i Paesi più poveri della Grecia, hanno perso”. Il debito andrebbe tagliato? “Quello semmai potrebbe essere l’ultimo atto di un intervento: se lo tagli all’inizio la Grecia riprende a produrlo”. Dice di essere “dalla parte di Wolfgang Schäuble. Se la Grecia uscisse dall’euro, faremmo una conferenza sul suo debito e la questione verrebbe risolta”. Sull’Europa: “Mi pare chiaro che ora non c’è alcuna possibilità di creare un’unione politica. Si tratterebbe di cambiare i trattati europei, di andare incontro a molti referendum, alcuni Paesi come la Germania dovrebbero rivedere la costituzione. Ma in Europa sono tutti scettici: in quanti referendum vincerebbe il no? Mi sembra una strana idea. Farebbe aumentare i conflitti tra Paesi, ancora più di oggi che siamo alle prese solo con la moneta”.
La Repubblica, a pagina 4, focalizza l’attenzione su “il caso Germania”. Raccoglie così le opinioni sue due personalità “fuori dal coro”, ovvero critiche sulla linea tedesca nella crisi greca e sul ruolo della Germania nell’Ue. Si tratta di Thorsten Schaefer-Guembel, “numero due” dei socialdemocratici tedeschi (dice che “il senso unico di Berlino ha fatto danni” e che “non si può uscire da una crisi risparmiando”, servono “investimenti nel lavoro e nella formazione”) e di Heribert Prantl, direttore della Suddeutsche Zeitung, secondo cui “l’Europa dominata da un solo Paese non funziona”. Spiega Prantl che “nella tragedia greca l’umiltà tedesca è scomparsa, la Germania si è comportata in un modo inconcepibile rispetto all’insegnamento di Kohl”, il ministro delle Finanze Schaeuble “ha archiviato la tradizione costitutiva dell’umiltà tedesca, nata anche tenendo conto della storia tedesca. Ciò rende la vicenda pericolosa”. Perché è successo? “Una maligna campagna delle Bild e altri contro la Grecia, cui anche altri media come lo Spiegel e poi i politici si sono uniti. Populismo mediatico ad ampio spettro”.
Su La Stampa, un’intervista a Lars Feld, uno dei cinque “saggi” della cancelliera Merkel, economista dell’università di Friburgo, che, dell’accordo, dice: “E’ la strada giusta. E’ meglio chiedere crediti contro riforme che preparare la Grexit o concedere crediti senza impegni. Sull’entità non posso dire molto, non so se basteranno 86 miliardi, potrebbero esserne necessari 90 o anche di più. Dipende da come vanno le privatizzazioni. Se le riforme funzionano, potrebbero essere anche di meno”. Non pensa che il pacchetto di riforme imposte alla Grecia sia ancora una volta recessivo? “L’economia greca -risponde Feld- era arrivata alla fine dello scorso anno a un punto di svolta, ora è nuovamente precipitata in recessione e la disoccupazione sta di nuovo aumentando. Attualmente le stime sono di una recessione del 2%. E non per colpa delle riforme”.

Iran

La Repubblica dedica all’accordo sul nucleare iraniano 4 intere pagine. “Blitz a sorpresa nelle centrali iraniane, ecco la road map degli 007 dell’Aiea”, si legge in una corrispondenza dell’inviato a Vienna Daniele Mastrogiacomo: “cinquanta ispettori vigileranno sul nucleare degli ayatollah: le visite potranno avere un preavviso di sole 2 ore”. E il reportage da Teheran di Vanna Vannuccini racconta del ministro degli Esteri Zarif, festeggiato in patria come un eroe e del “ritorno in sordina dei negoziatori”: il loro aereo da Vienna non è atterrato subito nella capitale ma si è fermato nella città più sacra dell’Iran, Mashhad, dove si trova la tomba dell’imam Reza. Lì sono scesi i negoziatori per pregare. Solo alle 7 di mattina l’areo è arrivato nella capitale: ad accogliere il ministro tanto festeggiato due giorni fa nelle strade di Teheran c’era solo una piccola di delegazione di politici di secondo rango perché, scrive Vannuccini, forse si volevano impedire manifestazioni di giubilo che il regime teme siano sempre pronte a degenerare. “E ora a Teheran è lotta contro i falchi”, si legge ancora nel reportage. Il leader supremo Khameney ha intanto avvertito: “vanno prese misure legali per monitorare l’accordo. Alcuni dei Paesi membri del 5+1 non sono affidabili. Chiedo alla nazione di mantenere la calma”.
E alle pagine seguenti il quotidiano riproduce l’intervista che Thomas Friedman ha realizzato con il presidente Usa per il New York Times: “Senza l’accordo sul nucleare avremmo rischiato una guerra”, dice Obama, “Abbiamo tolto a Teheran ogni possibilità di realizzare armi atomiche. Nei prossimi dieci anni avremo un sistema di ispezioni che tutela la sicurezza di tutti noi, anche quella di Israele. Continueremo a fare pressioni e staremo all’erta, ma non abbiamo prove che le sanzioni sarebbero bastate a far capitolare il regime”, “Ho detto a Netanyahu quel che dico pubblicamente: questa è la nostra migliore opzione per accertarci che avremo a lungo il controllo sulle loro attività”, “L’Iran è guidato da una teocrazia autoritaria che è anti-americana, anti-israeliana, antisemita e sponsor del terrorismo. Siamo partiti da un obiettivo ragionevole”, “Non sono d’accordo con molte delle cose fatte da Richard Nixon, ma lui capì che c’era la prospettiva, la possibilità che la Cina intraprendesse una strada diversa”, “La Russia è stata d’aiuto e ne sono rimasto sorpreso viste le differenze sull’Ucraina. Putin ha saputo distinguere gli ambiti e ha insistito per un accordo forte”.
E sulla stessa pagina la scrittrice irano-americana Azadeh Moaveni scrive che “per gli iraniani è come il crollo del Muro di Berlino”.
Su La Stampa l’intervista di Francesco Semprini a Madeleine Albraight, che è stata Segretario di Stato con l’amministrazione Clinton: “Ha avuto ragione Barack. Ora il mondo è più sicuro”, “Sono importanti le verifiche, sarà un test per l’Onu. Per il successo è stata fondamentale la coppia Rouhani-Zarif”, “Non credo che il mondo sia esposto a maggiori rischi. La condizione è che tutto sia costantemente verificato, l’Iran deve essere trasparente”.
E sulla stessa pagina la corrispondenza di Maurizio Molinari da Gerusalemme, sui “protagonisti dietro le quinte”: “La regia di Khameney. Lascia la scena ai riformisti e resta arbitro dell’intesa”.
Ancora su La Stampa: “Obama agli americani: ‘L’alternativa all’accordo era la guerra con l’Iran’”, “Il presidente Usa attacca i repubblicani: se la vogliono, lo dicano. Ma il Congresso può bocciarlo, 13 senatori democratici in bilico”. Paolo Mastrolilli da New York racconta quindi l’offensiva mediatica di Obama, lanciata per difendere l’accordo, l’esitazione dei 13 parlamentari democratici e la difesa dell’accordo da parte di Hillary Clinton che in questo modo “ha serrato i ranghi del partito, chiarendo che non si può puntare sulla sua vittoria alle presidenziali del 2016 per annullarlo”.
Ancora su questo tema segnaliamo su La Repubblica l’analisi di Renzo Guolo alla pagina dei commenti: “L’Iran e il fronte saudita” (“non è escluso che i sauditi cerchino di mettere in difficoltà gli odiati rivali, ogni qual volta ve ne sarà occasione”).
Sul Corriere Ennio Caretto racconta che “fu Damasco a sabotare il disgelo voluto da Reagan” con l’Iran. Era stato Israele a suggerire agli americani di fornire armi a Teheran in funzione anti-irachena, “ma la Siria svelò il baratto”. Si racconta la vicenda del cosiddetto scandalo Iran-contras: i soldi della vendita illegale di armi agli iraniani, poi svelata da un giornale libanese, venivano usati per finanziare la guerriglia antisandinista in Nicaragua.
Da segnalare sul Sole una intervista al presidente della commissione esteri del Senato Pierferdinando Casini: “L’Iran ci apre nuove strade”. “Possiamo dare un contributo importante a settori come ambiente e beni culturali”, ma “l’impatto economico ovvio parte dal petrolio”.
Su Il Giornale: “E ora per l’Italia un business da 3 miliardi”.

Papa strisciante

Sul Corriere: “Quando Martini disse a Ratzinger: ‘La Curia non si cambia, devi lasciare’. Il racconto di padre Silvano Fausti: al Conclave del 2005 l’ex arcivescovo puntò sul tedesco per evitare giochi sporchi di un papabile ‘strisciante'”. Silvano GFausti è morto pochi giorni fa. Biblista e teologo, era “la persona più vicina a Carlo Maria Martini, che lo aveva scelto come confessore. Il retroscena è stato affidato tre mesi di morire ad una intervista video a glistatigenerali.com. E’ stata diffusa ora, e Gian Guido Vecchi ne parla. Pochi giorni prima di morire Martini “disse a Ratzinger: la Curia non si riforma, non ti resta che lasciare. Benedetto XVI era tornato sfinito dal viaggio a Cuba, a fine marzo. In estate cominciò a parlarne ai collaboratori più stretti che tentavano di dissuaderlo, a dicembre convocò il concistoro dove creò sei cardinali e neanche un europeo per ‘riequilibrare’ il Collegio, l’11 febbraio 2013 dichiarò la sua ‘rinuncia’ al pontificato”.

Roma e Milano

Su La Repubblica, due pagine sulla “crisi delle giunte”. A Roma e a Milano. Su Roma: “Vendola vicesindaco, ecco la trattativa Pd-Sel per il Campidoglio”. E le parole del commissario pd a Roma Matteo Orfini: “Non sarò io il numero due di Marino”. “E Alfano rinvia la decisione sullo scioglimento”, scrive ancora il quotidiano. Che intervista Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale di Sel che, a proposito di Vendola dice: “Sarebbe un candidato di straordinaria qualità”.
Su Milano: “Milano, subito il rimpasto. I dem pressano Pisapia”, “Il Pd: ‘Al sindaco l’onere di voltare pagina e di riprendere la guida della maggioranza’”.
Sul Corriere si racconta “l’inquietudine del Pd nazionale: ‘Cosa sta succedendo a Milano?’. Fallito il tentativo per un bis del sindaco. Guerini affronta il caso De Cesaris” (la vicesindaco dimessasi, la cui uscita ha “indebolito le fondamenta del progetto” Pisapia.

Renzi

Sul Giornale si parla di Renzi, in questi giorni in Africa mentre “il Paese è in bilico tra realtà e finzione. La notizia vera è un non-detto: il governo non ha più la maggioranza. Prova ne sia l’andamento dei lavori parlamentari, i continui annunci di nuovi fronti che il governo vuole aprire (Rai, unioni civili); temi di distrazione di massa: si butta in caciara per allontanare il redde rationem . Molto intensa è l’attività sottobanco, in tabaccheria per dirla alla Salvini, al mercato di senatori. Intanto Renzi s’è detto disposto a ogni concessione, pur di recuperare i 25 senatori dissenzienti del Pd. E ieri, a sorpresa, nella trincea governativa è sceso addirittura l’ex presidente Napolitano: ‘Non disfare la tela’, il grido di battaglia”. Il quotidiano cita le dichiarazioni di ieri del presidente del consiglio: “L’Italia ha svoltato, ma c’è ancora da fare; siamo un punto di riferimento, non commiseriamoci; il momento è cruciale, di fronte ci sono sfide importanti”. E poi: “La classica citazione di Dante (un ‘ fatti non foste… ‘ davanti agli studenti kenioti che sembrerebbe una mezza gaffe) e un’altra da Steve Jobs de’ Noantri : ‘Siate leader e non follower’. Quando gli dicono dei dati Istat che certificano oltre 4 milioni di italiani in povertà assoluta, o non capisce o finge”.

Droga
Su La Stampa: “’Legalizziamo la cannabis’. Firmato: 220 parlamentari”, “Depositata una proposta di legge trasversale, è già battaglia”.
Su La Repubblica: “’Cannabis libera ma mai all’aperto’, battaglia sulla legge”, “”testo bipartisan di 218 parlamentari. No dei centristi. Salvini: ‘La prostituzione non fa male, la droga sì’”.
Se ne occupa in prima pagina su La Stampa anche Massimo Russo, con un commento in cui si legge che, per quel che riguarda la cannabis, “se è legale fa meno male”. Russo ricorda che i numeri citati dalla relazione della Dna mostrano un’eccezionale espansione del consumo di hashish: ma la stessa relazione riconosce “il totale fallimento dell’azione repressiva”. E poiché -si legge- non è “né pensabile né auspicabile” aumentare i mezzi e gli uomini per la repressione, la relazione conclude che “spetterà al legislatore valutare se sia opportuna una depenalizzazione della materia”. In Portogallo la legislazione che ha decriminalizzato dal 2001 il consumo di stupefacenti ha permesso di spostare la spesa pubblica dalla repressione al trattamento delle tossicodipendenze. E i tossicodipendenti si sono dimezzati, i decessi sono calati dell’80%.

Uber

Ieri il presidente dell’Autorità sui trasporti ha presentato la sua relazione annuale in Parlamento. Se ne parla sul Sole 24 ore che scrive che “il tema più caldo della relazione di Camanzi resta quello delle piattaforme digitali per la mobilità urbana come UberPop o Blablacar. Camanzi ha ripetuto quanto detto nella segnalazione di venti giorni fa: serve una legge di riforma organica del trasporto non di linea (che riveda quindi anche le norme su taxi e Ncc) per regolare le piattaforme ed evitare che le scelte sullo sviluppo innovativo della mobilità urbana sia lasciato alle sentenze della magistratura”.

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