Da Reset-Dialogues on Civilizations
Il lungo impero di Joseph Benjamin Blatter (detto Sepp) è crollato in quattro giorni, lasciando di stucco quanti ritenevano ineluttabile il suo posto alla guida della Fifa, nonostante il fango e gli scandali emersi sotto la sua presidenza, iniziata nel 1998.
Per alcuni il Qatar gli è stato fatale. Quel passo di troppo che voleva essere un’espansione (di interessi, affari, tornaconti) e si è trasformato in un tonfo. Adesso tanti vogliono iniziare il repulisti all’interno della multinazionale del pallone proprio dal piccolo emirato del Golfo, che ha negato e minimizzato le critiche levatesi da ogni parte per l’assegnazione e la gestione dei Mondiali di calcio che tra sette anni si terranno nel regno. Una gestione a base di soldi e sangue. I soldi che hanno consentito a Doha di accaparrarsi il lucroso appuntamento sportivo e il sangue dei lavoratori migranti (in prevalenza indiani e nepalesi) sfruttati e morti a centinaia nei cantieri degli stadi, degli alberghi, delle infrastrutture di questo grande evento internazionale, che ormai ha sempre meno a che fare con lo sport.
Londra si è già fatta avanti per bocca del segretario di Stato per la Cultura e lo Sport, John Whittingdale, che ha detto che il Regno Unito è pronto a ospitare la competizione calcistica, nel caso sia tolta all’emirato. Intanto, la magistratura svizzera, in un’inchiesta parallela a quella dell’FBI, indaga su mazzette e brogli che nella lunga notte del dicembre del 2010 portarono all’assegnazione del Mondiale 2022 al Qatar e di quello del 2018 alla Russia. Una notte su cui si è concentrata anche l’indagine interna affidata al procuratore Michael Garcia, che alla Fifa si erano guardati bene dal rendere pubblica, ma che adesso è nelle mani dei giudici statunitensi e svizzeri.
Gli sceicchi qatarioti non dormono più sonni tranquilli. Il ministro degli Esteri, Khaled al-Attiyah, ha escluso categoricamente che il Mondiale possa essere sottratto al suo Paese e si è giocato la carta del razzismo: “Ad alcuni non va giù che uno Stato arabo islamico ospiti questo torneo. […] Questa campagna contro il Qatar è dettata dal pregiudizio e dal razzismo”. Una carta che non regge, considerato il sistema discriminatorio che regola il mercato del lavoro nell’emirato del Golfo. Il governo di Doha nega, ma si tratta di schiavitù moderna ed è il costo in vite umane della corruzione nelle stanze della Fifa.
È su questo turpe cortocircuito tra calcio, denaro e morte che indagavano i giornalisti della tv tedesca Adr arrestati in Qatar a fine marzo e i loro colleghi della troupe della Bbc, fermati a maggio, cui è stato sottratto l’equipaggiamento e il materiale. Quanto i reporter avevano girato nei cantieri del torneo è stato distrutto, perché “non avevano i permessi per filmare”, ha spiegato il Comitato Promotore di Qatar 2022.
L’accaduto ha sollevato un coro di critiche, ma la Fifa ha preso per buona la versione qatariota, né sembrava scalfita dalla notizia di un’indagine per “schiavitù e lavoro forzato” aperta in Francia sull’azienda Vinci (e sulla sua filiale qatariota QDVC), il colosso industriale d’Oltralpe, con un giro d’affari di circa 40 miliardi di dollari l’anno, che si è aggiudicato diversi appalti in Qatar (tra cui metropolitana e rete tramviaria) e che è stato denunciato dalla Ong Sherpa per il trattamento degli operai nei suoi cantieri. L’organizzazione francese che si occupa della tutela delle vittime dei crimini economici, ha accusato la Vinci e la QDVC di avere requisito i passaporti dei lavoratori migranti, di farli lavorare e vivere in condizioni “scandalose”, a fronte di salari “miseri”, di sfruttarli sotto la minaccia dell’espulsione. Accuse in parte confermate dall’amministratore delegato, Xavier Huillard, che a Le Figaro aveva ammesso la pratica di trattenere i passaporti degli impiegati, ma “su loro stessa richiesta”.
Niente di nuovo nel ricco emirato del Golfo Persico, dove la forza lavoro straniera (circa 1,2 milioni di persone, pari a quasi il 90 per cento della popolazione), che sia impiegata nell’edilizia o nelle case dei qatarioti, non gode di alcun diritto. È il sistema della Kafala che di fatto sancisce la proprietà del datore di lavoro sull’immigrato. Quando entrano nel Paese, i lavoratori devono consegnare i documenti all’impresa che ha sponsorizzato il loro ingresso e da questo momento in poi non hanno più alcuna possibilità di lamentarsi, di fare richieste, di cambiare impiego o di licenziarsi. Se diventano troppo molesti, sono rispediti a casa, spesso senza neanche avere percepito la paga per cui si sono spaccati la schiena fino a 16 ore al giorno, tutti i giorni, sotto un sole cocente, che ha costretto allo slittamento della Coppa del Mondo all’inverno (finale il 18 dicembre) per la prima volta nella storia della competizione. Sono sistemati in tuguri privi dei basilari servizi igienici, nei luoghi di lavoro non è garantita la sicurezza e sono frequenti i casi di maltrattamenti che di solito è inutile denunciare, perché alla fine per i cittadini qatarioti c’è sempre l’assoluzione.
La Vinci avrebbe usufruito di questo sistema che, sotto la pressione delle Ong e delle inchieste giornalistiche che denunciano da cinque anni la questione, il ministro qatariota del Lavoro, Abdullah Saleh Mubarak al Khulaifi, ha definito “un problema”. Ma fino a poco tempo fa sembrava più semplice spostare un Mondiale (ipotesi che adesso tiene sulle spine l’emirato) che smantellare una legge “così antica” e, se nulla cambia, il bilancio delle vittime della Coppa del Mondo è destinato a salire. La Confederazione sindacale internazionale (CSI) parla di 1.200 persone decedute nei cantieri, uomini giovani ai quali, stremati dalla fatica e dal caldo (fino a 50 gradi all’ombra d’estate), si è semplicemente fermato il cuore. Come al 23enne Noka Bir Moktan, stroncato da un “improvviso arresto cardiaco” nel 2013. Per il Guardian, il ragazzo è stato vittima di abusi: le immagini del suo corpo mostravano ecchimosi sul petto. In qualsiasi modo sia andata, Noka finirà nell’elenco delle vittime di questo Mondiale, che nei prossimi sette anni potrebbe diventare lunghissimo. A questo ritmo, quando si giocherà la prima partita i morti saranno quattromila, secondo la CSI.
Il Qatar continua a negare, la Vinci ha denunciato per diffamazione la Ong Sherpa, la Fifa ha taciuto. La massima organizzazione calcistica mondiale aveva sgridato qualche volta Doha che si era vagamente impegnata a cambiare qualcosa, ma sono passati cinque anni dall’assegnazione della 22esima edizione del prestigioso torneo al Paese che vanta il reddito pro-capite più alto del mondo, e nei cantieri nulla sembra essere cambiato. Adesso, però, Blatter si è dimesso e c’è chi parla di togliere il Mondiale al Qatar, perché se l’è aggiudicato a suon di petrodollari, e la questione lavoratori migranti potrebbe diventare cruciale. Nei cantieri si lavora, gli appalti sono assegnati, la macchina del torneo si è avviata, spostarla non è poi così semplice. Tuttavia, senza “Sepp” e sotto pressione, la casa reale potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di mettere mano a quella legge “così antica”, e odiosa. Gli scettici pensano che anche senza Blatter alla guida, la macchina resta la stessa e le vere riforme prendono più tempo delle indagini.
Se però la formula per il Mondiale resterà quella dei soldi e del sangue, quando si alzerà il sipario sul costosissimo (circa un miliardo di euro) palcoscenico qatariota, con stadi dotati di aria condizionata, alberghi extralusso, infrastrutture e centri commerciali maestosi, il calcio avrà perso un’altra occasione di affermare i valori dello sport, tanto propagandati dagli impresari del pallone.
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