Francia, se la République
non riesce a farsi plurale

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Sull’edificio parigino sede della Cité Nationale de l’Histoire de l’Immigration, l’unico in Francia dedicato alla storia e alla cultura dell’immigrazione, campeggia una stele con su scritto: “Alla Francia, colonizzatrice e portatrice di civiltà”. Avevano costruito il palazzo art déco della Porte Dorée, all’est di Parigi, per l’Esposizione coloniale del 1931, all’apogeo dell’Impero coloniale, e in quell’occasione non mancò l’“esposizione” – vera e propria – di più di cento ‘canachi’ della Nuova Caledonia, presentati come “autentici cannibali”, che furono poi ceduti in cambio di coccodrilli allo zoo di Francoforte, mentre altri restarono nel Jardin d’Acclimatation, costretti a esibirsi in numeri quali mangiare carne cruda, danzare e urlare “proprio come i « selvaggi ». Aperta nel 2007, l’inaugurazione vera e propria della Cité ha avuto luogo soltanto nel dicembre scorso, a opera di François Hollande, il quale – al contrario del suo predecessore Nicolas Sarkozy – ha inteso con la sua presenza riconoscere il ruolo positivo dell’immigrazione in Francia.

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Lo storico Benjamin Stora

Lì ci riceve il nuovo direttore – dall’agosto 2014 – lo storico e scrittore Benjamin Stora, nato francese ebreo d’Algeria e che vanta al suo attivo numerose opere da specialista del mondo musulmano: ha da poco pubblicato Les cléfs retrouvées. Une enfance juive à Constantine [Le chiavi ritrovate. Un’infanzia ebrea a Costantina] (ed. Stock), in cui – a seguito del ritrovamento di un mazzo di chiavi avvenuto casualmente nel 2000 alla morte del padre – ripercorre l’itinerario degli ebrei d’Algeria, a partire dalla storia della propria famiglia, di modeste origini.

Nel 1962, finita la guerra e l’Algeria diventata indipendente, la famiglia di Stora, come tante altre, abbandonò il Paese alla volta della periferia parigina. Il neo direttore della Cité, all’unanimità riconosciuto lo storico per eccellenza dell’Algeria e della storia coloniale, nel 2013 ha curato (ed. Albin Michel), insieme al poeta e scrittore franco-tunisino Abdelwahab Meddeb da poco scomparso, una monumentale Histoire des relations entre juifs et musulmans des origines à nos jours [Storia degli ebrei e musulmani dalle origini ai giorni nostri], con cui gli autori hanno “inteso dimostrare che una cultura giudeo-musulmana è realmente esistita in terra d’Islam; le persone parlavano la stessa lingua, cantavano le stesse canzoni, cucinavano le stesse pietanze”. E il successo del libro viene a dimostrare “la volontà di far sì che questa memoria non vada persa”.

Appare entusiasta, energico e combattivo alla guida della Cité, e ha a più riprese annunciato il proprio programma: puntare su un ampio pubblico, coinvolgendo tutti i francesi, tenendo ben presente che un quarto della popolazione del Paese proviene dall’immigrazione. Quindi trasmetterne la storia e l’apporto che il fenomeno ha dato alla Francia. E così “alla Cité giungono studenti alla ricerca di risposte sull’immigrazione dei loro genitori, dei loro nonni”. È attualmente in corso, fino al 31 maggio, la retrospettiva Fashion mix – Mode d’ici. Créateurs d’ailleurs [Moda di qui. Creatori di altrove] volta a narrare un’altra storia dell’immigrazione, quella degli artigiani russi che hanno non poco contribuito a creare la fama di Parigi capitale della moda.

Stora tiene a riaffermare il ruolo essenziale della memoria, della sua carenza attuale, che consiste nella crisi “della trasmissione culturale negli immigrati di origine maghrebina”, in quanto “gran parte della loro cultura rimane poco conosciuta ai giovani di seconda o terza generazione, sempre connessi a Internet, e quindi soggetti al ‘bricolage ideologico’ – individuale, in rottura con le tradizioni familiari e religiose -, a subire il fascino della violenza”.

E proprio per “evitare la guerra delle memorie, occorre portare avanti una battaglia per la conoscenza della Francia e dei Paesi ‘del Sud’”, una battaglia senz’altro “lunga e complessa”, ma “non abbiamo scelta”. E con noi, ancora una volta, sostiene che “spetta agli insegnanti, laici, trasmettere questa storia, e non ai religiosi, che ne darebbero un’interpretazione prettamente religiosa, a scapito dell’apprendimento di cittadinanza”. Teme che “i nostri insegnanti non siano preparati a sufficienza per far fronte agli studenti che riprendono le teorie dei predicatori, dei falsificatori”. E questo vuoto va colmato.

Quindi rafforzare lo studio e la conoscenza della storia del Maghreb, da cui proviene la maggior parte dei musulmani di Francia, “perché – insiste – se non si conosce la storia dei luoghi di provenienza di genitori e nonni, ci si sente incompresi, disprezzati, isolati dalla società”. È uomo di sinistra, senza dubbio alcuno, ma riconosce che “i partiti di sinistra non sembrano ‘attrezzati’ ideologicamente per rilevare la sfida”. Vanno, di certo, preservati i principi repubblicani, anche rispetto alle minoranze, “non ignorare la loro diversità, pur evitando il comunitarismo”. Ciò tuttavia non basta, poiché se la Francia deve far fronte all’Islam – la seconda religione del Paese – come è possibile trattare qui “della secolarizzazione dell’Islam, quando nei Paesi musulmani, da dove proviene gran parte degli immigrati, la questione è ancora oggi oggetto di discussione? Si tratta di una problematica di non poco conto, con la quale dobbiamo inevitabilmente confrontarci”.

Sulla legge del 1905, di separazione della Chiesa dalla Stato, che sancì la “laicità” dello Stato francese, alcuni – come lo storico del protestantesimo e della laicità in Francia Jean Baubérot – hanno ricordato che a quell’epoca, in Francia, la presenza dei musulmani era assai poco rilevante, ben lontana dagli attuali sei/otto milioni di persone. “Non si tratta soltanto di numeri – rimarca Stora – ma d’interpretazione odierna della laicità”, poiché il dibattito attuale “verte proprio su questo: separare lo spazio pubblico da quello privato –, vietando i segni di ostentazione religiosa nello spazio pubblico”. Un’altra interpretazione della norma gli appare tuttavia più complessa: “lo Stato è laico, sì, ma non lo è la società, e così come lo Stato protegge la libertà di culto, la società – ovvero i cittadini – è libera di vivere come meglio crede”.

La laicità, ha affermato lo scrittore e ‘islamologo’, Ghaleb Bencheick, è un concetto in mutamento, che spesso necessita di epiteti quali “positiva”, “aperta”, “intelligente”, “inclusiva”, o anche, in negativo “combattiva”, “esclusiva”: per Stora si tratta soltanto di parole, in quanto “anche la laicità, come tutte le leggi, o movimenti, viene coinvolta nel processo storico”.

Se i giovani ora sono molto più praticanti dei genitori, secondo Stora “il fenomeno va correlato alla crisi delle ideologie collettive e delle speranze messianiche, della sinistra in particolare, dovute anche al crollo dei regimi comunisti negli anni ’90 , al fatto che gran parte dei Paesi dell’ex Impero sovietico si sono adattati ai sistemi liberisti, alle economie di mercato, che ora tentano, per inciso, di correggere. Sennò parleremo all’infinito di ritorno della religiosità, concetto che è sempre stato tirato in ballo, ma al quale personalmente non ho mai creduto”. E prosegue: “Le generazioni precedenti, “fra cui la mia, contestavano sul piano politico, non su quello della religione”. Va pertanto ben valutato questo elemento, la crisi del ‘politico’, quindi della sinistra, e “reprimere le pratiche religiose favorisce i processi di vittimizzazione, rafforza l’emarginazione; non può costituire l’unico aspetto di una politica, occorre una riformulazione degli ideali politici, senza la quale crisi, inevitabilmente, perdurerà”.

All’indomani della manifestazione dell’11 gennaio, in cui milioni di persone hanno sfilato al grido di “Je suis Charlie!” Stora ha rilevato la scarsa presenza dei maghrebini e degli abitanti delle banlieues: Questo – per lo storico – è indicativo della crisi della Repubblica, e a dieci anni dalle sommosse del 2005 la frattura è ben lungi dal riassorbirsi. Ancora una volta, ne conosciamo l’origine: il rifugio nella religione in sostituzione delle ideologie dalle sinistre politiche e sindacali, il ritardo nel guardare al passato coloniale, le crisi delle società di cultura musulmana che si trovano fra Stati autoritari e opposizioni islamiche, la tragedia degli avvenimenti algerini del 1990, nonché l’ascesa dell’antisemitismo e l’aggravarsi della crisi economica”. E poi “da qualche tempo, avverto una tendenza nei giovani a concepire, a preferire, una storia che si differenzia da un racconto omogeneo nazionale”.

Alcuni adolescenti europei decidono di recarsi in Siria per arruolarsi nelle colonne dell’Isis, spinti dall’identificazione con le popolazioni martirizzate. Qui Stora denuncia l’iganno: “I giovani hanno sempre avuto tendenza – per fortuna – a identificarsi con gli emarginati, le persone che soffrono. Sono mossi dalla speranza di cambiare il mondo. Ma in questo caso vengono strumentalizzati: le guerre odierne in Medio Oriente non hanno niente a che vedere con i più poveri, ma sono provocate e portate avanti da Stati immensamente ricchi, quali gli Emirati”.

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