Da Reset-Dialogues on Civilizations
India – Un mercato che, dopo la liberalizzazione del 1991, ha indebolito lo Stato. Una classe politica che si trova delegittimata e che viene sostenuta solo dalle classi più deboli, mentre gli anglofoni con una spiccata propensione alla mobilità sociale verso l’alto l’abbandonano e tendenzialmente non vanno a votare. E poi, una classe sociale, i contadini, che ormai sono altro rispetto ai ceti urbani. Infine una grande industria cinematografica, Bollywood, che sta diventando il brand di se stessa. Di questo e di altro parla M. K. Raghavendra nella sua intervista a Resetdoc a proposito del suo ultimo libro The Politics of Hindi Cinema in the New Millennium. L’autore è noto anche per il suo Seduced by the Familiar: Narration and Meaning in Indian Popular Cinema (Oxford University Press, 2008). Nel 2013, oltre a registi indiani, si è occupato poi anche di filmografia occidentale con il suo Director’s Cut. 50 Film-makers of the Modern Era (Collins), in cui analizza, tra gli altri, anche Antonioni, Pasolini e Fellini.
L’immaginario filmico è stato definito da Rachel Dwyer nel suo ultimo libro (Bollywood’s Cinema. Hindi Cinema as a Guide to Contemporary India) come un elemento che continua a permanere nel pubblico indiano. Ma quanto è cambiato con la globalizzazione e come la descriverebbe a un pubblico occidentale?
Il cinema popolare Hindi era – ed è – un cinema nazionale che aiutò enormemente nel mantenimento della nazione come concetto immaginato dopo il 1947. Fece ciò usando un tipo molto basilare di Hindi non letterario accessibile alle persone che non parlavano l’Hindi e ‘narrativizzando’ le esperienze sociali della nazione-come-comunità nella lingua del mito. Facendo un esempio, è solo dopo il 1947 che il cinema Hindi ha scene in cui si raffigurano tribunali – in cui il tribunale diventa un luogo sacro in cui la verità è posta in maniera pura e semplice e lo stato stesso è interrogato – attraverso il motivo del poliziotto o del giudice accusato di cattiva condotta (CID, 1956, Awara, 1951). Questo è un modo di mostrare allegoricamente che lo Stato è un’autorità morale ma che i suoi servitori sono anche i suoi garanti. Altre esperienze narrativizzate furono la sconfitta della guerra Sino-Indiana del 1962 (che compare indirettamente e più come un’assenza), l’ascesa della signora Gandhi, il suo populismo, l’erosione dell’autorità dello stato nel 1980 attraverso i movimenti separatisti del Punjab e di altre regioni, l’abbandono del socialismo nehruviano nel 1991 quando l’economia venne liberalizzata e allineata con il mercato. Ho trattato tutto questo in un mio precedente libro, Seduced by the Familiar: Narration and Meaning in Indian Popular Cinema. L’avvento della globalizzazione nel nuovo millennio ha fatto qualcosa di diverso, e cioè ha creato una nuova audience più in sintonia con l’ambiente sociale globale che con l’India locale, un’audience urbana che era anche più familiare con la lingua inglese – la lingua della globalizzazione.
Il cinema Hindi cominciò a rivolgersi verso questa classe dotata di mobilità sociale verso l’alto in maniera consistente. I motivi nel nuovo cinema sono perciò molto diversi da ciò che erano prima del 2000. La tradizione non è più esaltata e le questioni etiche hanno perso terreno – con l’implicazione che il melodramma non è più la forma narrativa dominante – e l’aspirazione individuale (con l’esibizionismo consumistico) diventa un motivo chiave. Il cinema Hindi, che era una volta consumato nel “Terzo Mondo” ora è fruito principalmente dalla diaspora Indiana e del Sud dell’Asia. Come ci si può aspettare, c’è qualche resistenza a questo cinema anglofono in India e c’è anche un cinema che si rivolge a una classe non anglofona nelle aree rurali/semi-urbane che ha come sua icona la star Salman Khan.
Tra i film che lei cita uno, Rang De Basanti (2006), sembra esprimere il disagio giovanile di fronte alla corruzione politica e sembra piuttosto innovativo, in quanto parla di un gruppo di ragazzi di tutte le estrazioni sociali che vive all’occidentale, compie atti di terrorismo contro un politico corrotto e che muore come un terrorista, non senza aver mandato il proprio messaggio da una radio privata. Come lo spiegherebbe?
Rang De Basanti, secondo il mio punto di vista, è stato il primo film a rivolgersi deliberatamente alla nuova classe urbana che parla inglese e ha i suoi protagonisti che imprecano con naturalezza in inglese. Senza considerare l’ascesa di questa classe urbana in termini materiali, i ceti più poveri non istruiti esercitano molto più potere nel determinare l’esito delle elezioni. Ciò che perciò è successo è che la classe sociale dotata di mobilità verso l’alto è diventata disincantata nei confronti della politica e dei politici, mentre la restante parte della popolazione è interamente dipendente da questi. In Rang De Basanti i protagonisti assassinano un politico corrotto e io valuto questo fatto come una rappresentazione della disillusione verso la politica da parte della classe urbana dotata di mobilità sociale verso l’alto. Questa classe favorisce la governance nella politica, cioè l’economia senza la politica – in cui vengono mandate avanti le riforme economiche, orientate al mercato. I poveri favoriscono il populismo, il clientelismo la politica, tutti elementi che appartengono alla figura dell’uomo politico tradizionale.
Un altro film, Rajneeti (2010), è una saga a metà tra il Mahabharata e Il Padrino. Qui una dinastia politica si autodistrugge mentre rimane Primo Ministro solo la vedova di uno degli uccisi, e non a caso è figlia di un grande imprenditore. Perché lei definisce questa vicenda “una soap opera”?
Questo film continua alcune delle posizioni di Rang De Basanti in un modo differente. I politici non si preoccupavano delle questioni politiche ma si comportavano come degli uomini d’affari che proteggono un impero combattendo i rivali e/o i competitor. L’elettorato non è in evidenza eccetto che come folla plaudente. Il fatto che la maggior parte dei politici muoiano per lasciare il loro impero alla figlia di un imprenditore mostra una mancanza di fede nella classe politica al governo. Rajneeti poi è una soap opera da due punti di vista. In primo luogo, essa partecipa in modo vicario alle vite della gente potente e, in secondo luogo, cerca di mantenersi equidistante tra le due famiglie in guerra tra loro. Essa esprime emozione nel processo di godimento del potere e della ricchezza e non c’è alcuna distinzione tra bene e male. Le soap opera hanno bisogno di mantenere un’uguale distanza tra i personaggi cosicché l’emozione possa essere tenuta viva settimana dopo settimana.
Neanche un film come Peepli (Live) (2010) che parla di un contadino ridotto sul lastrico che pensa di uccidersi per ottenere un sussidio dal governo e salvare la sua famiglia dalla rovina per lei si può dire “impegnato” (non va dimenticato che intorno alla storia si crea un polverone mediatico assurdo). Come valuta questo film?
Il film parla della dichiarazione da parte del governo di un compenso per i contadini che si suicidano, e di un contadino che cerca di far sì che suo fratello si suicidi in modo tale che ne possa trarre beneficio. Il film è stato definito una black comedy e fa dell’umorismo sulla classe dei contadini poveri. È come se la comunità dei contadini sia l’altro rispetto alla classe urbana e non possa essere identificata con essa. Il cinema Hindi una volta si identificava con i contadini e i poveri, poiché li interpretavano grosse star – come in Mother India (1956) e Upkaar (1967). Invece qui i contadini sembra che vengano trattati come soggetti da antropologia. La legenda finale è in inglese, cosa che significa che il film è per persone che parlano inglese – una classe distante dalla situazione tratteggiata. Allo stesso tempo Peepli (Live) sta ben lontano dalle questioni politiche ed economiche sottostanti al suicidio dei contadini – come l’indebitamento da microcredito. Il film suggerisce che l’alcool abbia condotto quei contadini a tale stato. Esso inoltre finge che tratti dei media che vanno a caccia di storie eccitanti, ma ritrae le persone collegate ai media più seriamente – almeno alcuni di loro fanno domande sull’etica del loro lavoro – di quanto faccia con i contadini, che sono comici in modo uniforme. Penso che la black comedy abbia bisogno di distribuire il suo scherno in modo uniforme – cosa che il film certamente non fa. Ovviamente, io ho dei problemi con gli atteggiamenti accondiscendenti del film.
Anche il middle cinema partecipa al cambiamento avvenuto nel nuovo millennio. Cosa potrebbe dirci a proposito di Madhur Bhandarkar e dei suoi film?
La carriera di Bhandarkar come regista è costruita intorno alle denunce di varie industrie – la carta stampata in Page 3, l’azienda in Corporate, l’amministrazione comunale e le sue connessioni con i costruttori in Traffic Signal e l’industria della moda in Fashion. Ma lui ha sempre un approccio politicamente discutibile verso il soggetto che tratta. In Page 3, per esempio, giustifica velatamente la liquidazione extra – giudiziaria dei criminali. Ma il problema principale è che mentre usa la denuncia come forma, comincia ad apprezzare e a penetrare nel glamour di ciò che si suppone stia criticando – come in Fashion. Ciò che comincia come una critica sociopolitica finisce col diventare un advertisement o una pubblicità per l’istituzione che sta criticando a causa del quantità di glamour che vi mette.
Anche Bollywood diventa un brand di se stesso con il film Om Shanti Om (2007). Che valenza ha questo film?
Il cinema popolare Hindi in precedenza è stato definito “sentenzioso” per i suoi messaggi morali melodrammatici e d’evasione per il fatto di celebrare la ricchezza e di fornire happy ending, ma entrambi questi fenomeni si riferiscono al fatto di cercare un modo di vivere idealizzato – ideale in senso morale o materiale. Om Shanti Om non è nessuna di queste cose perché funziona come una pubblicità di lunghezza pari a un film per Bollywood come marchio globale. Gli attori del film recitano se stessi come le riviste di gossip li ritraggono. Il film è stato descritto come un simulacro poiché è come una copia per cui non c’è l’originale. Esso si riferisce a Bollywood che diventa un marchio globale con nessun ruolo nella vita sociale indiana. Questo è legittimo ma significherà che Bollywood nel prossimo futuro non avrà niente a che fare con la nazione. Il film è molto divertente e ha avuto grande successo globalmente – anche al di fuori della diaspora.
Ci sono molti altri argomenti che potrebbero essere toccati: il patriottismo, lo sport, l’amicizia, l’istruzione, la piccola illegalità appoggiata dallo Stato per evitarne una più grande. Su quale di questi temi si sentirebbe di concludere l’intervista?
Un aspetto di grande importanza è il fatto che i film Hindi hanno incominciato ad assumere una posizione molto ambivalente a proposito dell’illegalità nel perseguire le proprie aspirazioni. Film come Bunty Aur Babli, Om Shanti Om, Dhoom 2, Guru, Kaminey mostrano azioni illegali ma sorvolano su di esse. E’ stato anche suggerito che questo è il modo di fare globale. Quando la polizia viene mostrata come egoista e corrotta, ciò non è fatto vedere come deplorevole, ma come opportunità per fare impresa. Io attribuisco questo fattore all’indebolimento dello stato a causa di un lassismo nel far rispettare la legge. Ci sono altri film – come i film sullo sport – nei quali lo stato è sminuito e viene lodata l’impresa privata – come se l’impresa privata potesse intervenire dove lo Stato ha fallito! C’è stata un’enorme quantità di corruzione nell’ultimo governo, ma poco è stato fatto per portare il corrotto all’arresto. Molti segmenti, anche quando si rammaricavano di ciò pubblicamente, hanno visto tutto questo come un vantaggio per un avanzamento personale. Il cinema Hindi riecheggia questo sentimento in molti dei film menzionati sopra. Poiché esso è la voce di un vasto segmento del pubblico indiano, si riferisce al pubblico stesso che è stato corrotto dallo stato debole e dalle opportunità materiali che offriva. Come si possa avere un governo pulito con un pubblico corrotto è una questione che suscita molta preoccupazione.
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Titolo: The Politics of Hindi Cinema in the new Millennium. Bollywood and the Anglophone Indian Nation
Autore: M. K. Raghavendra
Editore: Oxford University Press
Pagine: 265
Prezzo: 37,30 €
Anno di pubblicazione: 2014