Il Corriere della Sera: “La Grecia scuote l’Europa”. “La crisi. “Djisselbloem: la lista delle misure lontana dall’essere completa”. “Telefonata tra Tsipras e Draghi”. “Ipotesi referendum lanciata da Atene, Bruxelles boccia gli aiuti di marzo”.
“La trattativa di un ministro ingombrante” è il titolo di un articolo di Danilo Taino, che ieri sul quotidiano milanese intervistava Varoufakis.
A centro pagina: “Il ritorno di Berlusconi: ‘No a queste riforme'”. “Il duello in Aula. Renzi: ‘avanti fino al referendum'”.
A fondo pagina: “Lo stupro che divide gli eroi di Tienanmen”. “Chai Ling, 26 anni dopo, accusa l’ex compagno di lotta. Ma per lui ‘c’era un accordo'”.
L’editoriale, firmato da Sergio Rizzo, è dedicato al processo di Trani alle agenzie di rating: “Un processo e domande scomode”.
Di spalla: “La nuova scuola. Confrontarsi con gli altri per imparare di più e meglio”, di Lorenzo Bini Smaghi.
La Repubblica: “Rai, ecco il piano, i nuovi manager scelti dal governo”, “Rivoluzione sulla governance, alle Camere solo il controllo”, “Berlusconi rompe con Renzi sulle riforme: ‘Matteo arrogante’”, “Ma Forza Italia si spacca: ‘Non tutti voteremo con Salvini’”.
A centro pagina: “La Ue alla Grecia: adesso niente aiuti”, “Le riforme giudicate incomplete. Tsipras alla Bce: ‘Siate indipendenti’”.
A centro pagina anche una grande foto dell’arresto di uno degli uomini accusati di aver ucciso in Russia l’oppositore Boris Nemtsov: “Nemtsov, presi gli assassini ceceni. ‘Un killer fu decorato da Putin’”.
In taglio basso , il richiamo ad un’intervista del quotidiano alla direttrice dell’Unesco Irina Bokova: “Appello Unesco: ‘L’Is cancella l’arte, i terroristi temono il dialogo tra le culture’”.
La Stampa: “Berlusconi dice no, Pd diviso. A rischio le riforme di Renzi”, “Il premier: non sono preoccupato, siamo pronti a un referendum”, “L’Ex Cavaliere a Bari conferma la rottura del Patto del Nazareno. Forza Italia però è spaccata”.
In prima, foto dell’ex tesoriere della Lega Belsito: “Ricordate Belsito? Ora fa il barista”, “L’ex tesoriere leghista, inquisito, gestisce un locale a Genova”.
In evidenza anche un’intervista al Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud sui 9 miliardi promessi dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio: “I soldi al Sud, come spenderli”, “Troppe volte i fondi sono stati utilizzati male”.
A centro pagina, la foto di una frana che nel 2010 spezzò in due una strada in provincia di Vibo Valentia illustra una inchiesta del quotidiano: “L’Italia frana, ma 9 opere su 10 sono bloccate”, “Contro il dissesto idrogeologico i soldi ci sono (nove miliardi), i progetti esecutivi no”.
Nella colonna a destra il corrispondente da Parigi Cesare Martinetti torna sullo scandalo che ha portato al fermo giudiziario di Claude Guéant, braccio destro dell’ex presidente Sarkozy: “Sarkò-Gheddafi. Una storia forse inconfessabile”.
A destra anche la corrispondenza da New York di Paolo Mastrolilli: “Per battere l’isis l’Onu conta anche su Assad”.
Il Sole 24 Ore: “La caccia alle polizze allarma le professioni”. “L’aumento delle responsabilità rende più difficile e costoso dotarsi di una copertura”. E poi: “730 precompilato, rebus per commercialisti e consulenti. Avvocati, magistrati e tecnici con Rc ancora da definire”.
Di spalla: “Qe ai nastri di partenza: l’offensiva di Draghi per battere la deflazione”. “Da oggi la Bce acquista titoli pubblici”. “La cura di Francoforte sarà efficace nei tempi lunghi”, scrive Riccardo Sorrentino.
A centro pagina: “Jobs Act per 700 mila contratti. Al via le ‘tutele crescenti’ per i nuovi ingressi, chi cambia azienda o inquadramento”. “La stima degli interessati tra turnover e stabilizzazioni”.
Il Giornale: “I furbetti delle Regionali”. “Vogliono truccare il voto in Veneto”. “Il piano di Tosi & C: cambiare le regole in corsa e approvare il ballottaggio. Per regalare la vittoria al Pd”. E poi: “Berlusconi archivia il Patto: ‘Riforme? Votiamo no’. E Renzi rilancia il referendum”.
L’editoriale di Alessandro Sallusti è dedicato alla “campagna acquisti del premier”. “Il patto dello Zanza”.
Il “controcorrente”: “Renzi butta via il ‘tesoro’ anti disoccupati”. “Non usiamo i fondi Ue per i giovani senza lavoro. E rischiamo di perdere 1,5 miliardi”.
In evidenza anche, con foto: “Soffiantini, sequestrato nel 97. ‘I miei rapitori? Perdonati. Ma oggi sparerei anch’io”.
In prima anche una “iniziativa del Giornale”: “Leggere il Corano per capire che l’Islam non si fermerà”, di Magdi Cristiano Allam.
Il Fatto, con grande foto di Papa Francesco tra i cardinali: “Chi vuole fermare Francesco”, “Bilancio di due anni di Papa Bergoglio: ha rivoluzionato il linguaggio, sta affrontando i nodi del celibato, dei sacerdoti e del ruolo delle donne. Ha concesso aperture ai divorziati e gay. Si è allontanato da Curia, Palazzo e Ior guardando al mondo. Ma la Chiesa è davvero con lui?”.
Sulla politica italiana: “B. tenta di bloccare Renzi: ‘Votiamo no alla riforma’”, “Nuovo Senato. Il Caimano cambia idea sulla nuova Costituzione. Ma il premier cerca la sponda di Verdini”.
Sull’Ue e la Grecia: “La corda della Ue al collo di Atene: no ad altri aiuti”, “L’Eurogruppo boccia il piano greco. Da oggi il ‘bazooka’ di Draghi comincia a sparare”.
A fondo pagina, un editoriale di Ferruccio Sansa: “Essere fedeli al partito o all’Italia?”, “Ministri, onorevoli e dirigenti Pd e la paura di dissentire”.
E, in chiusura di pagina, il richiamo in prima ad una lunga intervista all’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari: “Denunciai quei ladri, nessuno reagì”.
Ue, Grecia
Su La Stampa: “L’Europa blocca gli aiuti alla Grecia. ‘La lista delle riforme è incompleta’”, “Ma Atene frena: è solo un canovaccio, in arrivo nuovi fondi. Tsipras chiama Draghi”. Scrive Tonia Mastrobuoni che i dubbi dei partner europei non riguardano solo la sensatezza di proposte come quella di ingaggiare studenti, turisti e casalinghe come esattori fiscali (che ha suscitato ilarità), ma si concentrano sulla assenza di dettagli importanti nel piano greco, a partire da cosa intenda esattamente fare il governo Tsipras sulle privatizzazioni, sul mercato del lavoro o sulla farraginosa e costosa pubblica amministrazione. Secondo indiscrezioni, il ministro delle Finanze greco Varoufakis avrebbe pronte almeno due proposte per dissipare i dubbi: sulle privatizzazioni, nessuno blocco a quelle già avviate (come la cessione del porto del Pireo ai cinesi), ma sulle si tratterebbe di “riconsiderare i termini” delle privatizzazioni stesse per essere sicuri che lo Stato non ci rimetta. L’altro fronte su cui potrebbe agire il governo riguarderebbe una sorta di sanatoria per i debitori dello Stato che potrebbe valere almeno 20 miliardi di euro.
La Repubblica: “Crescita, parte il piano Bce, ma la Ue boccia la Grecia. Appello di Tsipras a Draghi”, “Da oggi gli acquisti di titoli per circa 60 miliardi al mese. Il premier greco: l’Eurotower non ceda alle pressioni politiche”. E in basso l’analisi di Andrea Bonanni: “Gelo Eurogruppo: riforme incomplete, slittano gli aiuti”, “Gli europei vogliono un accordo dettagliato su tempi e modalità delle misure di risanamento”, “Il premier ellenico ha però ottenuto che le trattative con la trojka si tengano solo a Bruxelles”.
La Repubblica intervista sul tema Lorenzo Bini Smaghi che, sottolinea il quotidiano, come membro del board della Bce, ha vissuto tutta la prima fase della crisi: “Atene sbaglia – dice Bini Smaghi – Francoforte è indipendente, troppe frasi irresponsabili”, “La Bce non è soggetta a input politici. Draghi ha mostrato una giusta fermezza”.
A spiegare l’operazione Bce è Federico Fubini: “Un fiume di denaro per rilanciare l’Europa, tassi giù, aiuti all’export, ecco la scommessa”, “Come funziona e quali effetti avrà il ‘Quantitative easing’ della Banca Centrale Europea che parte oggi. L’Eurotower acquisterà fino a settembre 2016 bond europei per un totale di 1.140 miliardi di cui 140 per interventi sui titoli italiani”, “Vantaggi per i Paesi ad alto debito: Roma così arriverà a risparmiare 6 miliardi l’anno di spesa per interessi”, “Tra gli obiettivi l’arresto della corsa dell’area euro verso la deflazione, fatto che scoraggia gli acquisti”.
Il Corriere della Sera scrive che la lista delle riforme inviate da Atene a Bruxelles è considerata “lontana dall’essere completa” dal presidente dell’Eurogruppo Jeroen Djisselbloem, e che i tempi saranno “lunghi”. Oggi è prevista la riunione dei ministri economici chiamati ad esprimersi sul programma presentato dal ministro Varoufakis e dal premier Tsipras, che ha passato la domenica chiamando nell’ordine Mario Draghi e il presidente francese Hollande. Secondo quanto scritto ieri dal quotidiano Frankfurter Allgemeine nella edizione domenicale “che a sua volta cita fonti diplomatiche europee L’Eurogruppo potrebbe decidere di inviare la Troika (Ue-Bce-Fmi) ad Atene per monitorare la solvibilità e la liquidità disponibile del governo”, scrive il quotidiano milanese. Ieri, in una intervista al Corriere, il ministro Varoufakis ha affermato che il governo dispone fin qui delle risorse per pagare pensioni e retribuzioni dei lavoratori pubblici. Il governo greco ha anche smentito che Varoufakis, nella stessa intervista, abbia fatto riferimento ad un “referendum sull’euro”, e che il suo richiamo era invece ad un referendum sulle misure economiche da prendere.
Il Messaggero intervista Andrea Montanino, ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale, oggi direttore del Global Business and Economics Program dell’Atlantic Council, un think tank Usa. Dice che “oggettivamente il piano di Atene è debole”, ma “non si può pensare di risolvere i problemi di questo Paese in tre-quattro mesi”, e “serve un orizzonte di anni” per intervenire su questioni come l’evasione fiscale. In passato “l’errore è stato pensare di poter applicare alla Grecia gli stessi programmi che vengono richiesti ai Paesi del Terzo Mondo con memorandum formalmente firmati dal ministro delle Finanze di Atene ma di fatto scritti altrove”. Dice ad esempio che non serve “far partire le missioni degli ispettori che di fatto paralizzano il Paese per giorni e giorni”, e “le discussioni tecniche si possono fare anche in altro modo, a distanza…”. Montanino dice che continua ad essere ottimista. “Con la Grecia intesa obbligata, ma l’Europa cambi approccio” il titolo dell’intervista.
Intanto oggi inizia il programma di Quantitative easing della Banca centrale europea. Riccardo Sorrentino, sul Sole 24 Ore, ricorda che l’obiettivo della Bce è “far tornare l’inflazione al 2% annuo. Un livello considerato non troppo alto da mettere in difficoltà i lavoratori dipendenti, che altrimenti vedrebbero calare il loro potere d’acquisto; né i risparmiatori, che vedrebbero erodere il valore dei loro patrimoni”, e spiega che “comprare titoli di Stato abbassa i tassi per le durate più lunghe, dai due ai 30 anni, più rilevanti per gli investimenti. Non è questo, però, l’unico effetto, né il più importante. Oggi i debiti bloccano l’attività economica. Occorre che il denaro torni a circolare. Come? A vendere i titoli di Stato saranno le banche, che ne posseggono in grandi quantità perché sono più sicuri. La Bce darà loro denaro liquido: si spera, allora, che non acquistino altri titoli di Stato, perché i tassi saranno calati, e che prestino soldi alle aziende. Creare tanto denaro fresco, inoltre, farà perdere valore all’euro: i prodotti esportati diventeranno meno cari, quelli importati più costosi”. Sorrentino ricorda che la ricetta “negli Usa e in Gran Bretagna ha funzionato. La Bce è arrivata al Qe un po’ in ritardo, per mille motivi, ma le sole aspettative hanno già prodotto effetti: l’euro è calato, i tassi pure, la fiducia è aumentata. I mercati, insomma, stanno dando una mano. I tempi non saranno rapidissimi, ma la strada della politica monetaria è questa”.
Patto del Nazareno, Riforme e Berlusconi
Il Corriere della Sera dà conto delle dichiarazioni che Silvio Berlusconi ha fatto in collegamento telefonico durante una manifestazione azzurra a Bari, in occasione della presentazione del candidato alle Regionali Schittulli. Nell’intervento il leader azzurro “ribadisce il no alle riforme” e “si appella accoratamente alla unità del centrodestra”, bacchettando quanti nel suo partito “peccano di ‘egoismo’”. Sulle riforme dice: “‘Noi avevamo creduto fino in fondo al patto del Nazareno, accettando sulle riforme cambiamenti che non ci piacevano e che ci siamo resi conto servivano solo a rafforzare una parte politica: il Pd ha l’arroganza e la prepotenza di chi si ritiene moralmente superiore’ e per questo ‘voteremo contro le riforme'”. Secondo il quotidiano però i verdiniani e i moderati azzurri (da Romani a Gelmini) non sarebbero convinti e vedrebbero con timore “al solco che si sta allargando con Renzi”.
Un altro articolo sul quotidiano milanese: “Ma Verdini lavora ai fianchi i gruppi: se salta tutto e si va alle urne che fine fate?”. “Sarebbero oltre 40 i parlamentari Fi pronti a ‘rianimare’ il patto del Nazareno”. Secondo il quotidiano “parlare di una corrente organizzata” di “verdiniani” forse è eccessivo, ma si fanno i nomi di Pino Galati, Saverio Romano, Gianfranco Rotondi, Manuela Repetti, Sandro Bondi, oltre che dei parlamentari più noti come “verdiniani”, ovvero Ignazio Abrignani. Gregorio Fontana, Luca D’Alessandro. Si legge anche che Verdini avrebbe dovuto incontrare Berlusconi la scorsa settimana, ma la frattura al malleolo del leader ha fatto saltare l’incontro.
Secondo Il Giornale “Forza Italia si compatta ma Fitto resta in trincea”. Ci si chiede se Fi dovrà fare i conti con qualche “nostalgico del Nazareno”, e si ricorda che domani è convocata l’assemblea del gruppo azzurro alla Camera. Quanto a Fitto, si citano le sue dichiarazioni di ieri in risposta alla invocazione della unità del centrodestra: “Berlusconi ‘si chiude in un bunker con dei collaboratori, noi invece suggeriamo un’altra strada, nuove regole di democrazia’”.
Per Il Fatto “B. boccia la riforma. Renzi spera in Verdini”. Il quotidiano sottolinea che il voto domani alla Camera sulle riforme costituzionali non è “liscio”: la maggioranza può contare su 375 voti (poi ci sono una trentina di deputati iscritti ai vari gruppi misti). Questo vuol dire -scrive Wanda Marra- che con una sessantina di voti contrari dal Pd la riforma inizierebbe a vacillare: basterebbero 60 assenti o 60 astenuti, visto che servono 316 voti, vale a dire la maggioranza assoluta dell’Assemblea (non dei presenti). E si spera nel soccorso di qualche parlamentare azzurro, garantito da Verdini.
Su La Stampa, pagina 2: “Berlusconi attacca: ‘Pd arrogante. Non votiamo la riforma costituzionale’”, “La svolta del leader di Fi spacca il partito: Romani, Repetti e Verdini in difficoltà. Salvini si compiace, ma Fitto accusa: ‘Abbiamo sbagliato la linea politica’”. Alla pagina seguente, il “retroscena” di Carlo Bertini: “Renzi: solo una mossa elettorale. Silvio non controlla più il partito”, “Il premier agita l’arma del referendum per piegare anche la fronda interna”. Su questo fronte, ovvero sulla minoranza Pd, secondo quanto riferisce Bertini, Renzi sarebbe convinto che, a parte Fassino e Civati, gli esponenti della fronda Pd voteranno tutti a favore: “anche Bersani, che sta provando a riprendersi al leadership della minoranza per giocarsela poi quando sarà il momento sulla legge elettorale”.
Su La Repubblica, pagina 4, le parole del presidente del Consiglio: “’Sulle riforme deciderà il referendum”. E il quotidiano scrive che “Berlusconi si defila:’Noi ci schieriamo contro, Matteo arrogante. Non ha chiuso la guerra civile che dura da 20 anni’. Il leader Pd alla minoranza: l’Italicum non cambia. E sulla crescita: ‘Torna il sole, Pil positivo nel primo trimestre’”.
Sulla stessa pagina Carmelo Lopapa firma un’analisi sugli orientamenti di Forza Italia: “I forzisti si spaccano sulla linea del no. ‘In molti non voteremo con la Lega’”, “Una parte del gruppo forzista pensa a una assenza tattica al momento del voto”, “Da oggi l’ex Cavaliere libero di muoversi. Ma resta ad Arcore in attesa domani della sentenza della Cassazione” sul processo Ruby.
Rai e governo
Le pagine 2 e 3 de La Repubblica sono interamente dedicate alla riforma Rai: “Rai, ecco il piano di Renzi, un manager al vertice nominato dal governo, alle Camere solo il controllo”, “Il disegno di legge sarà presentato al prossimo Consiglio dei Ministri per un confronto preliminare. Il via libera ci sarà dopo una consultazione degli esperti”. Ad occuparsene è Francesco Bei: “il cavallo di Viale Mazzini – scrive Bei – avrà tra poco in groppa un solo cavaliere. Un vero amministratore delegato, con poteri ampi, come in qualunque azienda privata. ‘Modello codice civile’, spiegano dal governo. E nominato direttamente dall’esecutivo”. Si tratta quindi di un modello che porterebbe a rottamare l’attuale gestione mista Consiglio di Amministrazione-direttore generale, nel tentativo di allontanare i partiti dall’amministrazione diretta dell’azienda. Ma che, accentrando in capo al governo la scelta dell’amministratore unico, non mancherà di sollevare polemiche. Il modello, scrive ancora Bei, fa perno sulla separazione tra gestione e controllo. La Commissione vigilanza Rai sarà quindi privata del potere decisivo che la ha affidato al legge Gasparri, ovvero quello di indicare i nove membri del Consiglio di Amministrazione. A chi spetteranno le nomine? Tra le ipotesi, quella di ipotesi un Consiglio di Sorveglianza con membri nominati dal governo e dall’Autorità di garanzia il quale, a sua volta, dovrebbe scegliere il Cda vero e proprio. Altra ipotesi: al Parlamento resterebbe l’elezione del Cda, pesando in una rosa di candidati indicata da soggetti esterni come l’Agcom, la Conferenza Stato-regioni, il Consiglio dei Rettori, la Corte costituzionale.
Sulla pagina di fianco, compare un’intervista al presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai Roberto Fico, esponente del Movimento 5 Stelle, che dice: “Siamo pronti a discutere con tutti ma diremo no a modifiche al ribasso”, “I membri del Cda avranno requisiti specifici e stringenti. Da una rosa di nomi si sceglierà per sorteggio”.
Lega
Sul Corriere: “Sul destino di Tosi la parola a Bossi. La Lega vuole il dietrofront ufficiale. Il Senatur presiede il comitato di garanzia che oggi affronterà il caso del ribelle”. Si ricorda che la Lega chiede a Tosi di lasciare la sua Fondazione “Ricostruiamo il Paese”. Si ricorda che nel dicembre 2014 Tosi siglò un patto con Maroni e Salvini, che prevedeva che lui sarebbe stato il candidato premier alle elezioni. Per questo Tosi “comincia a percorrere l’Italia” e la sua fondazione apre la sua sede in 53 province, anche al centro e al sud. Per questo è “difficile che accetti” di lasciarla.
Su Il Giornale si parla di un emendamento alla legge elettorale regionale in Veneto, presentato dal consigliere regionale ex Margherita Diego Bottaccin, “interlocutore di Tosi e oggi membro di Italia Unica”, la formazione politica di Corrado Passera. L’emendamento introduce nella competizione elettorale il ballottaggio, “un secondo turno che diventerebbe provvidenziale per il Pd che difficilmente col turno unico può espugnare la roccaforte leghista”, scrive il quotidiano. Il quotidiano ricorda che Zaia è in vantaggio nei sondaggi, che il Pd non va sottovalutato perché alle ultime elezioni europee ha preso il 37 per cento e che Ncd con Tosi è stimato al 10 per cento. L’emendamento stabilisce che se si conquista meno del 42,5 per cento dei consensi si deve andare al secondo turno. Ncd ha già detto che è favorevole, e favorevole è anche il Pd, e qualche altro voto arriverebbe dal gruppo Misto e dai “tosiani”, scrive il quotidiano. “Se si va al secondo turno i voti di Tosi possono diventare l’ago della bilancia”, si legge.
Su La Stampa: “veneto, si cerca il compromesso. Liste divise per riunire la Lega”, “A Zaia il controllo del listino, a Tosi la scelta dei candidati del Carroccio”.
Per La Repubblica “Scade l’ultimatum, Tosi verso la cacciata”, “Oggi il verdetto di via Bellerio sul caso Veneto: il tribunale interno sarà presieduto da Umberto Bossi. Il segretario: per me la vicenda è chiusa, i sto già pensando al programma di Zaia”.
Alla pagina seguente, le “mappe” di Ilvo Diamanti: “Le Lega nel Veneto indipendente a metà: lontana da Roma ma comanda Milano”, “I sondaggi assegnano a Tosi una quota elettorale tra il 5 e il 10 per cento. Una soglia che non sarà in grado di bloccare la vittoria di Zaia, candidato ufficiale del Carroccio”, “Le strade del segretario e del sindaco divergono. Il primo mira a costruire una Lega lepenista”, “La Liga, pur essendo la ‘madre di tutte le Leghe’ ha subito l’egemonia della Lombardia”.
Agenzie di rating a processo a Trani
Sul Corriere Sergio Rizzo si occupa del processo di Trani contro le agenzie di rating accusate di manipolazione del mercato per i declassamenti del nostro debito pubblico avvenuti nel 2010 e nel 2011, e definisce “non campate in aria” le critiche al governo italiano che ha deciso di non costituirsi parte civile. Secondo l’accusa il declassamento da parte di Standard & Poor’s del debito italiano costrinse “il governo di Mario Monti dovette pagare in base a una clausola del contratto di finanziamento ben 2,5 miliardi di euro alla Morgan Stanley. Banca d’affari americana che è fra gli azionisti di Mc Graw Hill, proprietario della medesima agenzia di rating”. Rizzo scrive che le accuse della Procura di Trani lasciarono tutti indifferenti, tranne “il deputato del Pd Francesco Boccia, pugliese, che invocò invano la costituzione di un’agenzia di rating europea per liberarsi dal giogo delle società americane” e il suo collega azzurro “Francesco Paolo Sisto, pugliese anch’egli, che capitanò un manipolo di onorevoli del centrodestra pronti a costituirsi loro parte civile”. Rizzo scrive anche che alcuni dei sospetti su quel declassamento sono “certamente risibili, come il fatto che il declassamento fosse parte di un disegno planetario ordito per far cadere il governo di Silvio Berlusconi e sostituirlo con un esecutivo prono ai diktat di Berlino e agli interessi degli speculatori mondiali”, ma che altri sarebbero “assai meno infondati”, e non manca di sottolineare come “molti dei nostri ex ministri ed ex direttori generali del Tesoro, per non parlare di qualche ex presidente del Consiglio, abbiano avuto in passato o abbiano tuttora rapporti di consulenza o dipendenza con le merchant bank che ci hanno finanziato o hanno prestato servizi lautamente retribuiti dallo Stato italiano”.
Internazionale
La Stampa, pagina 14: “Nemtsov, presi altri ceceni ma la pista non convince”, scrive Lucia Sgueglia da Mosca. “Confessa uno degli arrestati: ‘Sono stato io, amo il Profeta’. Il killer però era nelle forze del raiss Kadyrov, alleato di Putin”. Zaur Dadayev, 34 anni, è il solo dei 5 ceceni sospettati per il delitto dell’oppositore Boris Nemtsov di cui ieri è stato convalidato il fermo. Per 10 anni ha militato nel battaglione “Sever” creato come una sorta di “guardia personale” nel 2006 da Ramzan Kadyrov, pupillo di Putin che governa la repubblica caucasica con pugno di ferro. Se coinvolti suoi fedelissimi, Kadyrov potrebbe essere accusato dell’omicidio Nemtsov, tanto che qualcuno sospetta un trucco per sbarazzarsene, perché non tutti al Cremlino lo amano, per quanto sia l’architrave della fragile pax putiniana nel Caucaso. Kadyrov, ricorda ancora Sgueglia, ha spedito ceceni alla marcia anti-Maidan a Mosca una settimana prima della morte di Nemtsov, in cui si proponeva di “liquidare la quinta colonna” degli oppositori.
Su La Repubblica se ne occupa il corrispondente da Mosca Nicola Lombardozzi: “Nemtsov, confessa uno dei sospetti: ‘Ucciso per denaro’. I dubbi della famiglia”, “Presi cinque ceceni, un altro si fa esplodere” (a Grozny, la capitale della Cecenia). E la reazione della figlia di Nemtsov: “No, è un delitto politico”. Scrive Lombardozzi che quindi gli inquirenti moscoviti ipotizzano che cinque ceceni siano arrivati in Russia per uccidere Nemtsov: il movente sarebbe il denaro, a sentire la risposta fornita da un giudice del comitato investigativo. Si tratterebbe quindi di un delitto su commissione. In una confessione, Zaur Dadayev avrebbe fornito una breve confessione: decorato personalmente da Putin nel 2010 con una medaglia al merito, è stato vice comandante del battaglione Sever, del ministero dell’Interno della Repubblica cecena. Un battaglione specializzato nella repressione del terrorismo islamico cui sarebbe concessa licenza di rapimenti, rappresaglie, torture, secondo quanto riferiva anche la giornalista della Novaya Gazeta uccisa nel 2006, Anna Politkovskaya. Lombardozzi riferisce che lo stesso presidente della Repubblica cecena Ramzan Kadyrov ha sostenuto la tesi secondo cui “è fortemente credibile che gli assassini siano rimasti traumatizzati e offesi dalle dichiarazioni antislamiche di Nemtsov dopo la strage parigina di Charlie Hebdo”. Ma il corrispondente ricorda che nessuna delle dichiarazioni di Nemtsov sul tema sia talmente forte da esser degna di essere ricordata. Alla pagina seguente, Enrico Franceschini intervista il giallista inglese Fredrick Forsyth, che dice: “Trama troppo semplice, è scritta dal potere, i russi non devono fidarsi”.
Il Corriere: “Cinque in cella per il delitto Nemtsov. E un sospetto si fa saltare in aria”. “Uno degli arrestati avrebbe confessato. I molti punti oscuri di una inchiesta che accusa i caucasici”. Fabrizio Dragosei scrive che i sospettati avrebbero ucciso Nemtsov perché “‘da ferventi musulmani’ non sopportavano il fatto che il leader dell’opposizione aveva espresso solidarietà ai giornalisti di Charlie Hebdo massacrati a Parigi”, anche se la formale incriminazione degli accusati ipotizza invece una aggressione per “ragioni di denaro, connessi con la rapina, l’estorsione o il banditismo”. Uno dei due uomini incriminati, Zaur Dadayev, è stato nella milizia presidenziale cecena del presidente Kadyrov, che ha confermato l’identità dell’uomo. Dadayev avrebbe “confessato” alla polizia ma non ha ammesso nulla davanti ai magistrati, davanti ai quali è stato “portato in manette e in malo modo” da agenti mascherati. “Il tutto sembra un ‘pacco’ confezionato per dimostrare che gli alti vertici russi non c’entrano nulla”. A molti la vicenda “ricorda troppo da vicino quella di Anna Politkovskaya”, scrive Dragosei.
Il Giornale: “Confessa uno dei cinque arrestato per l’assassinio di Boris Nemtsov”. Il quotidiano scrive che “a dare l’annuncio ufficiale” della confessione di Dadayev è stata la giudice Natalia Mushinikova”, che ha confermato il suo arresto fino al 28 aprile.
Su La Repubblica, a pagina 17, l’intervista alla direttrice dell’Unesco Irina Bokova sulle distruzioni di siti e reperti archeologici ad opera dei terroristi Is: “In Iraq cancellano l’arte, dobbiamo agire subito”, “L’obiettivo degli estremisti è annullare qualsiasi traccia che testimoni l’importanza del dialogo fra le culture”.
Sulla stessa pagina si riferisce di una intervista concessa dalla regina Rania di Giordania alla direttrice dell’Huffington Post, Arianna Huffington, sull’Islamic State: “Via la I da Is, il terrorismo non è islamico”.
Ai “tesori perduti” a causa dei “vandalismi ideologi sistematici”, ma anche a quelli perduti a causa del “collasso dell’autorità pubblica” è dedicato un ampio approfondimento del Corriere, con Lorenzo Cremonesi che elenca anche il saccheggio del museo di Baghdad, “sotto il naso delle truppe Usa”, quello fatto durante la “primavera araba” egiziana, ad opera dei “tombaroli” che saccheggiarono le tombe faraoniche, quelli in Siria tra i siti bizantini a sud di Aleppo. E ancora a proposito di Siria: “che ne è stato di Ebla e le sue tavolette cuneiformi? Nessuno può fornire risposte. Come del resto cresce l’inquietudine per i siti greco-romani in Libia: Cirene, Sabratha, Leptis Magna, Gadames. Già sappiamo che i commercianti di reperti vi operano indisturbati. Ma ora la diffusione di Isis accresce i timori”.
Su La Stampa, pagina 8: “Petrolio e orrori, Libia come la Siria”, “Decapitate otto guardie del sito petrolifero assaltato sabato dagli islamisti. L’Isis vuole autofinanziarsi con il greggio e terrorizza le forze che lo difendono”.
Alla pagina seguente un “retroscena” di Paolo Mastrolilli da New York: “Impossibile battere l’Isis senza passare per Assad. Così l’Onu salva il raiss”, “Dietro le quinte delle trattative: verso una transizione ‘morbida’”.
E Maurizio Molinari, ancora su La Stampa, si occupa di Boko Haram, dopo l’ufficializzazione della sua affiliazione all’Isis: “Boko Haram, alleato chiave per la conquista dell’Africa. La strategia in ‘franchising’ del Califfato. Uomini, armi e le mani sui traffici sahariani”
Alle pagine R2 della cultura di Repubblica, un lungo intervento di Paolo Flores D’Arcais: “La democrazia deve chiedere l’esilio di Dio”, “Chiesa o Stato, sacro o razionale: ecco perché il principio di legittimità delle nostre leggi non può che essere ‘umano e solo umano’”.