Il Corriere della Sera: “Segreto bancario, finisce un’era”. “Accordo con la Svizzera: scambio di dati sui conti. Renzi: torneranno miliardi di euro”. “Serve la ratifica dei Parlamenti, poi il referendum di Berna. In arrivo l’intesa con il Lichtenstein”.
A centro pagina: “Tsipras in difficoltà cerca una via d’uscia. Si tratta con l’Europa”. “Slittato ad oggi il piano per sette miliardi”.
“Il gioco greco non può essere il ping pong”, titolo di un articolo di Danilo Taino.
L’editoriale, firmato da Antonio Polito: “La Pomigliano della sinistra. Landini e Boldrini contro Renzi”.
A fondo pagina: “Nuove identità, il caso del terzo genere”. “Cambiare sesso senza ricorrere alla chirurgia. La prima sentenza a Messina”.
Da segnalare in prima anche: “Responsabilià civile. La riforma e i giudici che si sentono nell’angolo”.
E poi, di Dario Di Vico: “I distretti produttivi si preparano a trainare la ripresa italiana”.
La Repubblica: “Mai più conti segreti in Svizzera. Slitta il piano, battaglia Grecia-Ue”, “Storico accordo con Berna. Renzi: pronti a recuperare miliardi. Atene chiede più tempo, oggi il verdetto”.
La foto è per le manifestazioni in Turchia dopo lo stupro e l’omicidio di una ragazza: “La rivolta dei turchi in gonna, ‘Basta violenze sulle donne’”. A raccontarlo è Marco Ansaldo.
A centro pagina il richiamo ad un’intervista a Roberto Hamza Piccardo, fondatore dell’Ucoii: “’Noi islamici italiani scudi umani contro l’Is’. Allarme carceri, ecco i 58 detenuti pro-jihad”.
Di spalla a destra, un intervento di Umberto Eco: “Non lasciamo che Mondadori divori Rizzoli”.
A fondo pagina, gli Oscar: “Migranti & femministe, l’Oscar è social, trionfa il film dimenticato da Venezia” (Birdman ha infatti conquistato 4 statuette).
In prima anche l’intervista a Gianfranco Fini: “Salvini minoritario nella mia destra anti Le Pen un leader non c’è ancora”.
La Stampa: “La Svizzera non è più paradiso fiscale”, “Fine del segreto sui conti in banca. Tutte le regole per sanare le posizioni con l’Erario”, “Padoan firma il protocollo dopo tre anni di negoziati: consultabili i dati sui titolari. Giovedì patto col Liechtenstein”.
Sulla crisi greca: “Il piano di Atene: patrimoniale e lotta al contrabbando”, “Oggi la lettera all’Ue con impegni per 7 miliardi. Interventi anche su privatizzazioni e lavoro”.
A centro pagina, foto dei familiari delle vittime Eternit davanti alla Corte di Cassazione sotto il titolo: “La Cassazione: Eternit, un processo sbagliato”, “I giudici: era già prescritto prima di iniziarlo. Ma Guariniello: ora si può procedere per omicidio”.
In prima anche il voto alle Regionali in veneto: “Tosi, Zaia e il pasticcio leghista”.
E “il caso a sinistra”: “Camusso: la Cgil non è un partito”, “Incontro con Landini. Resta la sfida della Fiom”.
A fondo pagina: “Gli Oscar dimenticano l’allarme terrorismo”, “Nei discorsi trionfano diritti civili e immigrazione, neppure un cenno all’Isis”.
Il Sole 24 Ore: “Italia e Svizzera firmano l’addio al segreto bancario”. “Via al nuovo accordo fiscale bilaterale: scambio di informazioni su richiesta da subito”. “Rientro dei capitali più facile. Renzi: tornano miliardi”.
Di spalla: “Scuola, il merito conterà nelle carriere per il 70 per cento. Indennizzo per i precari”. “Per gli insegnanti l’anzianità varrà solo il 30 per cento”.
In prima anche: “Padoan, sulla Rai il piano Gubitosi va nella giusta direzione”.
A centro pagina: “L’effetto Grecia lancia i Btp”. “Tsipras consegna oggi il piano: maxi patrimoniale e niente salario minimo”. “Borse e titoli di Stato in rialzo sui progressi nel dialogo tra Atene ed Ue: spread sui Bund a 117”.
Alla Grecia e in particolare a Syriza sono dedicati due articoli. Carlo Bastasin (“Se Tsipras vive il ‘Monti moment'”) e Vittorio Da Rold (“La linea d’ombra di Syriza”).
Il Fatto ha in apertura le foto di Marcello Dell’Utri, Cesare Previti, Silvio Berlusconi, Gianni De Michelis, Francesco De Lorenzo. Il titolo: “Condannati al vitalizio”, “Mazzette, mafia, frode fiscale, ricettazione: gli ex parlamentari pregiudicati continuano a incassare pensioni d’oro (Dell’Utri direttamente in carcere). Grazie all’inerzia della Presidenza della Camera e al patto Pd-Forza Italia contro la proposta M5S”.
A centro pagina: “Landini ‘politico’. Ecco la coalizione della nuova sinistra”, “Rodotà, Gino Strada, don Ciotti e…”, “Il leader Fiom tira dritto: ‘Non faccio un partito, ma mi muovo dal basso.. Renzi dice che come sindacalista ho perso? Vorrei ricordargli che abbiamo 350mila iscritti, più del Pd. E che non facciamo cene da mille euro’. La Cgil: insieme per il referendum sull’art. 18”.
Sulla vicenda Eternit il quotidiano intervista il pm Raffaele Guariniello: “La Corte: Eternit tutto prescritto. Il pm: ‘I colpevoli pagheranno’, Guariniello : ‘Nuovo processo a Schmidheiny per omicidio volontario’”.
A fondo pagina un intervento di Aldo Busi: “Busi su ‘Mondazzoli’: ‘Scandaloso è il prezzo. La Rizzoli vale meno’”.
E il quotidiano ricorda che domani torna in edicola il settimanale francese Charlie Hebdo: “Charlie è tornato. Contro tutti”, scrive Luana De Micco.
Il Giornale: “Fine del segreto bancario. Panico a sinistra”. “L’intesa Roma-Berna (idea di Berlusconi) arriva proprio mentre si scoprono i vizietti dei moralisti”. Il commento di Francesco Forte: “Misura sensata ma tardiva. Il fisco disumano la renderà inutile”.
E poi: “Tsipras si rimangia la rivoluzione. Su le tasse, niente aumenti”.
L’editoriale: “Con scuola e Rai il premier sogna di rieducare gli italiani”.
A centro pagina un grande titolo: “Toghe impazzite. La meritocrazia dei pm: più sbagli più fai carriera. E il re versa il risarcimento alle vittime della giustizia”.
Landini, Renzi, Pd, sinistra
La Stampa, pagina 8, sul lungo incontro ieri tra la segretaria Cgil Susanna Camusso e il leader della Fiom Maurizio Landini: “Camusso incontra Landini e lo frena: ‘La Cgil non è un partito’”, “Poi i due leader smussano la portata del vertice: ‘Era già programmato. La sfida politica della Fiom resta in piedi”. Nella parte bassa della pagina, i pareri dei sondaggisti: “Per il leader Fiom fiducia molto alta. Il bacino di voti si ferma all’8 per cento”, “difficile fare una Podemos italiana”. Spiega Pietro Vento, direttore di Demopolis: “Secondo le nostre rilevazioni, Landini gode della fiducia di circa il 20 % degli italiani: ma attenzione, fiducia non significa che lo voterebbero”.
Sul Sole: “Camusso chiede chiarimenti a Landini. Critiche anche dalla Cisl”. Il quotidiano scrive che dal sindacato hanno spiegato che l’incontro era previsto da tempo, in preparazione dell’assemblea dei metalmeccanici Cgil prevista per il fine settimana a Cervia.
La Repubblica intervista lo stesso Landini, che dice: “Io in politica? Deciderà la Cgil nel 2018. Di certo serve una coalizione sociale”. E spiega che “una coalizione sociale vuol dire mettere insieme chi agisce nel sociale con al centro la questione del lavoro”. E che “il sindacato ha sempre fatto politica. Ha sempre espresso una sua visione, non è mai stato un sindacato di mestiere”. Nel 2018 lei terminerà il mandato alla Fiom e sarà l’anno delle elezioni. Esclude una sua candidatura? “Alla fine del mio mandato sarò a disposizione della Cgil. Cosa farò lo decideranno i dirigenti e soprattutto gli iscritti”. A Renzi risponde che è una bugia che la Fiom abbia perso iscritti. Ammetterà però che gli ultimi scioperi a Pomigliano e Melfi sono stati due clamorosi flop? “Non ho problemi ad ammetterlo -risponde- Ma vorrei ricordare che per ottenere il riconoscimento dei nostri delegati alla Fiat abbiamo dovuto far ricorso alla Corte costituzionale”.
Il Fatto, pagina 4: “Sinistra, venerdì la Fiom dà il via libera a Landini”, “nel progetto un’aggregazione di soggetti sociali, senza leader di partito. Il sindacalista: ‘Abbiamo 350 mila iscritti, più del Pd e senza fare cene’”. Il Fatto scrive che c’è un problema di comunicazione, perché per gli osservatori ‘fare politica’ significa fare un partito e farsi eleggere in Parlamento, mentre Landini dice “io voglio fare una politica più larga, dal basso, offrendo una rappresentanza a a tutti i soggetti colpiti dalla crisi. Voglio unire coloro che non sono rappresentati da un Parlamento che rappresenta solo gli interessi di Confindustria”. Secondo il quotidiano il progetto vedrà la luce in primavera: non si ritrovano i protagonisti della sinistra politica, non ci sono né Vendola, né Civati o Fassina. Scrive ancora il quotidiano che Landini trova resistenze nella Cgil “sia perché questa nuova relazione tra sindacato e politica non è compresa, sia perché la sua leadership non è gradita”. Ma “l’asse” con la segretaria Cgil Camusso per il momento “tiene”: e potrebbe rinsaldarsi se la Cgil deciderà di andare a un referendum abrogativo sul Jobs Act. L’ultimo direttivo ha infatti deciso di “non escluderlo” affidandosi ad una consultazione tra gli iscritti.
Su La Repubblica Stefano Folli analizza “il paradosso Landini”, ovvero “quello spazio nuovo alla sinistra Dem difficile da colmare”: in Italia “il variegato fronte sociale appare privo di ossatura e di una vera strategia”.
Marcello Sorgi su La Stampa scrive che tanto il progetto di un referendum anti Jobs Act che quello di un “partito antagonista” si risolverebbero probabilmente a favore di Renzi: Sorgi cita il precedente del referendum proclamato dal Pci con l’appoggio della Cgil contro il taglio della scala mobile voluto da Craxi nel 1985. Quanto al “partito antagonista”, ad esso non si unirebbe la sinistra bersaniana, decisa piuttosto a condurre la sua battaglia all’interno del Pd. Non si tiene conto poi delle difficoltà in cui versa da tempo la sinistra radicale, da Sel in giù, attraversata da tempo da tensioni e scissioni a favore delle riforme di Renzi.
Sul Corriere, Antonio Polito si chiede se sia “possibile una sfida da sinistra a Matteo Renzi”, ed indica in Boldrini e Landini i due “potenziali competitori”, la prima che invoca la “questione democratica”, il secondo che cavalca la “questione sociale”. Polito ricorda che all’ultimo sciopero indetto dalla Fiom “a Pomigliano hanno scioperato in cinque quando ha tentato di bloccare il primo sabato di straordinario sulla linea della Panda, con la motivazione che il lavoro andava condiviso col resto della fabbrica. Nessuno rinuncia al lavoro oggi, neanche in cambio di solidarietà, e forse nemmeno di diritti”. Quanto alle critiche della Boldrini – sui decreti delegati varati dal governo senza tener conto di un parere delle Commissioni lavoro – dice che “è difficile rimproverare a Laura Boldrini la sua frase sull’’uomo solo al comando’ quando sono i renziani stessi a ricorrere abitualmente alla minaccia di ‘andare avanti da soli'”. Insomma, “la questione democratica esiste”, anche se “è flebile la voce di chi vorrebbe trasformarla nell’arma di una sfida politica al premier”.
Sul Corriere – tra gli altri – la notizia delle critiche del capogruppo Pd Speranza, proprio sui decreti sul Jobs Act. Il quotidiano parla di una “bomba”, ovvero “una dichiarazione che imbarazza non poco il premier Renzi e il governo. ‘Deve essere a tutti chiaro che se viene meno la necessaria sintonia tra Parlamento e governo non si va da nessuna parte’. Forse Speranza è l’unico che ha capito qualcosa. ‘Se è vero che i pareri non sono formalmente vincolanti, è un errore non averli presi in considerazione – continua – le sfide che il paese ha di fronte richiedono non solo una convinta determinazione nell’azione di governo ma anche un ruolo autonomo e autorevole del Parlamento”.
Sul Sole, Lina Palmerini scrive della “ricerca disperata di un leader” e ricorda che “mentre Syriza si spacca proprio perché ci si misura con la realtà, a Roma questo esercizio resta lontano. E mentre Atene fa i conti con il suo popolo e con i rischi di un collasso finanziario, la sinistra italiana è partita alla ricerca di un nuovo Tsipras”.
Centrodestra
Il Corriere della Sera intervista il senatore ed ex presidente del Senato Renato Schifani: “Al governo fino al 2018, il Carroccio sa solo contestare. FI scelga: o noi o loro”. “Non si può stare nel PPE andando con i lepenisti”. Dice che “gli scenari di ricostruzione del centrodestra oggi sono lontani”, la Lega di Salvini, partito “solo di lotta e non più di governo”, “sta cercando di fagocitare FI”. A Forza Italia chiede “scelte omogenee”, per esempio “se siamo alleati in Campania dovremmo esserlo anche in Veneto”. Dice che occorre andare “oltre il berlusconismo” e che anche Berlusconi lo sa.
Il Giornale: “Berlusconi si concentra sul puzzle delle regionali”. “Il leader azzurro vuol convincere Ncd e Carroccio a mettere l’alleanza ‘davanti a tutto’. Ma ha solo dieci giorni di tempo”. Berlusconi si renderebbe conto che il “diktat” di Salvini, che mira a far saltare l’alleanza Ncd-Fi in Campania, è “un assurdo politico”, visto che la Lega “governa con gli alfaniani” in Lombardia.
Il Sole 24 Ore dà conto delle tensioni interne alla Lega, tra il sindaco di Verona Tosi e il presidente della Regione Veneto Zaia. “Anche Maroni contro Tosi. Il sindaco chiede la conta”. Tosi “non si smuove” dalla contrarietà alla riconferma di Zaia candidato alle prossime regionali “tanto da minacciare” una propria candidatura alternativa. Maroni ha inviato “idealmente” un messaggio a Tosi: andare contro Zaia sarebbe “una iattura”.
Il Corriere: “Salvini e Tosi, accuse al veleno. In Veneto ormai ci sono due Leghe”. “Scontro finale sulle alleanze. Verso il commissariamento o la scissione”. Il quotidiano spiega che Tosi vuole che Zaia sia sostenuto da una “pluralità di liste”, e che una di queste liste dovrebbe portare il suo nome. Il governatore vedrebbe l’ipotesi “come il fumo negli occhi”, perché il timore sarebbe di ritrovarsi con consiglieri regionali fedeli al sindaco di Verona che sarebbe “condizionanti” della sua futura giunta. Zaia ha oggi quindici punti di vantaggio sulla sua avversaria Pd, Alessandra Moretti.
Svizzera
Il Sole 24 Ore spiega che quello firmato ieri è “Il protocollo di modifica della convenzione sulla doppia imposizione”, e che “pone le condizioni per la fine del segreto bancario fra i due paesi e permette alla Svizzera di uscire dalla black-list, consentendo ai ai contribuenti italiani che intendono avvalersi della voluntary disclosure di beneficiare di condizioni migliori in termini di anni da sanare e di oneri da versare”. Il quotidiano ricorda che le trattative vanno avanti da tre anni, e che la firma “tecnica” sull’accordo (quella di ieri era la firma “politica”) è del gennaio scorso. Sono stati rinviate a prossimi incontri le questioni dei lavoratori frontalieri e quella dello status di Campione d’Italia. Dal momento della firma – e quindi con almeno due anni di anticipo rispetto alla ratifica che i due Paesi dovranno fare – l’agenzia delle entrate italiane potrà chiedere informazioni alla Svizzera. Non ci sarà retroattività.
Francesco Forte su Il Giornale scrive che l’accordo è stato aiutato dalla rivalutazione del franco svizzero, “che rende conveniente far emergere le plusvalenze in euro”, ricorda che quando Berlusconi lo propose la sinistra si oppose perché lo considerava un “condono” e scrive che è vero che in Svizzera ci sono 200 o 300 miliardi di euro italiani, ma che questi ormai “sono estero-vestiti legalmente” e che rimarranno lì.
Grecia
La Stampa, pagina 5: “Il piano greco all’esame europeo. Tsipras prepara la patrimoniale”, Oggi la lettera con gli impegni per un totale di 7,3 miliardi. Stretta sui paperoni. Dalla lotta all’evasione arriveranno altri 2,5 miliardi, altri 2,3 da quella al contrabbando”.
La Repubblica dedica al tema ben tre pagine. Il “retroscena” di Ettore Livini: “Un’altra notte di trattative per scongiurare la rivolta di Syriza”. Si spiega che “la rivolta di Syriza (e il rischio di veder impallinata nel Parlamento europeo l’intesa con l’Eurogruppo)” hanno obbligato Tsipras a rimandare ai tempi supplementari la presentazione a Bruxelles della lista di riforme. Le sei pagine messe a punto dal governo greco sarebbero state già pronte, e vistate in maniera informale dai creditori, già ieri mattina: ma alla luce dei tamburi di guerra che risuonavano all’interno del partito, Tsipras avrebbe chiesto e ottenuto da Bruxelles di ritoccare il documento per renderlo più appetibile sul fronte interno, dopo che l’eroe della resistenza e decano di Syiriza Manolis Glezos (aveva detto ‘stiamo tradendo gli impegni, chiedo scusa ai greci’), aveva “scoperchiato la pentola” dei malumori a sinistra. Sulla scia di Glezos si è messo anche il compositore Mikis Thedorakis, ma soprattutto diversi parlamentari di Piattaforma di sinistra, l’ala più radicale del partito. Molti sottosegretari hanno minacciato le dimissioni. Per finanziare l’addio alle vecchie misure di austerity previste dal governo di Samaras, ovvero un aumento dell’Iva e il taglio alle pensioni, il governo varerà un durissimo piano di lotta all’evasione e alla corruzione. Alle pagine seguenti è ancora Ettore Livini a dedicare un lungo articolo agli armatori greci: sono protetti per diritto costituzionale e in 10 anni hanno portato 140 miliardi di utili all’estero, ma sinora non sono stati toccati perché producono il 7% del Pil e occupano 250 mila persone. La più grande armata marittima del mondo, scrive Livini, è sotto la minaccia di Tsipras: si tratta di 4.707 navi, ovvero il 16% del mercato globale. L’articolo 89 della Costituzione consente ai proprietari di navi di non pagare balzelli ai profitti generati all’estero. Nessun premier greco ha mai osato andare contro gli interessi degli Onassis nazionali: sono loro a costruire ospedali nelle isole, racconta un portuale e aggiunge che le loro ricchissime fondazioni danno da mangiare a 50mila persone. L’ex premier Samaras ha provato ad intaccare i loro diritti, ma è presto venuto ai patti con gli armatori, limitandosi, nel 2012, a concordare una tassa temporanea d’emergenza come contributo alla crisi nazionale.
Secondo Danilo Taino sul Corriere Tsipras ha la possibilità oggi – grazie al suo consenso – di “attaccare i mali storici della Grecia”, può “aggredire le oligarchie, liberalizzare i settori dell’economia ingessati dagli interessi di casta, aprire i mercati”, “promuovere la meritocrazia a scapito delle rendite”. Invece che “giocare a ping pong” con le istituzioni europee e mondiali, toccherebbe ad Atene fare proposte senza aspettarsi che vengano da Draghi o da Lagarde, dice Taino.
Secondo Carlo Bastasin, su Il Sole 24 Ore, “Alexis Tsipras sta per affrontare” un “Monti moment”, il tentativo “di scuotere le incrostazioni e abitudini secolari di un Paese in pochi mesi, con le sole proprie forze e in un quadro economico fragile”. Si legge che il premier greco “vuole combattere non più Berlino e la Troika, ma l’evasione fiscale degli oligarchi, la corruzione degli amministratori locali, il trasferimento all’estero dei capitali, le facilitazioni fiscali dei commerci di materie prime, il contrabbando di energia, l’economia sommersa e gli altri caratteri della società greca che ne frenano lo sviluppo e la rendono così ingiusta da aver reso necessarie contromisure assistenziali che nei decenni hanno reso incontrollabile la spesa pubblica”. Bastasin scrive che l’Eurogruppo sottovaluta le difficoltà di Tsipras, il quale ha “certamente sbagliato strategia fin dall’inizio nel trattare in modo antagonistico e unilaterale con i partner europei” ma “la democrazia non è il dominio della maggioranza sulla minoranza, nemmeno quando questa è rappresentata da un Paese un po’ disordinato o molto indisciplinato. La sfiducia non può essere l’unica base della convivenza”.
Internazionale
Su La Repubblica, alle pagine R2, Marco Ansaldo racconta le manifestazioni ad Istanbul degli uomini che hanno sfilato in gonna: “Nessuna goliardia, lo fanno per Ozgecan Aslan, la ragazza di 20 anni stuprata e uccisa su un autobus. Una protesta in strada e una campagna sul web per denunciare un orrore quotidiano”. I media – scrive Ansaldo – riportano peraltro dati allarmanti: le violenze contro le donne sarebbero aumentate del 1400% da quando, nel 2002, il partito islamista Akp è al potere. Sotto accusa le tradizioni conservatrici, imperanti soprattutto nelle zone più interne e orientali del Paese. Di fianco, un’intervista alla scrittrice Elif Shafak: “La Turchia – spiega – è un Paese patriarcale. Ma sta diventando ancora più conservatore e dominato dagli uomini”, “non dimentichiamoci che la Turchia ha il più basso tasso di rappresentazione femminile in politica”. Si torna poi ai funerali della ragazza uccisa: l’imam aveva detto alle donne di stare indietro per lasciare il posto agli uomini come vuole la tradizione. Ma le donne hanno disobbedito, sono andate in prima fila e si sono caricate il feretro sulle spalle. Spiega la scrittrice: “Secondo le regole prevalenti dell’Islam in Turchia le donne ai funerali devono lasciare portare il feretro agli uomini che conducono la preghiera. Ma questa volta, nonostante tutti gli avvertimenti dell’imam, si sono rifiutate di farlo. Non lo hanno ascoltato. Hanno detto ‘Nessun’altra mano di uomo la tocchi più’. E hanno caricato loro stesse la bara. Gli analisti di politica internazionale non hanno colto questo aspetto. Sono così concentrati sulla politica che non hanno fatto attenzione a come sta cambiando la società turca. Oggi qui le donne stanno diventando più politicizzate degli uomini. Durante gli eventi di Gezi Park, metà di quelli che protestavano erano donne. E le donne sono più forti nell’opporsi all’autoritarismo e al sessismo, perché sanno di non avere più niente da perdere”.
Su La Repubblica, in riferimento al tweet di un jihadista scovato da Site, il gruppo privato di Intelligence americano: “L’Is torna a minacciare: ‘Italia, scorrerà il tuo sangue’. Parigi sposta una portaerei”, “’Se entra in guerra il Mediterraneo si tingerà di rosso’. La Francia ferma sei aspiranti combattenti in partenza”. Sulla stessa pagina, una lunga inchiesta di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci: “Quei 58 fomentatori d’odio nelle nostre celle. ‘Lodano la jihad e cercano di fare proseliti’”. Ci si riferisce alla lista redatta dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Si tratta di 58 detenuti finiti dentro per reati vari, non necessariamente legati al terrorismo, che hanno mostrato vicinanza all’ideologia del Califfato o di Al Qaeda: “Sono quasi tutti extracomunitari – scrivono Foschini e Tonacci – provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa del Nord, ma tra loro ci sono anche cinque o sei italiani convertiti all’Islam”. Alla pagina seguente, un’intervista a Roberto Hamza Piccardo che – si ricorda – è stato tra i primi italiani convertiti all’Islam, quarant’anni fa, voltando le spalle alla militanza giovanile nell’estrema sinistra. Membro fondatore dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia, dice, nel corso dell’intervista: “I musulmani si offrano come scudi umani per chiese e sinagoghe”, “L’Is è un’operazione ad arte con la collusione di attori interessati a minare il mondo sunnita”, “L’Islam europeo ha una vocazione al dialogo e riconosce e apprezza le diverse sensibilità”.
Sul Corriere, Guido Olimpio parla dell’ultima minaccia dell’Isis ma anche un filmato postato dagli shebab somali “che hanno giocato sul ricordo di quanto avvenuto il 21 settembre 2013 al Westgate di Nairobi. Quasi 70 morti nell’attacco con presa d’ostaggi. ‘Se un pugno di mujaheddin ha tenuto in scacco il Kenya per una settimana, figuriamoci cosa possono fare in Occidente o in centro gestito da ebrei’, hanno affermato gli estremisti elencando i possibili bersagli: il Mall of America in Minnesota, il West Edmonton in Canada, Oxford Street a Londra, Le Forum des Halles e Les Quatre Temps in Francia”. Secondo Olimpio non è casuale il riferimento al Mall del Minnesota, perché “lo Stato americano ospita una delle più grandi comunità somale d’America dove i terroristi hanno reclutato numerosi elementi, compresi alcuni che sono poi morti in attacchi suicidi a Mogadiscio”.
Su Il Giornale viene intervistato Gianfranco Paglia, un ufficiale italiano impegnato nel 1993 in Somalia, oggi su una sedia a rotelle per un proiettile che lo ha colpito alla colonna vertebrale. Dice: “In Libia non andremmo certo per combattere, ma in ogni missione non sai mai cosa succederà. Anche la Somalia era, in teoria, una missione di assistenza alla popolazione civile. Poi è finita com’è finita. Comunque fronteggiare i terroristi dello Stato Islamico non è molto diverso dal fronteggiare gli uomini di Aidid, i qaidisti iracheni o i talebani afghani. La differenza la fa solo la propaganda. Vedere un uomo decapitato con un coltello o bruciato vivo in una gabbia fa rabbrividire, ma non è purtroppo diverso da quel che può succedere ad un militare in missione”. Paglia dice che la questione somala è stata l’origine di una parte del terrorismo: “Tra le fila di Aidid sono cresciuti molti terroristi che continuano a combattere nelle fila dello jihadismo internazionale. Quella volta noi occidentali abbiamo commesso l’errore di mettere fine ad una missione senza averla portata a termine. E continuiamo a pagarne il prezzo”.
La Stampa: “Il mondo arabo sfida il Califfato. ‘Uniti contro chi stravolge l’Islam’”, “I leader sunniti riuniti a La Mecca: i jihadisti corrompono il Corano. Asse Egitto-Arabia”. In evidenza quindi soprattutto le parole pronunciate dal grande imam dell’Università di Al Azhar, Ahmed El Tayyeb nella cornice del “Convegno contro il terrorismo” sotto l’egida del nuovo re saudita Salman che, in un messaggio, ha sottolineato la necessità di una “tolleranza zero” verso i jihadisti
Sul Corriere: “L’appello dello sceicco di Al Azhar. ‘All’origine dell’estremismo interpretazioni corrotte del Corano”. Ieri alla Mecca si è aperta una grande conferenza sul terrorismo, e le parole di Ahmed Al Tayeb si sono riferite anche alla necessità di un “controllo” sul “caos degli editti che definiscono gli altri musulmani infedeli”. Inoltre ha proposto un “curriculum per correggere ‘concetti falsi e ambigui'”.
Sul Corriere si parla anche della conferenza che si terrà in marzo a Sharm el Sheik, dove dovrebbe andare anche Renzi. È una conferenza che l’Egitto lancia per promuovere investimenti infrastrutturali, e l’Italia ha intenzione di presentarsi “al più alto livello possibile”, perché “in ballo” ci sono 150 miliardi e perché può contare sulla “alleanza strategica, economica e politica” che i due governi “stanno costruendo da mesi”. Il Corriere ricorda che Renzi è stato il primo e finora unico leader europeo ad andare al Cairo in visita da Al Sisi.
Su Il Sole: “‘Sisinomics’ al via per il nuovo Egitto”. Dove si dà anche la notizia della condanna a cinque anni di carcere per l’attivista Alaa Abdel Fattah, blogger e attivista ai tempi di Tahir, un “laico e democratico che non ha mai commesso atti violenti”.
E poi
Il Corriere: “Le Pen al 30 per cento si avvia a vincere il voto per le provinciali. Tra un mese la consultazione elettorale in Francia”. Il FN sarebbe il primo partito, sopra l’alleanza tra Ump e centristi, al 28 per cento, e ai socialisti, fermi al 20.
Il Giornale parla di un “piano del premier per prendersi la Rai”. A far discutere sarebbe “il metodo indicato dal premier (più presente di tutti i predecessori nell’informazione Rai) come opzione per accorciare l’iter evitando le paludi parlamentari, e cioè un decreto”, che dovrebbe essere riservato ai casi di straordinaria necessità ed urgenza, “difficili da rinvenire in una riforma della Rai. In altri tempi si sarebbero attivati girotondi, raccolte di firme, manifestazioni”. Ad aprile scade l’attuale cda. Il quotidiano si chiede se il Quirinale darebbe il via libera ad un decreto, e scrive che “più di una sentenza della Consulta farebbe pensare il contrario”.