Da Reset-Dialogues on Civilizations
Per valorizzare gli aspetti più responsabilizzanti e arricchenti della diversità, una prospettiva feconda è costituita dall’esame dei legami etici e psicologici fra la nonviolenza e l’omosessualità. È un terreno dove individualità e collettività, sfera personale e dimensione sociale, s’intersecano e si contaminano con potenzialità di notevole portata.
Cominciando dal piano psicologico, e in linea con il mio campo di studi prioritario dall’analisi della nonviolenza alla luce della Psicologia Analitica, alla base di tale esame vi è la consapevolezza che una comprensione della nonviolenza è legata, come gli insegnamenti del Mahatma indicano, a un percorso trasformativo interiore. Un percorso per la cui comprensione la psicologia del profondo di Jung appare particolarmente adatta, visto anche il suo interesse per il pensiero orientale.
Così il focus sull’interazione fra interiorità ed esteriorità è ciò che lega la nonviolenza di Gandhi alla caratura etica della Psicologia Junghiana e di quella Archetipica di Hillman, il quale con il suo “fare anima” delinea forme interattive di responsabilità etiche verso il mondo psicologizzato dell’Anima Mundi. Ma esse sono anche legate in un’ottica di dialogo interculturale globale. E sebbene sia complesso usare le categorie di “Oriente” e “Occidente”, è indubbio che, da un lato, Gandhi venne influenzato da pensatori occidentali – da Thoreau a Shelley, solo per citarne alcuni – nel riscoprire la rilevanza della tradizione nonviolenta dell’India. E, dall’altro, come già accennato è parimenti noto che Jung trovò il sostengo che cercava alle sue teorie proprio nelle tradizioni orientali di pensiero filosofico, dal Taoismo fino all’Induismo.
Su questo molteplice sfondo ciò che va sottolineato è l’aspetto sotteso a tutto ciò: l’apertura all’altro. È questo il dato fondante da cui prendere le mosse nell’esaminare i legami psicologici fra nonviolenza e omosessualità. Un percorso che guarda all’interiorità come luogo di elaborazione dell’appartenenza al proprio contesto sociale. Come noto questo è uno dei più importanti contributi del pensiero di Jung sui rapporti fra l’essere umano e la società, fra l’individuo e il mondo. Un punto non ancora del tutto compreso giacché permane confusione fra ciò che viene percepito come una chiusura in se stessi – il percorso di analisi introspettiva, visto come un esasperato individualismo – e il valore sociale di tale esperienza per la persona che la sperimenta, costituendo essa invece lo strumento principe per stabilire legami solidi e costruttivi con il mondo.
Ora, proprio la dimensione omosessuale e LGTBI (acronimo generale internazionale di Lesbian, Gay, Transexual, Bisexual e Intersex), è un terreno di notevole fertilità in quella direzione, ovvero la direzione di dare il giusto valore sociale al significato del rapporto con la propria interiorità. È fuor di dubbio, infatti, che le persone omosessuali sono chiamate a stabilire un rapporto consapevole con la propria interiorità in maniera molto più perentoria che i restanti cittadini.
Il percorso di conoscenza e di accettazione della propria natura per gli omosessuali è una necessità vitale, resa complessa dal fatto che essi all’inizio si sentono portatori di una “diversità” rispetto a quello che socialmente viene considerato la norma, usualmente inconsapevolmente introiettato. Una condizione che obbliga a porsi delle domande su se stessi che chi nasce eterosessuale non è chiamato a porsi. Certamente l’evoluzione delle società occidentali ma non solo – si pensi ad esempio ai progressi in America Latina – in questo campo, agevola le nuove generazioni omosessuali nel percorso di sviluppo naturale, anche se molto resta ancora da fare, come testimoniano il persistere di omofobia, discriminazioni e oppressioni di ogni natura. In ogni caso si tratta di percorsi mai scevri da una certa dose di sofferenza e il cui il decorso, in teoria naturale, non si può mai dare per scontato.
In questo contesto va posto il primo punto di collegamento fra omosessualità e nonviolenza, che definisco “interiore soggettivo”. Esso rivaluta il percorso di accettazione interiore che gli omosessuali che decidono di vivere pienamente la loro sessualità devono sviluppare. Infatti esso crea un’indubbia sensibilità verso la nonviolenza, innanzitutto intesa nel suo senso basilare di apertura all’altro, giacché essi hanno dovuto accettare e integrare ciò che viene all’inizio percepito come una forma di alterità interiore.
Naturalmente ciò non significa che una persona omosessuale sia anche una persona nonviolenta, giacché la nonviolenza, a differenza dell’omosessualità, non è uno stato di natura bensì una scelta etica. Ciò che si intende sostenere è invece l’esistenza di una potenzialità verso la comprensione delle ragioni dell’altro e di una sensibilità a ciò che implica la sofferenza. Una sensibilità che include la capacità di trasformare la sofferenza in un valore eticamente positivo e costruttivo.
Si viene così ad un secondo punto di contatto psicologico fra omosessualità e nonviolenza. È un punto che definisco “interiore oggettivo”. Occorre qui rammentare l’essenza della nonviolenza: la capacità di far nascere nell’animo del nemico – dell’altro – soffrendo senza restituire la violenza ricevuta, un dubbio per creare la possibilità che egli cambi. Aprire una nuova strada, questa volta da percorrere – e costruire – assieme al “nemico”. L’intera impalcatura, come si può vedere, dipende dal presupposto che nell’animo umano esista una possibilità di commuoversi, di essere emotivamente colpiti dalla grandezza d’animo altrui.
È qui che si tocca la dimensione “interiore oggettiva”. Mi riferisco alla cura – intesa come un impulso morale innato – della propria evoluzione personale, un cura che – lo abbiamo appena visto – è indispensabile per essere nonviolenti. Una visione che è al cuore della psicologia junghiana, basata sul processo di individuazione. Per Jung è fondamentale prestare attenzione all’“uomo interiore”, che è sempre in via di ricrearsi, ma il cui sviluppo rischia di essere nel nostro tempo più inconscio di quanto sia desiderabile per fronteggiare le sfide che le nuove tecnologie e gli sviluppi impressionanti della scienza richiedono. Mettere gli esseri umani in grado di gestire un potere così accresciuto con un altrettanto forte sviluppo spirituale è ciò che in India chiamano “Gandhi civilizzatore”.
La dimensione “interiore oggettiva”, parlandoci di sensibilità, apertura e in ultima analisi tolleranza ci porta al cuore delle sfide odierne, ed è dunque un punto di grande importanza sociale e politica. Oggi viviamo in un mondo in cui le persone vivono molto “fuori da se stesse”, in cui si rischia di non avere il tempo di stabilire un contatto vivo con la propria interiorità, quando invece è tutto ciò che servirebbe. È ben noto infatti che tutto ciò che non si conosce di se stessi lo si vive proiettato negli altri. Purtroppo ciò che non vogliamo sapere di noi stessi sono sovente le cose più difficili da accettare, che inevitabilmente vengono proiettate sugli altri, determinando un terribile circolo vizioso di paure, recriminazioni e ritorsioni, individuali così come collettive. Fenomeni su cui, tanto Jung che Freud e in generale ogni psicanalista, hanno sempre posto tutti in guardia.
Per tali ragioni ritengo che il patrimonio dell’esperienza interiore omosessuale sia così importante per l’oggi: incarna un paradigma archetipico di presa di coscienza attraverso il costruttivo rapporto con la propria interiorità. Lo sforzo consapevole di conoscersi e accettarsi compiuto dalle persone omosessuali garantisce l’esistenza di un patrimonio di sensibilità verso la sofferenza in seno alla società. Se è vero che tutti dovrebbero compiere lo sforzo nel corso della vita di confrontarsi con la propria interiorità, gli omosessuali tale sforzo lo devono fare di certo. La loro natura li ha posti in una condizione di non poter prescindere dallo stabilire tale rapporto. Come ho già chiarito, è ovvio che fra ciò e l’essere nonviolento c’è una notevole differenza, giacché la nonviolenza è una scelta etica di vita. Ma essa è favorita laddove la vita stessa ha consentito a un essere umano di crearsi un patrimonio interiore di sensibilità alla sofferenza. Solo che lo si voglia usare in maniera costruttiva.
Per tale ragione le persone LGTBI non dovrebbero limitarsi alle pur sacrosante rivendicazioni di libertà sessuale e affettiva, ma mirare anche a valorizzare la sensibilità e la tolleranza che hanno acquisito nel loro percorso di accettazione interiore quali valori e arricchimento per l’intera società. Aderire alla nonviolenza costituisce per un omosessuale il passo più logico per adottare un atteggiamento sociale di “ampia responsabilità costruttiva”. In questo senso la dimensione “interiore oggettiva” ci avvicina alla visione etica di Gandhi, ripresa anche da Simone Weil, di porre gli obblighi prima dei diritti.
Analizzare il legame etico fra omosessualità e nonviolenza significa guardare all’evoluzione dei Diritti Umani. Infatti, da un lato, sin dall’uso della nonviolenza da pare di Gandhi a favore delle minoranze, innanzitutto gli intoccabili, la nonviolenza e i Diritti Umani sono indissolubilmente legati. Dall’altro, se si guarda proprio all’affermazione delle pratiche democratiche basate sui Diritti Umani, il patrimonio di sensibilità e di arricchimento sociale legato alle persone LGTBI può assumere un valore ancora più pregnante. La questione LGTBI è in sostanza, al contempo, sia il fronte odierno del percorso di libertà ed eguaglianza che affonda le sue radici nel progetto illuminista, sia un fattore di necessaria evoluzione e aggiornamento del progetto illuminista stesso, in quanto aiuta a correggere l’eccessivo peso della componente razionale, a favore di altri elementi che definiscono il fattore umano.
Così posto, il rapporto fra la nonviolenza e omosessualità rientra nel “Progresso dei Sentimenti” del filosofo pragmatista americano Rorthy. Un rinnovamento del “progetto illuminista” attraverso la valorizzazione dei sentimenti, dell’affettività e in generale del fattore umano. Ciò sia per superare le derive che il progetto dell’illuminismo ha conosciuto soprattutto nel corso del novecento, sia per consentire di cogliere il dato più cogente dell’oggi. Mi riferisco all’affermarsi di una vera e propria “cultura dei diritti umani” – una definizione del filosofo argentino Rabossi – emersa dopo la Seconda Guerra Mondiale e diventata la realtà del nostro orizzonte culturale globale.
In questa visione, il patrimonio di sensibilità sociale e politica della dimensione omosessuale può portare una nuova linfa all’umanizzazione del percorso di idee e di diritti, di eguaglianza e libertà, dell’illuminismo. Un percorso che oggi, dopo i troppi errori del ventesimo secolo, può prendere nuovo abbrivio con il rafforzamento della cultura dei Diritti Umani ancorata nella nonviolenza. Una visione in cui l’Italia, se riuscirà a uscire dalle secche morali della mancanza di una tutela giuridica degli omosessuali, può fornire un contributo di primaria importanza in linea con il suo retaggio storico. Mi riferisco al contributo che ha dato alla causa umanitaria Cesare Beccaria che con Dei delitti e delle pene ha portato all’abolizione della pena di morte e delle pratiche di tortura.
Si tratta solo di accenni, ma è importante sottolineare come parlare oggi di legami fra omosessualità e nonviolenza significhi toccare una corda profondamente importante per l’Italia: contribuire a rinnovare il progetto illuminista allargando la portata della visione di Cesare Beccaria combinandola al messaggio del Mahatma Gandhi.
L’articolo originale è stato pubblicato dalla rivista Qui Libri n.27 2015.
La foto in copertina, del fotografo e reporter danese Mads Nissen, è stata nominata Foto dell’anno 2014 World Press Photo. L’immagine ritrae Jon e Alex, una coppia gay di San Pietroburgo, Russia, in un momento di intimità. La foto fa parte del reportage Omofobia in Russia, che denuncia le discriminazioni contro la comunità LGBT, avallate dalle autorità russe, di recente anche con una legge contro la ‘propaganda omosessuale’.
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