Il Corriere della Sera: “Il ritorno di Greta e Vanessa. Rilasciate in Siria dopo cinque mesi e mezzo. Portate in Turchia, poi in Italia”. “Libere le volontarie italiane. Scoppia subito una polemica sul riscatto”.
In alto: “Belgio, due jihadisti uccisi. ‘Preparavano un attacco’. Contatti con i killer di Parigi. Operazione in otto Paesi”. A fondo pagina il quotidiano dà la notizia della decisione della Svizzera di “sganciare” la sua moneta, il franco, dall’euro.
La Repubblica: “Il ritorno di Vanessa e Greta”, “Le volontarie in ostaggio da 6 mesi in Siria. Due settimane fa l’appello dalla prigionia. La gioia dei familiari: mai smesso di crederci. Tweet dei ribelli: riscatto da 12 milioni”.
Di spalla a destra, “Il caso”, ovvero le parole pronunciate da Papa Francesco durante il viaggio in aereo dallo Sri Lanka alle Filippine: “Il pugno del Papa: ‘Non bisogna prendere in giro la fede degli altri’, ‘Aberrante uccidere in nome di Dio ma se qualcuno offende mia madre è normale che io reagisca’” (nella foto, il gesto del pugno del Pontefice).
E sul tema segnaliamo il richiamo in prima per un’analisi di Stefano Rodotà: “Ma il diritto alla libertà non conosce limiti”.
In taglio basso: “Belgio, uccisi due jihadisti pronti a colpire”, “Blitz in varie città contro un gruppo di terroristi di ritorno dalla Siria”.
A sinistra: “La Svizzera sgancia il franco dall’euro, tempesta in Borsa. Zurigo perde l’8,6%”. Con un commento di Federico Fubini: “Il potere dei banchieri”.
A fondo pagina: “La scelta di Renzi: nella corsa al Colle non ci saranno ex segretari di partito”.
E “Il racconto” di Tom Hanks: “La mia fortuna è stata frequentare il college pubblico”.
La Stampa: “Il ritorno di Greta e Vanessa”, “Le due ragazze italiane rapite in Siria sono state liberate ieri dopo cinque mesi. Belgio, la polizia sgomina cellula jihadista: uccisi due terroristi, ferito un terzo”, “L’Isis attacca Al Qaeda per il rilascio: ‘Traditori’. In Italia polemiche per il presunto pagamento di un riscatto”.
In taglio basso, le parole del Papa: “‘Le religioni non vanno insultate'”, “Il Papa: aberrante uccidere per Dio. ‘Ma se qualcuno offende mia madre, prende un pugno'”.
A destra: “Il franco svizzero si sgancia dall’euro e vola. Le aziende: uno tsunami”, “La Borsa sprofonda: – 8,6 per cento”. “Banche centrali in ordine sparso” è il titolo del commento di Mario Deaglio.
Il Fatto: “Il pugno del Papa”, “Satira e Islam, Francesco in aereo verso le Filippine: ‘Non si reagisce uccidendo, ma se dici una parolaccia contro mia madre io ti colpisco. Le religioni non si prendono in giro’. Il ministro della Giustizia francese replica: ‘A Parigi disegniamo anche Maometto'”.
A destra: “Adesso tocca al Belgio: la polizia uccide due terroristi”, “Legati a Coulibaly”, “La sparatoria a Verviers, quasi al confine con la Germania. Arrestato un terzo jihadista. Il commando, appena rientrato dalla Siria, preparava attentati a Bruxelles e avrebbe fornito le armi usate in Francia. Operazione antiestremisti in sette Paesi Ue e Yemen”.
Sulle due cooperanti italiane liberate in Siria: “Vanessa e Greta libere: ‘Riscatto di 12 milioni'”, “Rilasciate dopo 168 giorni dalla banda criminale che le aveva sequestrate. decisiva la mediazione degli integralisti di Jabhat al-Nusra. La cifra per la trattativa indicata dai rapitori con un tweet”.
In taglio basso, “La seconda manina”: “Bilanci falsi, Orlando copia B. e se ne vanta”, “Il Guardasigilli si difende: ‘L’emendamento del governo recepisce ciò che avevamo deciso e presentato sin da agosto’. Ma in realtà le nuove norme sull’anticorruzione attendono di essere approvate da 672 giorni, quando fu varato il progetto Grasso. Da allora tutto è rallentato e la legge non è mai uscita dalla commissione in Senato”.
E “la terza manina” per Il Fatto è la seguente: “Quirinale, D’Alema: Severino o Amato, basta che sia contro Matteo”.
Il Giornale: “Per il Quirinale si cerca un candidato ‘nuovo’ ma si scaldano gli zombie”. Il titolo più grande è “guerra in Europa”. “Blitz in Belgio, uccisi due jihadisti: preparavano un grande attentato. Operazioni in sette Paesi”. E poi: “Liberate in Siria le due ragazze italiane rapite. Ma ora i terroristi hanno 12 milioni di euro in tasca”.
A centro pagina: “Beata Svizzera padrona della sua Borsa”. “Zurigo choc, sgancia il franco dall’euro”. “È la forza di chi ha una Banca centrale”.
Il Sole 24 Ore: “Berna sgancia il franco dall’euro. La Banca Nazionale toglie il tetto al cambio con la moneta Ue fissato a 1,20. La preoccupazione delle imprese elvetiche: è uno tsunami”. “Shock sulla valuta svizzera (+ 30 per cento), crolla la Borsa di Zurigo (-8,6). Euro ai minimi da 11 anni”.
A fianco: “Katainen: Jobs act equo per i giovani, aiuterà le assunzioni”.
A centro pagina: “Italia-Svizzera, ecco l’intesa sul fisco. Dopo tre anni di trattative definito l’accordo che consente di superare il segreto bancario. Spinta al rientro dei capitali. Scambio di informazioni su tutte le imposte”.
In alto: “Libere le due ragazze italiane rapite in Siria dai ribelli”. “Decisivo il ruolo della Turchia”. E poi: “Blitz in Belgio, uccisi due jihadisti”. “Il Papa: non si insultano le religioni”.
Greta e Vanessa
Su La Repubblica Caterina Pasolini spiega “chi sono i rapitori” delle due cooperanti italiane: il ramo Al Qaeda che con gli ostaggi finanzia la jihad. Quella dei rapimenti è la principale attività e fonte di sostentamento del Fronte al Nusra. Ha alle spalle una lunga serie di sequestri, tutti finiti con la liberazione degli ostaggi. Ritenuto meno sanguinario del ramo iracheno di Al Qaeda, il Fronte è stato fondato alla fine del 2011, nel pieno della rivolta contro il governo siriano di Assad. Lo accomuna al Califfato dell’Is l’aver introdotto la sharia e le corti islamiche nei territori sotto il loro controllo: ma hanno una politica profondamente diversa nei confronti degli ostaggi. Per l’Is sono capri espiatori da uccidere come monito per gli infedeli, mentre per il Fronte, che pare possa contare su seimila combattenti, sono fonte di finanziamento. Tra le due formazioni lo scontro, prima sotterraneo, è diventato aperto nel 2013: il “Califfo” dichiara che Al Nusra è parte di Al Qaeda in Iraq nella nuova formazione dell’Is. Ma il leader di Al Qaeda lo smentisce. Ieri, appena la notizia della liberazione di Vanessa e Greta si è diffusa in rete, sono arrivati subito rabbiosi commenti dell’Is contro i rivali”: “Questi cani del Fronte al-Nusra rilasciano le donne crociate italiane e uccidono i simpatizzanti dello Stato islamico”. È il tweet postato da Muahhed al Khalifa sul suo account dove si firma con l’hashtag del Califfato.
Sul Corriere Fiorenza Sarzanini racconta le trattative per la liberazione delle due italiane rapite. Lo “scambio sarebbe avvenuto tra domenica e lunedì, dopo l’arrivo di un video che forniva la nuova prova in vita delle due ragazze rimaste prigioniere in Siria quasi sei mesi”. “Sembra esagerata la cifra di dodici milioni di dollari indicata dai ribelli al regime di Assad, ma un riscatto è stato certamente pagato, forse la metà”. “Attivare i primi contatti per il negoziato non è stato semplice, anche se si è avuta presto la certezza che a rapirle era stata una banda di criminali, sia pur islamici, e non i jihadisti dell’Isis”. La trattativa sarebbe partita da settembre. La gestione delle due sarebbe stata affidata anche ad altri gruppi, con una “interferenza politica di ‘Jabat al-Nusra’, gruppo della galassia di Al Qaeda che avrebbe preteso un riconoscimento del proprio ruolo da far valere soprattutto rispetto alle altre fazioni e contro l’Isis. Non a caso, poco dopo la conferma dell’avvenuto rilascio delle due giovani, un uomo che dice di chiamarsi Muahhed al Khilafa e si firma sulla piattaforma Twitter con l’hashtag dell’Isis posta un messaggio per attaccare ‘questi cani del fronte al-Nusra che rilasciano le donne crociate italiane e uccidono i simpatizzanti dello Stato Islamico’”. Il video postato a fine 2014 conteneva, secondo il quotidiano, “una serie di messaggi occulti che soltanto chi sta negoziando può comprendere, come il foglietto con la data ’17-12-14 wednesday’ che Vanessa tiene in mano mentre Greta legge il messaggio, che sembra fornire indicazioni precise”.
Alberto Negri sul Sole dà per certo il ruolo di Jabat Al Nusra, ricorda che “il business dei sequestri tra Siria e Iraq, stimato intorno ai 70-80 milioni di dollari l’anno, è una fonte di finanziamento notevole per l’Isil, che gestisce i rapimenti con maggiori risvolti politici, e gli altri gruppi jihadisti come al Nusra”, e parla di un possibile “cambio di strategia di Al Qaeda nell’attesa di nuovi sviluppi militari e politici in Siria che potrebbero spingere al riposizionamento dei vari gruppi jihadisti”. Scrive anche che “è assai probabile che ci sia stata la mediazione della Turchia, il Paese della Nato che ha i maggiori contatti con i gruppi estremisti, non solo Jabat al Nusra ma anche l’Isil, con il quale ha trattato il rilascio di 50 ostaggi, compreso il console turco a Mosul, in cambio di 80 jihadisti. La recente visita in Turchia del presidente del Consiglio Matteo Renzi potrebbe avere favorito un maggiore interessamento dei servizi turchi che monitorano la frontiera dove sono state rapite le due italiane”. Possibile il coinvolgimento anche del Qatar e del Kuwait, che pure “è in ottimi rapporti con i qaedisti tanto è vero che Jabat al Nusra è stata al centro di un’aspra polemica tra Stati Uniti e Kuwait e più volte il segretario di Stato Usa John Kerry ha richiamato l’attenzione su possibili finanziamenti provenienti dal Kuwait”.
Il Giornale, sui soldi del riscatto, scrive che sono state “inevitabili” le proteste e le polemiche, specie da parte di Lega, Fdi e Forza Italia: “‘La liberazione delle due ragazze mi riempie di gioia – ha detto il leader del Carroccio Matteo Salvini. Ma l’eventuale pagamento di un riscatto, che permetterebbe ai terroristi di uccidere ancora, sarebbe una vergogna per l’Italia’”. E poi “chiede chiarezza anche Mariastella Gelmini, vicecapogruppo alla Camera di Forza Italia. ‘Quando si riconquista la libertà e la vita, ogni persona ragionevole non può che esultare – ha affermato. Adesso, con altrettanta ragionevolezza, il governo e il ministro degli Esteri devono riferire sulle modalità di questa liberazione'”.
Il Papa, la mamma e Charlie
Su La Repubblica, l’intervista durante il volo verso le Filippine di Papa Francesco, firmata da Marco Ansaldo: “Si aspetti un pugno chi offende mia madre. La libertà di parola ha dei limiti”. Dice il Papa: “Non si può provocare, non si può insultare la fede altrui. Papa Benedetto, in un discorso (quello di Ratisbona del 2006, ricorda Ansaldo) aveva parlato di questa mentalità post-positivista che portava a credere che le religioni sono sottoculture, tollerate, non fanno parte della cultura illuminista”, “c’è un limite, ogni religione ha dignità. Ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana, io non posso prenderla in giro”.
Anche sul Corriere: “La libertà di espressione ha dei limiti. Non si gioca con la religione degli altri”, a firma di Gian Guido Vecchi, in cui si dà conto delle parole pronunciate dal Papa ieri durante il volo di ritorno in Italia. “Ognuno ha non solo la libertà ma il diritto e l’obbligo di dire quello che pensa per aiutare il bene comune”, ma “senza offendere”. È vero che “non si può reagire violentemente”, ma “non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri”. Il Papa cita il discorso di Ratzinger a Ratisbona, in cui criticava la “mentalità post-positivista” che “porta a credere che le religioni o le espressioni religiose siano una sorta di sottocultura”, mentre “ogni religione”, se “rispetta la vita umana”, “io non posso prenderla in giro”, e “nella libertà di espressione ci sono dei limiti”.
Scrive Il Fatto che ha il sapore di una replica anche a Papa Francesco, quella del ministro francese della Giustizia Christiane Taubira: “Siamo il Paese di Voltaire e dell’irriverenza, possiamo ironizzare su tutte le religioni, Profeta incluso”, ha detto. Ai gesti concilianti, invece, pensa il presidente Hollande, che ha invocato “una nuova unione delle due rive del Mediterraneo” e ha indicato nei musulmani “le prime vittime del fanatismo, del fondamentalismo e dell’intolleranza”, assicurando che “la Francia proteggerà tutte le religioni”. Lo ha detto ieri a Parigi, nella sede dell’Ima, l’Institut du monde arabe, all’inaugurazione del Forum per il Rinnovamento del mondo arabo.
La Repubblica: “Il Papa: ‘Non si deride la fede altrui’. Ma la Francia risponde: niente tabù”, “Alle parole del Pontefice verso Manila replica il ministro della Giustizia Christiane Taubira: ‘Siamo il Paese dell’irriverenza. Giusto anche disegnare il Profeta’”.
Su La Stampa: “Parigi dà l’addio ai morti di Charlie. Hollande: islamici vittime dei fanatici”, “La ministra della Giustizia: possiamo prendere in giro tutti, Profeta compreso. Ma uno dei fondatori del giornale satirico attacca l’ex direttore: ha esagerato”. Si tratta di Delfeil de Ton, coetaneo e amico di Wolinsky, uno dei fondatori di Charlie Hebdo (anche se aveva preso negli ultimi tempi le distanze). Ha scritto una lettera aperta al Nouvel Observateur. Se la prende con Charb, che era il direttore del Charlie: lo descrive come “un ragazzo brillante ma testardo”: “Ce l’ho con te, Charb: che bisogno c’era di trascinare tutti in questa escalation?”.
Su La Repubblica: “C’è anche una Francia che non è Charlie. ‘Quelle provocazioni sono un errore'”, “Almeno cinquanta accuse per apologia del terrorismo. Uno dei fondatori della rivista accusa il direttore Charb”. Il quotidiano ospita poi un intervento dello scrittore francese Le Clézio (“Lettera a mia figlia contro l’alienazione che genera mostri”), quello dell’editorialista del New York Times David Carr (“Libertà di parola vuol dire tutelare ciò che ci offende”), un’intervista al portavoce della casa editrice Oxford University Press Dan Selinger dopo la decisione di chiedere agli autori di menzionare le parole “maiale” e “carne di maiale” nei testi scolastici per non offendere musulmani ed ebrei (dice che “il politicamente corretto serve per parlare a tutti”).
Da segnalare, ancora su La Repubblica, il lungo commento di Stefano Rodotà. Tornando sulla rivendicazione della libertà d’espressione dei milioni di persone che in questi giorni ha proclamato “Je suis Charlie”, Rodotà scrive che essa è “sacrosanta ma terribilmente impegnativa”: “Fino a che punto siamo disposti a riconoscerla anche a chi manifesterà opinioni estreme o fondamentaliste? Ieri il Papa ha indicato quello che gli sembra essere un limite insuperabile: le parole aggressive contro la religione altrui, contro qualsiasi fede religiosa. Posizione ben comprensibile da parte del capo supremo della Chiesa cattolica. Ma essa non appartiene a quella laicità delle istituzioni che ha fondato, insieme alle altre libertà, anche quella di esprimere liberamente il proprio pensiero. Proprio qui la stessa libertà religiosa ha trovato il suo fondamento. Non è vero, quindi, che la laicità abbia guardato alla religione e alle espressioni religiose come ‘sottoculture tollerate’, considerate invece come parte di un contesto culturale nel quale tutte le opinioni, anche quelle sgradite, meritano rispetto”.
Luigi Accattoli, sul Corriere della Sera, firma un commento dal titolo: “Quell’invito a non deridere la fede degli altri”. Si citano le parole del Papa, ieri, di ritorno dal suo viaggio in Sri Lanka: “Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri”, e se “‘il dottor Gasbarri (l’organizzatore dei viaggi papali, che gli stava accanto) che è un amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno!'”. Accattoli scrive che “prima di buttarsi a polemizzare” per questa frase di Bergoglio occorre ricordare “la posizione vaticana consolidata sulle vignette di Maometto”, e la “libertà di linguaggio”, anzi il “gusto creativo” del Papa argentino. La posizione sulle vignette fu espressa già da Navarro Valls nel 2006, al tempo delle vignette danesi e segue pienamente la posizione espressa da Ratzinger. E dunque “il Papa argentino non giustifica in nessun modo gli attentati”, ma “nemmeno le vignette che irridono alla intera religione”.
Sul Giornale, Vittorio Feltri: “Papa Bergoglio non è Charlie e difende la fede”.
Quirinale
Su La Repubblica, a proposito del Pd e dei suoi leader come possibili candidati al Colle: “I dubbi di Renzi sugli ex leader: ‘Serve chi facilita un’intesa’. Ora Mattarella in pole position”, “I timori di chi teme che gli ex segretari dividano il Pd. La Serracchiani: il capo dello Stato va eletto con Forza Italia”. Ne scrivono Francesco Bei e Goffredo de Marchis sottolineando che il riferimento è a personalità forti, con un seguito nella base (come Romano Prodi, Piero Fassino, Dario Franceschini, Walter Veltroni, Pierluigi Bersani e Guglielmo Epifani): per il premier sono accomunati dal ritenersi “legittimamente, per carità – avrebbe detto – candidati di diritto”. In corsa lo sono tutti, scrivono Bei e De Marchis, malgrado le smentite. Ma agli occhi di Renzi, che guarda alla storia delle elezioni per il Quirinale, se si esclude Giuseppe Saragat nel 1964, mai nessun segretario di partito si è insediato al Colle. Troppo ingombranti le loro personalità, troppo difficile farli accettare sia dagli alleati che dai rivali interni. Con il rischio di spaccare i gruppi Pd senza attrarre nuovi voti dalle opposizioni. “E adesso serve uno che facilita l’intesa”, avrebbe spiegato Renzi.
Qualche pagina più in là, ancora su La Repubblica, sul M5S: “Casaleggio ordina l’altolà e Grillo silura Prodi: ‘Il disastro euro è suo’. Pizzarotti rilancia Rodotà”, “Il leader boccia tutti i candidati del Pd al Colle, tra i favoriti ci sono invece Davigo e Di Matteo”.
Su La Stampa: “Il fronte delle minoranze prepara il tranello-Prodi”, “Tutti i nemici del Patto del Nazareno potrebbero convergere su di lui per fare pressione nei primi tre scrutini. Bersani pensa anche ad Amato”. E, alla pagina seguente: “Grillo mette già le mani avanti. Bocciati il Professore e Grasso”, “Saranno lui e Casaleggio a stilare la lista dei ‘papabili'”.
Sul Corriere Mara Teresa Meli: “Ipotesi Grasso al primo scrutinio, Bersani o Veltroni per il quarto”. “In Transatlantico si fa anche il nome del vicepresidente del Csm Legnini”.
Sullo stesso quotidiano l’editoriale, firmato da Massimo Franco (“Una corsa troppo affollata”) sottolinea il rischio che il toto-Quirinale, che c’è sempre stato, sia stavolta troppo simile a un “tritacarne”, uno “stillicidio di candidature”, con il rischio di “bruciare nel mucchio” sia i “figuranti” che i “potenziali protagonisti”,e invita a condurre “una rotta di avvicinamento al 29 gennaio” che sia “più prudente e meno tesa ad accendere vanità”.
Su Il Giornale l’editoriale è titolato “Il bivio di Renzi sul Colle: Napoleone o Wellington”: quale dei due ruoli avrà il premier nella “Waterloo” che è il Colle? L’ipotesi di sconfitta, per il quotidiano, dipende dal fatto se Renzi dovrà accettare alla quarta votazione un “anti-renziano”, come Prodi.
Un altro articolo del Giornale parla di “zombie” a proposito dei nomi che circolano: Veltroni, o “qualche vecchio democristiano” come Mattarella, Castagnetti o Casini (che sarebbe “incoraggiato dal via libera arrivato da una persona molto vicina a Silvio Berlusconi, e cioè Francesca Pascale”).
Il Sole fa i conti dei Grandi elettori e scrive che “L’unica cosa sicura, pallottoliere alla mano, è che una buona riuscita dell’operazione Quirinale passa per Renzi dall’accordo con i 120 di Area riformista. E quindi con Bersani. Solo in questo modo il premier potrà compensare il gruppo di ‘ingestibili’ del Pd con il centinaio di voti che gli assicura Silvio Berlusconi (su quasi 160 grandi elettori azzurri l’ex Cavaliere ne controlla sulla carta 120). Altrimenti il rischio caos diventa reale. Contatti con Bersani ci sono stati, e ce ne saranno”.
Il Corriere intervista Luciano Violante, e ricorda che durante le votazioni parlamentari per eleggere i giudici costituzionali ebbe un numero di voti superiore ai 505 che basterebbero, dal quarto scrutinio, per diventare Presidente. Violante dice che la maggioranza di governo ha “una forza numerica che non ebbe neppure De Gasperi nel ’48”, e che “la condivisione” con l’opposizione “è sempre auspicabile” ma non è “significativa di per sé”, visto che Cossiga fu eletto a grande maggioranza ma durante il suo mandato “il sostegno non fu più unanime” e Napolitano al primo mandato fu eletto “solo dal centrosinistra” e poi fu acclamato da tutti.
Il Fatto: “‘Comitato’ Giuliano Amato. Napolitano già al lavoro”, “L’ex presidente va nel suo studio di Palazzo Giustiniani. Bersaniani e dalemiani pronti a chiudere sull’ex socialista, o sulla Severino”. Alla pagina di fianco: “Grillo non vuole Prodi. B. non tiene più i suoi”, “Non c’è solo la minoranza Pd a complicare la partita del Quirinale. Forza Italia vuole rallentare l’Italicum per trattarlo assieme al Colle”.
Su La Repubblica: “Riforme, Fi chiede lo stop con l’opposizione”, “Il Pd Speranza: ‘Se Forza Italia punta al rinvio per alzare la posta sul presidente della Repubblica, sbaglia di grosso'”.
Ancora sul Corriere, a proposito di Forza Italia la cronaca di una “lite” tra Brunetta e Verdini che infiammerebbe “i due fronti del partito”. Oggetto dello scontro sempre il patto del Nazareno, con Brunetta che avrebbe avuto “il via libera” di Berlusconi per frenare sulla riforma costituzionale. “Renzi ci sta fregando, in commissione giustizia il Pd vota contro il governo sulla prescrizione, non rispetteranno nessun patto, se non lo ammetti sei disonesto”, avrebbe detto Brunetta a Verdini, che avrebbe replicato “non ti permettere”.
Il Giornale: “Berlusconi serra i ranghi. Forza Italia rispetti i patti”. “L’ex premier ascolta Fitto e i parlamentari, ma ribadisce: mi aspetto che il partito resti compatto sul Nazareno”. “Scontro tra Brunetta e Verdini sul premio di maggioranza alla lista”. Brunetta ha ribadito che il gruppo è per il premio di maggioranza alla coalizione, e si chiede a Berlusconi di chiarire cosa fare se la maggioranza continuerà a proporre il premio alla lista.
Svizzera
Sul Corriere: “Franco record, la Svizzera spiazza i mercati”. “Mossa a sorpresa, Berna sgancia il franco dall’euro”. La decisione è stata presa per evitare alla moneta nazionale di rafforzarsi troppo danneggiando così l’economia nazionale. L’azione della Banca centrale è uno “tsunami che esporta, per il turismo e per l’intero Paese”, ha detto il Ceo di Swatch, che ieri ha perso il 16 per cento in Borsa. Il Presidente della Banca Nazionale Svizzera però ha difeso la scelta improvvisa: “Meglio agire ora che tra sei o dodici mesi, quando sarebbe stato più doloroso”. La scelta di agire prima del 22 gennaio ha aumentato le speculazioni sul Quantitative easing che si appresta a varare la Bce, che forse “sarà così ampio che la Snb avrebbe avuto grandi difficoltà a difendere il franco” dopo.
Sul Sole 24 Ore Alessandro Merli (“Con le monete è escluso il fai-da-te”) scrive che “l’annuncio improvviso della Banca nazionale svizzera di abbandonare il tetto al cambio con l’euro a quota 1,20” ha creato notevoli “sconquassi” sui mercati finanziari svizzeri e una “certa sorpresa” nella direttrice del FMI Lagarde. In gioco c’è anche la “credibilità” della Banca nazionale svizzera, perché “nei giorni scorsi, il suo presidente Thomas Jordan e altri membri del consiglio avevano insistito che l’obiettivo di cambio era intoccabile e nulla faceva pensare a un cambio di regime. Il repentino cambiamento sembra essere stato determinato anche dall’imminenza del quantitative easing da parte della Banca centrale europea, che dovrebbe contribuire a indebolire l’euro e quindi rendere ancora più indifendibile la Maginot di 1,20 che la Bns ha difeso a caro prezzo dal 2011 in poi, nel tentativo di evitare una rivalutazione eccessiva nel franco, quando i capitali di tutto il mondo ne andavano in caccia”. Seconda vittima sarà l’economia svizzera, perché si avrà da un lato deflazione e dall’altro una possibile recessione. Il messaggio, scrive Merli, vale anche per chi “ritiene che, per il solo fatto di poter stampare moneta con la sua banca centrale, un Paese possa conquistarsi, a dispetto del mondo circostante, crescita e stabilità. Ai nostalgici della lira, forse, servirebbe ricordare che, in un Paese come il nostro, né stabile, né solido come la Svizzera, giornate come quella di ieri i mercati potrebbero riservarne a ripetizione”.