Il mondo è rimasto inorridito per l’azione di un commando talebano contro la Model High School di Warsak road a Peshawar, una scuola riservata ai figli dei militari che sorge in una bella zona, dove vecchie costruzioni che risalgono al tempo del dominio britannico fanno capolino tra alberi e prati. L’idea di tanti bambini e ragazzi ammazzati a sangue freddo, di un insegnante bruciato vivo e l’annuncio che si tratta di una prima volta che sarà seguita da altre, come ha detto il portavoce dei talebani pakistani, Mohammed Umar Khorasani, ha sconvolto le coscienze. Un simile attacco si può spiegare analizzando il contesto locale.
Il motivo è semplice. Fino a circa un anno fa il Ttp, Thehrik-e-Taliban, (Movimento dei talebani) era stato sostenuto, armato, addestrato, a volte affiancato dall’Interservices Intelligence (Isi), il più potente dei tre sevizi segreti pakistani. Lo stesso succedeva a tanti altri gruppi estremisti, dai funesto Lashkar-e-Toiba, autore degli attentati di Mumbay, fino alla rete che fa capo alla famiglia Haqqani, potentissima nella zona di Khost, sulla frontiera afghano-pakistana.
Una storia vecchia quella dell’appoggio dell’Isi a tutti i movimenti fondamentalisti che risale alla guerriglia antisovietica dei mujahiddin tra il 1979 e il 1989. Una vicenda proseguita appoggiando non solo i terroristi che agivano contro l’India, ma sostenendo in toto l’azione dei talebani, quando conquistarono quasi tutto l’Afghanistan. Secondo Ahmed Rashid, giornalista, scrittore, e miglior conoscitore delle vicende della zona, tra il 1994 e il 1999 almeno 90 mila giovani pakistani si sono addestrati nei campi dell’Isi per andare a combattere in Afghanistan a fianco dei talebani e poi di Al-Qaeda. Una prova ci fu nel 1998 quando l’amministrazione di Bill Clinton lanciò i missili Cruise contro il più grande campo di addestramento di Al-Qaeda in Afghanistan, nelle esplosioni non morì Osama bin Laden, ma ben cinque ufficiali dell’Isi rimasero uccisi. Del resto l’Isi ha sempre considerato i combattenti fondamentalisti come cosa propria, usandoli in funzione antindiana e anche antiamericana, malgrado ufficialmente Pakistan e Usa siano alleati. Alcuni capi dell’Isi, come i generali Kiyani e, prima di lui, Gul e Qadri, sono stati considerati dai talebani, non importa se pakistani o afghani, come i loro padri, i loro protettori.
Otto mesi fa, il quadro è cambiato. Da un lato, il governo di Nawaz Sharif non ha potuto più reggere alle pressioni statunitensi. Dall’altro, con l’elezione del nuovo presidente afghano, Ashraf Ghani, è avvenuto un riavvicinamento tra i due paesi, rendendo meno pungente l’ossessione dei militari pakistani per un’alleanza tra India (nemico storico) e Afghanistan.
Così, sei mesi fa, l’esercito pakistano ha iniziato una serie di vaste operazioni nelle cosiddette Fata, le aree tribali abitate dall’etnia pashtun, che fanno da confine tra Pakistan e Afghanistan. In particolare le operazioni hanno coinvolto il cuore dell’area pashtun e dei talebani, il Nord Waziristan.
I militari sono andati con la mano pesante: a forza di bombardamenti, hanno costretto 800mila abitanti ad abbandonare la zona oltre, creando il deserto intorno ai talebani. Non solo: dopo i colloqui tra i presidenti Sharif e Ghani si è prospettato un attacco simultaneo da Ovest e da Est che porterebbe alla fine almeno della branca pakistana dei talebani. Branca solo teorica, visto che i talebani afghani e pakistani sono la stessa gente, tutta di etnia pashtun.
Nel frattempo però, negli anni dell’accordo con l’Isi, i fondamentalisti sono stati con le mani in mano. Peshawar, la grande città di confine, è piena di loro uomini e così Karachi, megalopoli di 16 milioni di abitanti, dove è facile mimetizzarsi come a Quetta, capitale della riottosa provincia del Belucistan, città dove tra l’altro risiede, indisturbato, il mullah Omar, già capo supremo dell’Afghanistan talebano.
Di fronte al voltafaccia dell’esercito e dell’Isi, di fronte alla prospettiva, per altro ancora remota, di essere spazzati via, i talebani hanno colpito. “Anche voi sarete in preda allo stesso nostro dolore” hanno detto ai militari pakistani, accusati di non andare troppo per il sottile con i bombardamenti in Nord Waziristan che provocano senz’altro forti perdite tra i civili.
Ora si attende la risposta, che sarà durissima, dell’armata pakistana e l’eventuale controrisposta dei talebani. Purtroppo questa strage non sarà l’ultima.